L’incisione espressionista di Oscar Kokoschka. Succede a Salisburgo
La collezione del Museum der Moderne di Salisburgo presenta una retrospettiva sulla produzione grafica dell’artista austriaco in circa 210 opere, che coprono tutto l’arco della sua lunga carriera, generalmente considerata sotto il solo aspetto pittorico.
Dalla crisi di fine secolo che portò alla Grande Guerra, passando per i totalitarismi e un nuovo conflitto armato seguito dalla Guerra Fredda, fino al radicalismo degli Anni Settanta e all’affermazione della società dei consumi. Oskar Kokoschka (Pöchlarn, 1886 ‒ Montreux, 1980) è stato testimone del traumatico passaggio dall’Ottocento alla modernità, un passaggio raccontato da centinaia di opere d’arte. Attraverso la sua grafica, la mostra salisburghese documenta le evoluzioni stilistiche e tematiche di un artista che è passato dalla Secessione all’Espressionismo fino all’interesse, in tarda età, per l’arte greca antica.
LE METAFORE DI UNA CRISI
Nonostante si fosse cimentato anche con l’incisione su legno e la litografia tradizionale, la sua tecnica preferita rimase la litografia a gesso, il cui risultato finale era esteticamente molto vicino a quello dei disegni, che Kokoschka riusciva a permeare di profonda espressività. Infatti, pur delicata, la sua arte si distingueva per l’assoluto rifiuto di qualsiasi canone estetico, con l’unico obiettivo di rappresentare la sofferenza fisica e morale che permeava la vita quotidiana di gran parte degli europei dell’epoca. In particolare nell’Impero austroungarico, ormai prossimo alla dissoluzione.
Le sue prime prove grafiche riguardano le poesie o gli scritti di prosa, ad esempio quei Ragazzi sognanti del 1908, un racconto adolescenziale di dolorosa scoperta della sessualità, nella Vienna decadente e perversa d’inizio secolo. Fra reminiscenze di Gustav Klimt e dettagli decorativi Art Nouveau, queste opere sono metafora di un angoscioso viaggio interiore, specchio della condizione dell’Europa di quegli anni. Un po’ come Henri de Toulouse-Lautrec, anche Kokoschka si prestò a collaborare con il mondo del teatro. L’angosciante Pietà (1909), realizzata per la Internationale Kunstschau, dimostra tutta la tragica forza del suo espressionismo, cui si era avvicinato non condividendo le atmosfere rarefatte della Secessione: corpi deformati, sguardi allucinati, bocche aperte in dolorosi lamenti, questa moderna rivisitazione di una tematica religiosa esprime tutta l’inquietudine per una situazione sociale e politica che appariva senza via d’uscita.
LA FIGURA UMANA
Trasferitosi in Germania nel 1917 (dopo l’esperienza traumatica in trincea), Kokoschka si dedicò con particolare interesse al ritratto e alla figura umana, che rimase uno dei soggetti principali della sua produzione grafica anche negli anni futuri. Nonostante il diffondersi in Europa delle tendenze astrattiste introdotte da Kandinsky, l’austriaco vi rimase sempre lontano, mantenendo un costante legame con il dato di realtà, anche se interpretato in chiave psicologica. Dai suoi ritratti del periodo di Dresda emerge un espressionismo meno rabbioso e più malinconico rispetto agli esordi, ravvisabile negli sguardi al limite del rassegnato, nelle labbra strette in una piega amara, come dimostra l’autoritratto del 1923, o il ritratto della madre del 1917, reso ancor più drammatico da un sardonico sorriso che, come una lama di pugnale, le attraversa le labbra. Oltre ai familiari, altri suoi soggetti furono alcuni protagonisti della scena culturale di Dresda e Berlino, fra cui Käthe Richter, Hermine Körner e Max Reinhardt.
L’ARMONIA DEL DOPOGUERRA
Fuggito nel 1938 prima a Praga e poi a Londra, visse in Gran Bretagna gli anni della Seconda Guerra Mondiale e fino al 1953, quando, come molti intellettuali austriaci e tedeschi, anche Kokoschka scelse di non tornare in patria e vivere in Svizzera, alla ricerca di una pace, anche interiore, che i tumulti del secolo gli avevano spesso negato. Dal tranquillo buen retiro di Villeneuve, e poi di Montreux, percorse nuovi sentieri creativi, dimostrando interesse per l’arte greca antica. Ai suoi occhi di sopravvissuto agli anni del totalitarismo e della guerra, l’antichità classica rappresentava una fonte imprescindibile di principi etici ed estetici, anche davanti alle insicurezze della Guerra Fredda e alla sottile oppressione della società dei consumi. In particolare, Aristofane e le sue Rane furono oggetti di produzione artistica.
Per questo nuovo immaginario, Kokoschka sviluppa un tratto più disteso, facendo finalmente alcune concessioni alla proporzione estetica. Nume acclamato dell’arte del Novecento, Kokoschka fu coinvolto anche in questioni più “mondane”, come le Olimpiadi di Monaco del 1972 per le quali realizzò alcuni manifesti, dove non viene meno l’ispirazione classica, con il Kouros che per l’occasione si fa simbolo della prestanza atletica e della lealtà sportiva.
‒ Niccolò Lucarelli
Salisburgo // fino al 17 febbraio 2019
Oscar Kokoschka. The Printed Oeuvre in the Context of Its Time
MUSEUM DER MODERNE
Mönchsberg 32
www.museumdermoderne.at
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