La Città Proibita è uno dei luoghi più evocativi del glorioso passato dell’Impero Cinese. Al di fuori del suo complesso sistema di corti e recinti, la città evolve, si espande, accelera in modo esponenziale la sua crescita e la sua proiezione verso il futuro. Dentro le mura del Palace Museum, però, il tempo si è fermato e tutta la sua ieratica architettura riporta alla mente i gloriosi fasti di uno dei più grandi imperi della storia dell’uomo.
All’interno di questo complesso monumentale sorprende l’allestimento di una mostra che si presenta singolare per contenuto, percorso e display.
Si tratta di un unicum nel suo genere, una collaborazione difficile da ripetere, frutto della sinergia tra uno studio di architettura internazionale, la direzione scientifica del Palace Museum e la collezione privata di una galleria d’arte.
Una triangolazione di soggetti diversi che ha portato a un’operazione davvero interessante, in grado di aprire nuovi orizzonti sul fronte delle mostre a Pechino.
SINERGIA A TRE
Procediamo con ordine. The light of Buddha porta al grande pubblico una mostra dedicata alla scultura buddista con ben centododici statue datate tra il VI e il XV secolo d.C. Dieci secoli di storia scultorea sono esposti nei due complessi a corte che formano la Hall of Abstinence, in un delicatissimo sistema di pannelli, luci e tendaggi che esalta l’unicità dei pezzi e accompagna il visitatore a vivere un personale viaggio introspettivo.
Il nucleo più consistente della mostra, ben 87 statue, proviene dalla collezione privata del Zhiguan Museum of Fine Art, cui si aggiungono venticinque pezzi messi a disposizione dal Palace Museum stesso.
Una collezione privata, dunque, entra nel privilegiato luogo della Città Proibita. Agli occhi di noi occidentali può sembrare una normale collaborazione che non fa notizia nel panorama espositivo, ma dal punto di vista cinese, si tratta di una prima volta. Non era mai accaduto, infatti, che una collezione privata venisse esposta all’interno delle maestose mura “proibite”, perché, il Palace Museum è parte della memoria storica collettiva e portatore di valori comuni che non tende a mescolarsi con protagonisti privati latori, invece, di soggettività.
L’ALLESTIMENTO
Autore materiale di questo delicato intervento è stato lo studio di architettura internazionale studio O, di base a Pechino.
Un’operazione per nulla semplice, che ha visto i progettisti trovare una perfetta mediazione tra il valore intrinseco degli oggetti esposti e l’importanza storica dell’involucro. L’intento è stato quello di creare un sistema di allestimento più neutro possibile che esaltasse l’unicità delle statue e allo stesso tempo mediasse la monumentalità del luogo. La soluzione è stata trovata in un sistema di pannellature nere, di luci e di tendaggi che mascherano, seppure con ossequioso rispetto, l’imponenza maestosa del Palace Museum. Una messa in scena che quasi scompare agli occhi del visitatore, il quale può intraprendere un viaggio spirituale e sensoriale in un crescente climax emotivo.
UN PERCORSO ESPERIENZIALE
La Hall of Abstinece, costituita da un tradizionale doppio sistema di architetture a corte, ben si presta a sostenere questo metaforico viaggio iniziatico.
La visita comincia dal cortile più esterno che, per l’occasione, si presenta abitato da otto grandi pilastri di acciaio. Come il prologo di uno spettacolo teatrale, essi anticipano gli avvenimenti della mostra preparando, e contemporaneamente spaesando, il pubblico sul contenuto del percorso. Questi elementi rappresentano l’astrazione delle otto vette principali dell’Himalaya, regione da cui provengono tutte le statue esposte. Quegli oggetti ricordano nella forma spigolosa e nel colore freddo l’ambiente in cui questa tradizione scultorea ha avuto origine e rimandano, attraverso le coordinate presenti sulla loro base bronzea, la posizione di ognuno di essi nel mondo, anticipando ai visitatori l’ordine espositivo delle statue in mostra, organizzato secondo una logica geografica.
Attraversato l’ingresso a pilastri, la visita si snoda in due padiglioni principali collegati da un corridoio coperto. studio O, anche in questo caso, ha saputo mediare l’architettura e modulare lo spazio. Conclusa l’esperienza del primo padiglione, un sistema di pannelli e tendaggi rigorosamente bianchi e rossi ‒colori simbolici che rimandano al candore delle vette innevate e allo scarlatto delle tuniche dei monaci ‒ accompagna il visitatore al secondo livello. Il corridoio, con dei sapienti tagli longitudinali, fa intravedere il sistema esterno a cortili, ricordando per un istante all’ospite di trovarsi nel cuore della Città Proibita, per poi immergerlo di nuovo nel buio del secondo padiglione, illuminato solo dalla luce dei Buddha.
Ancora un intelligente espediente fa percepire lo spazio al visitatore. Alzando lo sguardo, l’allestimento, che fino a questo momento aveva mediato e schermato l’involucro monumentale, lascia, ora, totalmente scoperto il soffitto rivelandolo in tutta la sua antica ricchezza.
Un soffice tappeto costituisce il minimo comune denominatore dell’allestimento che accompagna il pubblico in questo viaggio esperienziale in uno spazio ovattato, astratto, a tratti mistico.
UNA MOSTRA CHE FA LETTERATURA
The light of Buddha ha il vanto di aver segnato un importante tassello nella storia del panorama espositivo della capitale. L’augurio è che questo evento possa fare “letteratura” per il settore delle mostre in Cina, sempre più aperto a intelligenti collaborazioni tra pubblico e privato, tra nazionale e internazionale, segno di un Paese che, consapevole del suo valore e del suo passato, non smette di guardare al cambiamento come prospettiva sul futuro.
‒ Giorgia Cestaro
Beijing // fino al 23 dicembre 2018
The Light of Buddha
THE PALACE MUSEUM
4 Jingshan Qianjie
https://en.dpm.org.cn
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