Shibuya è da sempre uno dei distretti più fashion di Tokyo. Non l’unico, visto che il capoluogo giapponese vanta 10 milioni di abitanti, 40 se si mettono insieme le tre prefetture attigue di cui questa città rappresenta la testa amministrativa. Stando così le cose, Tokyo sarebbe (ancora per poco, poiché Shanghai è pronta al sorpasso) l’area più popolata al mondo. E la più ricca del pianeta, perché da sola detiene un Pil di 2.200 miliardi di dollari. Sulle vie ad alta percorrenza di Shibuya si affollano centinaia di marchi di moda, anche se in città le ganguro girls sono solo un brutto ricordo. Tokyo resta una scena avanzatissima per la moda, sulla quale però si muovono attrici e attori diversi rispetto a un tempo. Curatissime e super accessoriate (due borse di foggia e grandezza diversa da indossare contemporaneamente di giorno sono un must) ma decisamente più sofisticate di un tempo le ragazze, più rilassati e ripuliti i ragazzi. Se a Shibuya prendete come riferimento Ragtag Harajuku, verrete catapultati in un contesto moda perfetto: non però nello spazio di questo shop che propone vintage griffato esattamente come negli Anni Zero.
“Tokyo resta una scena avanzatissima per la moda, sulla quale però si muovono attrici e attori diversi rispetto a un tempo”.
Di fianco e di fronte, l’uno in fila all’altro, si allineano i marchi californiani Patagonia e The North Face, Columbia (Oregon), Burton (Vermont), Helly Hansen (Norvegia), tutti accomunati dalla surf & snowboard culture. Sono loro a rappresentare il sogno di un’élite che scansa il fashion tradizionale, ormai divenuto senza senso per le loro vite e i loro portafogli. Sono marchi che, a partire da uno specifico tecnico come la produzione di tavole, occhiali o mountaineer backpack, sono passati a estensioni di gamma in grado di coprire da testa a piedi chi sorpassa la loro vetrina. Questo vale per Adidas, per Nike e addirittura per Oakley (di nuovo California), che nell’occhialeria propone infinite possibilità di customizzazione. A ciclo continuo spuntano le new entry: ora è il momento di Psycho Bunny (New York), Doublet (Los Angeles) e Opening Cerimony (NY). Non mancano proposte locali assolutamente sintonizzate su questa lunghezza d’onda, come Duffer Japan, Hare o Dvek. Qui ogni altro tipo di allure pare drammaticamente invecchiata, e questo a un europeo lascia un po’ di amaro in bocca.
‒ Aldo Premoli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #45
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