Quattro mostre in technicolor. A Vienna

L’autunno-inverno dei maggiori musei viennesi si è appellato al gusto di una tavolozza accesa e vibrante, rimettendo in gioco l’elemento essenziale della rappresentazione pittorica. Dal moderno al contemporaneo.

La maestria del saper catturare le vibrazioni cromatiche “en plein air” è l’elemento che ha determinato la fascinazione per la poetica impressionista. Al punto che, per esempio, il desiderio di trasferire sulla tela gli effetti di luce e i riflessi di colore in riva al mare, gioca un brutto scherzo a Monet, facendolo incappare in un goffo episodio (che racconteremo più avanti). A questo grande maestro del colore, tra i fondatori dell’Impressionismo, l’Albertina sta dedicando una importante mostra antologica. E subito gli fa eco il Belvedere con una artista emergente, Donna Huanca, la quale propone un cromatismo mimetico su corpi vivi, spalmando sullo sfondo scenografico della sua performance potenti stesure di colore in modo astratto, primordiale. A ben vedere, questa rinnovata tendenza a riproporre al pubblico l’uso di cromie forti e diffuse era stata osservata – e prontamente additata da Artribune – già a inizio autunno nel corso dell’evento fieristico Vienna Contemporary 2018.
Nulla di strano, beninteso, che lo charme del colore continui a riproporsi come elemento evocativo per l’arte e per i suoi estimatori. Sappiamo bene, naturalmente, che riguardo alle discipline scientifiche, esso è stato oggetto di vaste indagini teoriche e sperimentali. D’altronde Goethe, autore di una nota Teoria dei colori, affermava che tra la scienza e l’arte c’è una stretta parentela, poiché – secondo lui – l’una (la scienza) nasce dall’altra. Ma non solo: il colore ha finito per contaminare anche il lavoro di chi agisce lontano da certe tematiche. Che dire infatti del filosofo viennese Ludwig Wittgenstein? Tra i più influenti pensatori del Novecento, perennemente impegnato a chiarire i problemi del linguaggio, ha fatto spesso riferimento al colore, seppure non per motivi artistici. Sono alcune centinaia le sue osservazioni, poi raccolte in un libro postumo alquanto originale (Osservazioni sui colori), incentrato sulla determinazione logica del concetto di colore, spostando l’attenzione su ciò che realmente percepiamo di esso senza sovrapposizioni psicologiche, con l’intento di applicare all’esperienza sensoriale il metodo husserliano della “riduzione fenomenologica”.
Tornando ai vari luoghi viennesi che hanno scelto di rendere viva la stagione invernale, non manca all’appello il Mumok, museo all’interno del MQ (sigla del MuseumsQuartier che i viennesi pronunciano Muqva). Qui la mostra di maggiore richiamo è Malerei mit Kalkül (Pittura con calcolo), una collettiva con i grossi nomi delle avanguardie internazionali tra gli Anni Cinquanta/Settanta, nella quale – guarda caso – la selezione delle opere “con calcolo” è coloritissima. E ancora, ma stavolta per una autentica “passeggiata” sul colore, l’ex 21er Haus, di recente ribattezzato Belvedere 21, mette le opere di Polly Apfelbaum sotto i nostri piedi.

CLAUDE MONET ‒ ALBERTINA

Claude Monet, L'Aiguille vue à travers la Porte d'Aval, 1886 © National Gallery of Canada, Ottawa

Claude Monet, L’Aiguille vue à travers la Porte d’Aval, 1886 © National Gallery of Canada, Ottawa

Negli Anni Ottanta dell’Ottocento Claude-Oscar Monet (Parigi, 1840 ‒ Giverny, 1926), ormai noto nell’ambiente artistico parigino, continua a sfornare opere en plein air, vibranti di luce e colore: costi quel che costi! È lui stesso a raccontare in una lettera ad Alice, la sua amante, la disavventura capitatagli su una spiaggia della Normandia: “Completamente assorto nel mio lavoro, non vedo arrivare l’enorme onda che mi scaraventa contro uno scoglio e mi sommerge nella sua spuma insieme a tutta l’attrezzatura […] La tavolozza che tenevo in mano mi ha colpito sul viso e la mia barba si è ricoperta di blu, giallo, e altri colori”. L’artista, zuppo e malconcio, confessa poi di non essersi preoccupato del suo stato, ma di sentirsi molto rattristato per la perdita della tela. Insomma, è sempre presente nell’artista l’interesse nel cogliere dal vivo certi attimi della realtà. Anzi, questa dedizione, al limite della ossessione, lo accompagnerà per tutta la vita, quando la sua tecnica pittorica evolverà verso una pennellata rapida, quasi illeggibile, caratterizzata da una tavolozza sempre più accesa.
Attraverso un centinaio di opere selezionate con puntuale perizia, la mostra – curata da Heinz Widauer – ripercorre cronologicamente la carriera artistica di Monet insieme alla sua vicenda biografica (ben ricostruita nell’audioguida disponibile anche in italiano).
L’inizio carriera di Claude Monet è anche l’inizio dell’Impressionismo, ovvero una visione rivoluzionaria dell’arte che intende fissare attimi salienti nella vita della emergente società borghese moderna, principalmente nella metropoli parigina, contestando apertamente contenuti artistici e metodi selettivi della corrente “ufficiale”, rappresentata dalla Académie des beaux-arts.
Nel 1863, pietra miliare per l’arte, un gruppo di artisti “ribelli” dà vita al Salon des Refusés; il non ancora ventitreenne Monet c’è! Detto per inciso, nel ’63 il quotidiano Le Figaro pubblica una raccolta di saggi del poeta Charles Baudelaire con un titolo significativo e particolarmente suggestivo: Le peintre de la vie moderne (Il pittore della vita moderna). Quale il profilo baudelairiano di costui? Un dandy, flâneur, “sposato alla folla”, ma distaccato partecipe del mondo. Non è un caso, quindi, che la mostra ponga tra le primissime opere una tela che inquadra dall’alto la folla in un boulevard: si tratta per l’appunto di Boulevard des Capucines, del 1873. L’artista, però, non si affeziona mai troppo ai soggetti che ritrae, piuttosto è attratto dai fenomeni naturali o atmosferici che avvolgono certi soggetti, immancabilmente all’aperto, in condizioni di tempo anche estreme. Lo attrarrà Londra per la sua tipica nebbiolina, o gli effetti di luce sulla facciata della cattedrale di Rouen. Soggetti dipinti tutti innumerevoli volte. Al tempo stesso si dedica a ritrarre i suoi familiari, di cui la mostra offre vari esempi, interessanti anche per il taglio fotografico che offrono, come nel bellissimo dipinto Ragazze su una barca a remi, del 1887, scelta come l’immagine di richiamo all’intera esposizione.

Vienna // fino al 6 gennaio 2019
Claude Monet
ALBERTINA
Albertinaplatz 1
www.albertina.at/

DONNA HUANCA ‒ UNTERES BELVEDERE

Donna Huanca. Piedra quemada. Installation view at Unteres Belvedere, Vienna 2018. Photo Johannes Stoll © Belvedere Wien

Donna Huanca. Piedra quemada. Installation view at Unteres Belvedere, Vienna 2018. Photo Johannes Stoll © Belvedere Wien

I giovani corpi maschili e femminili, spalmati di colori e mostrati nella loro nudità, riflettono con ambigua superficialità il reale contenuto della prima esibizione austriaca di Donna Huanca (Chicago, 1980), autrice e regista di un intervento multimediale intitolato Piedra Quemada (Pietra bruciata). Lei, artista boliviano-statunitense con base a Berlino, è giustamente in ascesa nell’universo della performance.  A ospitare questo suo complesso lavoro – sotto la cura di Stella Rollig – è il padiglione Unteres Belvedere, monumentale dependance barocca, posizionata nella parte bassa del parco Belvedere.  E, per l’appunto, dato il ricco contesto storico e stilistico, la mostra si potrebbe intendere come dialogo tra l’arte dei secoli scorsi e l’espressività contemporanea, soprattutto riferita alla scultura. A tale prospettiva sembrano indurre le coordinate guida della mostra, cosa in realtà riduttiva. Non è – fortunatamente – il gioco dei raffronti il senso preminente del grande “tableau vivant” di Huanca, un allestimento costantemente in mutazione fin dal debutto (anche se nel corso delle settimane il numero degli “attori” si è assottigliato rispetto all’inaugurazione).  È innegabile, però, che proprio l’accostamento paradigmatico con il “classico” – o piuttosto con il barocco – evidenzi e chiarisca il vigore straniante di questa mostra.
L’opera complessiva di cui viene a far parte il visitatore è concepita come transito cognitivo di esperienze sensoriali primitive, pre-categoriali. Il passaggio da una sala all’altra del padiglione è marcato da forti variazioni dell’intensità luminosa: dal chiarore abbagliante del giorno al blu cupo della notte, tutto nella dimensione di un mondo ancestrale di cui non si ha più esperienza né memoria. S’incontrano sagome scultoree senza un effettivo spessore, da cui pendono materiali flosci, indecifrabili. Due grandi schermi video mostrano, separatamente, con inquadrature close up, i movimenti lenti di corpi imbrattati, in esplorazione di se stessi.
La presenza umana è nella forma costante della mimesi cromatica, rispetto alla scenografia di fondo, creata da pannelli di dimensioni smisurate e spalmati di pigmenti dallo spessore materico. Su di essi hanno agito precedentemente dei corpi umani con libera gestualità. L’emissione discreta di suoni e rumori naturali contribuisce a connotare l’incontro con un puro mondo della vita, primordiale, astorico. Un mondo che, ovviamente, contrasta con il raggruppamento scultoreo di ninfe di gesso bianco che l’artista ha posto al centro di una sala, svelando di esse qualche dettaglio formale. E che, appunto, in un tempo a venire, non saranno che forme “vuote” di divinità ornamentali.

Vienna // fino al 6 gennaio 2019
Donna Huanca. Piedra Quemada
UNTERES BELVEDERE
Rennweg 6
www.belvedere.at/en

MALEREI MIT KALKÜL ‒ MUMOK

Una popolosa collettiva tematica, questa mostra intitolata Malerei mit Kalkül, che in italiano suona Pittura con calcolo; circa una cinquantina di artisti per la rievocazione di oltre un ventennio, tra gli Anni Cinquanta e i Settanta del secolo scorso. La mostra è una selezione di opere dalla ricca collezione del Mumok. Tra i personaggi più noti ci sono Josef Albers, Jim Dine, Dan Flavin, John Baldessari, Yves Klein, Hermann Nitsch, Kenneth Noland, Ed Reinhard, Frank Stella; e ci sono anche Piero Manzoni e Pino Pascali. Diverse le linee di sviluppo dell’arte che però hanno in comune una rottura radicale con le tendenze precedenti. La mostra intende mettere in evidenza gli impulsi chiave provenienti dall’arte minimalista e dall’arte concettuale; ne deriveranno principi talvolta rigorosi, che si sono concretizzati in una pittura prevalentemente astratto-geometrica, utilizzando al tempo stesso la varietà cromatica in funzione di una molteplicità di codici espressivi.

Vienna // fino al 5 maggio 2019
Malerei mit Kalkül
MUMOK
Museumsplatz 1
www.mumok.at/

POLLY APFELBAUM ‒ BELVEDERE 21

Polly Apfelbaum. Happiness Runs. Installation view at Belvedere 21, Vienna 2018 © Belvedere Wien, 2018. Photo Sandro Zanzinger

Polly Apfelbaum. Happiness Runs. Installation view at Belvedere 21, Vienna 2018 © Belvedere Wien, 2018. Photo Sandro Zanzinger

A piedi nudi sui coloratissimi e immensi tappeti di Polly Apfelbaum (1955), artista statunitense per la prima volta a Vienna, in uno spazio museale che è un luogo molto congeniale ai suoi lavori, per dimensione e luce. Sono tappeti fatti a mano e realizzati in Messico su progetto dell’artista. Polly trae ispirazione dalle correnti più accreditate dell’arte contemporanea, come il Bauhaus, la Minimal Art, la Pop Art, apportando una variante considerevole, ossia ponendo – per forza di cose – a terra le sue opere e lasciando che il pubblico le percorra, le calpesti, le accarezzi, ci si sieda e ci si sdrai. Per gli spettatori si risolve in un’esperienza plurisensoriale tra colori, forme e materiali.

Vienna // fino al 13 gennaio 2019
Polly Apfelbaum. Happiness Runs
BELVEDERE 21
Arsenalstraße 1
www.belvedere.at/en

Franco Veremondi

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Franco Veremondi

Franco Veremondi

Nato a Perugia, residente a Roma; da alcuni anni vive prevalentemente a Vienna. Ha studiato giurisprudenza, quindi filosofia con indirizzo estetico e ha poi conseguito un perfezionamento in Teoretica (filosofia del tempo) presso l’Università Roma Tre. È giornalista pubblicista dal…

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