Scandalo in casa Tate: mancano i fondi per scrivere le biografie degli artisti della collezione e l’Istituzione museale si affida a Wikipedia. No, non è una fake news, ma è successo davvero e in Inghilterra scoppia la polemica. La storia.
LA STORIA
Pare impossibile che la Tate di Londra utilizzi alcune voci di Wikipedia per fornire informazioni bibliografiche su artisti presenti nella sua collezione. A far scoppiare lo scandalo è stato il critico e storico dell’arte Bendor Grosvenor, grande studioso di Antoon van Dyck (Anversa, 1599 – Londra 1641). Dal suo account Twitter arriva una frecciatina contro la Tate: pare non abbia apprezzato una curiosità sul pittore a proposito della sua barba e che addirittura in alcune parti il suo nome fosse stato scritto in maniera errata. Inoltre aggiunge che: “la Tate ha rimosso dal suo sito web le biografie di artisti scritte dai curatori e le ha sostituite con testo tagliato e incollato da Wikipedia”.
Tate has removed from its website artist biographies written by curators, and replaced them with text cut & pasted from Wikipedia. The entry on Van Dyck misspells his name, and suggests that a major life achievement was his beard. https://t.co/Ea1kbDZm7m pic.twitter.com/RyA1SBOP73
— Dr Bendor Grosvenor (@arthistorynews) 7 settembre 2018
LA RISPOSTA DELLA TATE
La risposta non si è fatta attendere: “purtroppo non ci sono risorse per creare o aggiornare ad hoc ogni biografia”, racconta un portavoce della Tate, “inoltre la collezione è sempre in crescita e per gli artisti ancora in vita è necessario apportare modifiche continue. D’altra parte le pagine di Wikipedia sono costantemente revisionate, quindi di solito sono le più aggiornate. Quello che abbiamo cercato di fare è di sostenere l’arte e gli artisti e di fornire, per quanto ci è possibile, una biografia più attuale possibile sempre tenendo conto delle nostre risorse. Creare una collaborazione con Wikipedia è un piano a lungo termine per dare al nostro al pubblico il sostegno migliore”.
Le schede artista sul sito delle Tate sono più di 100 compilate da esperti: tra queste Turner, Constable e Bacon, solo per citarne qualcuno; purtroppo, però, mancano Hogarth, Reynolds, Moore, Freud, Hockney e Hirst. Certo è che, difficoltà economiche o meno, fa riflettere che una delle istituzioni più autorevoli del pianeta, in un paese da sempre molto attento alla cultura come l’Inghilterra, debba ricorrere a questi mezzi che mettono a repentaglio il livello della documentazione e della ricerca.
– Valentina Poli
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