Fuori dallo schermo. Reportage dalla Biennale dell’Immagine in Movimento di Ginevra
Porta la firma di Andrea Lissoni e Andrea Bellini il nuovo capitolo della biennale ginevrina dedicata all’immagine in movimento. La mostra allestita al Centre d’Art Contemporain e un denso calendario di proiezioni restituiscono uno sguardo corale sul presente.
Attualità, politica e mondi distopici sono i temi cardine della Biennale de l’Image en Mouvement inaugurata pochi giorni fa a Ginevra. Sotto la curatela di Andrea Lissoni e Andrea Bellini acquisisce forma un intreccio di punti di vista complementari, veicolati dai protagonisti della kermesse svizzera. In linea con lo spirito che, a partire dal 2014, caratterizza la manifestazione, ciascuna opera è stata commissionata e prodotta dalla Biennale, arricchita, quest’anno, da una mostra radicalmente immersiva, fatta di suono, video e installazione. Ne emerge la volontà, espressa dallo stesso Bellini, di superare i limiti dello schermo, analizzando le molteplici sfumature che determinano le “immagini in movimento”.
Il CAC si trasforma così in uno “sfondo” attivo e pulsante, sulla superficie del quale guadagnano spazio una serie di interventi ben allestiti lungo i quattro piani del museo. Nonostante la varietà di poetiche e geografie, il fil rouge che si dipana attraverso le sale del Centre individua il proprio snodo in una intelligente critica all’epoca attuale, frutto di una indagine a più voci radicata nella Storia, recente e non.
LA MOSTRA
Ne è un esempio, sottilmente d’impatto, l’opera dell’ateniese Andreas Angelidakis, autore di un intervento in cui è l’oro a dominare: il Demos Bar al pianterreno è un mix di elementi modulari dorati, che, insieme alla spillatrice di birra e alle lampade avvolte dalla medesima tonalità, oltre ai rivestimenti murari sparsi su tutti i livelli dell’edificio, danno vita a un ambiente conviviale, dove, tuttavia, si aggira lo spettro della crisi greca e dell’oro usato come risorsa d’emergenza.
Uno spettro, quello della Storia, che affiora anche dall’installazione esclusivamente sonora elaborata da Elysia Crampton e accompagnata dalla performance messa in scena dall’artista durante l’opening: una lecture sulle vicende legate alla colonizzazione spagnola delle Americhe, traendo spunto dai disegni del cronista Guaman Poma de Ayala. Le cronache del tempo presente detonano nella potentissima videoinstallazione di Meriem Bennani, che occupa un intero piano del Centre catapultando il pubblico su CAPS, isola distopica, e drammaticamente verosimile, nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico, abitata da migranti “intercettati” durante il loro viaggio e teletrasportati in uno scampolo di mondo dove si affastellano tradizioni, usi ed esistenze, al limite dell’implosione. È un coccodrillo di nome Fiona a narrare i fatti di CAPS e a comparire, sotto altre spoglie, anche nel menu della cena inaugurale offerta agli ospiti del CAC, esito della collaborazione fra Bennani e la chef Angela Dimayuga.
Mescola poesia, misticismo e realtà il lavoro a quattro mani di Korakrit Arunanondchai e Alex Gvojic, un’opera “totale” che coinvolge tutte le categorie sensoriali, spalancando l’accesso a una caverna buia, rivestita di gusci di conchiglie, ingombra di umidità e di essenze penetranti, nella quale tre video rimandano a un vissuto personale e collettivo, al limite tra spiritualità e concretezza ‒ la vicenda dei ragazzini thailandesi rimasti intrappolati in un reticolo di caverne pochi mesi fa è un richiamo tutt’altro che marginale.
Si attestano sulla linea dell’attualità anche Lawrence Abu Hamdan e Fatima Al Qadiri & Khalid al Gharaballi, artefici, rispettivamente, di una indagine sull’urgenza, ancora una volta distopica, di innalzare muri e barriere a difesa di confini sempre più pretestuosi e sulle dinamiche del “fake”, declinato da Al Qadiri e al Gharaballi in una ironica chiave pop. Porta alla ribalta i meccanismi della comunicazione anche BLKNWS di Kahlil Joseph, un video a due canali innestato sulla dicotomia verità/finzione e sugli angoli ciechi del giornalismo. I processi comunicativi e lo sdrucciolevole terreno della fiction costituiscono la linfa degli interventi di Ian Cheng e Tamara Henderson, immagini in movimento sul fronte cognitivo e cinetico.
I FILM
Proiettate in loop al Cynema Dinamo del museo, le pellicole commissionate agli artisti e prodotte dalla Biennale mantengono lo sguardo puntato sull’oggi, facendo correre in parallelo una riflessione sulle norme che regolano il linguaggio audiovisivo.
Se i giochi di ruolo tipici di un reality show si capovolgono in una cinica tragedia nell’opera di Neïl Beloufa, conflitto e senso di comunità stabiliscono i due opposti fra i quali prende corpo O Vermelho do Meio-Dia di Tobias Madison, calato in un Brasile oggi sul bordo di un abisso politico. Se la censura cinematografica è al centro della ricerca ‒ dai tratti ingenui ed eccessivamente parziali ‒ di Irene Dionisio, le regole alla base della narrazione filmica sono smascherate e al tempo stesso difese da This Action Lies di James N. Kienitz Wilkins, geniale monologo messo in scena da una voce fuori campo e sovrapposto all’inquadratura, fissa, di una tazza di caffè.
Linguaggio, dispositivi poetici e sequenze verbali innervano, seppur in contesti differenti, le pellicole di Eduardo Williams con Mariano Blatt e Bahar Noorizadeh, mentre Florent Meng e James Richards & Leslie Thornton (il cui Abyss Film è stato proiettato durante i giorni dell’opening e poi sostituito da Crossings) intrecciano scienza e potenzialità del linguaggio video.
Infine Rosarium di Sarah Abu Abdallah porta al parossismo un’azione naturale come il pianto, descrivendone la negazione. L’insistenza sulla gestualità ha contraddistinto anche le performance delle giornate inaugurali, che hanno visto protagonisti, oltre a Elysia Crampton, Pan Daijing e le cupe atmosfere di Ligia Lewis.
‒ Arianna Testino
Ginevra // fino al 3 febbraio 2019
Biennale de l’Image en Mouvement
CENTRE D’ARTE CONTEMPORAIN
Rue des Vieux-Granadiers 10
www.bim18.ch
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