Il Simbolismo romantico di Harald Sohlberg. A Oslo

Nasjonalmuseet, Oslo ‒ fino al 13 gennaio 2019. A quasi trent’anni dall’ultima retrospettiva, Oslo celebra Harald Sohlberg, caposcuola del neoromanticismo norvegese, cantore del paesaggio natio ma capace anche di ammantare le sue opere di intense atmosfere psicologiche. Una mostra in sessanta dipinti oltre a una selezione di bozzetti e disegni, curata da Mai Britt Guleng, in collaborazione con la Dulwych Picture Gallery di Londra e il Museum Wiesbaden.

I suoi luminosi paesaggi traboccanti di colori, quasi sempre privi di figure umane, suscitano l’emozione dell’infinito, spingono a interrogarsi sul senso dell’esistenza. Harald Oskar Sohlberg (Oslo,1869-1935), fu pittore autodidatta perfezionatosi nel 1889 alla Scuola d’Arte e Design di Oslo, e poi allievo di Sven Jørgensen e Kristian Zahrtmann. Tuttavia furono decisivi per la sua carriera i due anni trascorsi a Weimar, alla Scuola Superiore di Arti Visive, fra il 1896 e il 1897. Qui Sohlberg venne a contatto con la Secessione e il suo ramo simbolista, e ciò gli permise di staccarsi dalla pittura accademica scandinava per imboccare un sentiero pittorico del tutto personale. Soltanto Edvard Munch saprà fare altrettanto, in chiave espressionista.

IL FASCINO DEL REMOTO

A caratterizzare il suo approccio al paesaggio, la ricerca di zone non frequentate dai suoi colleghi, dove potesse ritrovare il senso romantico dell’altrove e una certa originalità di soggetto. Scelse quindi luoghi appartati come la regione montagnosa di Rondane (oggi Parco Nazionale), o la cittadina di Røros con un patrimonio architettonico di edifici in legno fra i più antichi e suggestivi d’Europa. Luoghi oggi molto visitati, eppure all’epoca quasi ignorati, che grazie a lui, in breve, divennero assai popolari. Attraverso una tavolozza intensa, ma insieme cupa e pensosa, Sohlberg esprime le sue radici di uomo del Nord, che porta nel cuore la maestosità di una natura luminosa e sferzante, avvolgente ma anche respingente. Il suo stile oscillò sempre fra l’Espressionismo e il Simbolismo, trovando la sintesi in una suggestiva pittura psicologica che riecheggia il Romanticismo, ma in chiave più profonda e matura, all’interno del clima speculativo sulla condizione dell’essere umano nella crisi positivista di fine Ottocento.

Harald Oskar Sohlberg, Notte d’inverno in montagna, 1914. Collezione privata. Photo courtesy Nasjonalmuseet Børre Høstland

Harald Oskar Sohlberg, Notte d’inverno in montagna, 1914. Collezione privata. Photo courtesy Nasjonalmuseet Børre Høstland

LA BELLEZZA PSICOLOGICA DELLA NATURA

Nonostante l’apparenza di naturalismo che permea i suoi dipinti, Sohlberg inseguiva una pittura capace di evocare stati emotivi o psicologici, com’era stato appunto nella tradizione romantica. Alcuni decenni più tardi, a questo slancio si affianca l’inquietudine di fine secolo, dovuta alla crisi politica e sociale che attraversava l’Europa e che, in Scandinavia, avrà nella drammaturgia di Henrik Ibsen la sua traduzione letteraria.
Come si evince dai numerosi quadri a tema ‒ fra i quali quello che è forse il più noto della sua intera produzione, Notte d’inverno in montagna (1914) ‒, la maestosità delle grandi altezze fu un costante riferimento per la sua pittura. L’ispirazione gli veniva dal gusto per la “pittura di montagna” sviluppatasi in Europa sul finire del Settecento, apprezzata anche dai Romantici. Andando tuttavia oltre il loro approccio, Sohlberg trae da quelle rocce spesso innevate non soltanto le emozioni stimolate da un determinato panorama, ma anche riflessioni di carattere più generale sul significato che la montagna aveva per lui, come luogo di riflessione, di solitudine, di ascolto di sé, di metaforica fuga dalla tristezza e la violenza dei tempi. Ma probabilmente Sohlberg tocca le corde più profonde del suo talento pittorico quando si dedica ai tramonti, che riesce a caricare di pathos, di struggente drammaticità, tale da riempire l’anima e togliere il fiato, creando un punto di contatto fra la realtà esterna e l’essenza interiore della condizione umana.

Harald Oskar Sohlberg, Autoritratto, 1896. Collezione privata. Photo courtesy Nasjonalmuseet – Jaques Lathion

Harald Oskar Sohlberg, Autoritratto, 1896. Collezione privata. Photo courtesy Nasjonalmuseet – Jaques Lathion

L’INTENSITÀ DELLA FIGURA UMANA

Muovendosi fra ritratti reali e figure mitologiche come le sirene (sempre ritratte al di fuori dei paesaggi naturali), Sohlberg si profonde in soluzione estetiche ispirate a una pluralità di fonti, che documentano la sua vasta conoscenza di storia dell’arte. Dai disegni a carboncino ispirati al Cinquecento italiano al ritratto psicologico che ricorda Gustav Klimt, passando per la stilizzazione delle stampe giapponesi e l’Espressionismo di James Ensor. Un caleidoscopio stilistico indice dell’attenzione di Sohlberg alle tendenze dell’epoca, a loro volta indice di una vitalità creativa che ha avuto pochi eguali nella storia dell’arte. Pur spaziando fra più stili, l’artista norvegese mantenne sempre la raffinata tensione drammatica che fu propria della Secessione (gli anni in Germania furono per lui fondamentali), e che, a seconda dei casi, scavava nella psicologia del personaggio o assurgeva la figura a simbolo allegorico di morte, distruzione, angoscia. L’Autoritratto ‒ con il suo sguardo penetrante, le labbra socchiuse e alle spalle un cielo fosco che sembra riflettersi in quello stesso sguardo ‒ è forse l’esempio più toccante di questa pittura di figura.
Sohlberg è stato un pittore dal talento e dall’intensità non inferiore a suoi colleghi più noti e celebrati, ma ha giocato a suo sfavore l’aver trascorso tutta la seconda parte della sua vita in Scandinavia, una regione all’epoca poco legata al resto d’Europa, e ciò ha condannato la sua opera a un oblio che in parte dura ancora oggi.

Niccolò Lucarelli

Oslo // fino al 13 gennaio 2019
Harald Sohlberg. Infinite Landscapes
NASJONALMUSEET
St. Olavs plass, N–0130
www.nasjonalmuseet.no

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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