Al Kunsthistorisches Museum (KHM) di Vienna l’arrivo di un nuovo direttore generale, il tedesco Eike Schmidt (1968, Freiburg in Breisgau), è promettentissimo. Proviene dagli Uffizi di Firenze dopo la permanenza di un solo mandato quadriennale – iniziato nel 2015 – e l’abbandono volontario quanto inatteso di tale incarico. Curriculum ad hoc, naturalmente: storico d’arte che, precedentemente al soggiorno fiorentino, è stato curatore alla National Gallery of Art di Washington, medesimo incarico al Getty Museum di Los Angeles, successivamente ingaggiato dalla casa d’aste Sotheby’s di Londra come responsabile del settore arti visive. Nel 2017, alla conferenza che lo proclamava direttore del KHM – a partire dal 2019, per l’appunto – ha espresso il desiderio di voler rinnovare concetti e pratiche della gestione museale.
DESIDERIO DI CAMBIAMENTO
Già, ma quale era stata la spinta, nel 2017 da parte dell’allora apparato ministeriale, oggi non più in carica, a voler cambiare il futuro orientamento direttivo del KHM? Probabilmente il consueto “movimentismo” politico/elettorale, giacché la direzione museale affidata nel 2009 a Sabine Haag (Bregenz, 1962), e premiata con un secondo mandato, aveva dato i suoi risultati, cosa che per la titolare poteva significare la concreta speranza di un terzo mandato. In effetti, sul piano delle visite, le presenze del pubblico erano passate dalle 550mila del 2008 alle circa 800mila degli ultimi anni, frutto ovviamente di una efficiente gestione organizzativa e di tutta una serie di eccellenti proposte, non solo espositive. Come, ad esempio, la rivoluzionaria apertura, nel 2012, di iniziative legate all’arte moderna e contemporanea, affidata ad un abile curatore come Jasper Sharp, con un settore dedicato ad esposizioni che innescavano dialoghi e confronti figurativi tra l’antico e il moderno, e un altro ambito in cui svolgere reali conversazioni, la prima delle quali ebbe luogo alla presenza di tanto pubblico tra il curatore e Jeff Koons. Ne sono seguite altre, sempre con artisti di fama internazionale, o con collezionisti di rilievo, galleristi e direttori di istituzioni. Non per nulla la Haag ha più volte dichiarato di concepire il museo come un palcoscenico, adottando il concetto del linguista e filosofo Wilhelm von Humboldt (1767-1835) – un personaggio chiave della moderna cultura europea – secondo cui: “il museo deve divertire e poi educare”.
UN BILANCIO DELLA PRECEDENTE DIREZIONE
Ma il vero vanto di Sabine Haag è dato da alcune storiche mostre che hanno affiancato le collezioni permanenti, come Diego Velazquez e Peter Paul Rubens, oppure da una memorabile ritrattistica tedesca con artisti da capogiro come Albrecht Dürer, Lucas Cranach, Hans Holbein. Un impegno, va detto, facilitato dal fatto che al KHM appartengono molti dei capolavori dei grandi maestri della storia dell’arte. E infine, come un effervescente addio al suo capitanato, è arrivata la strabiliante, gigantesca mostra monografica Bruegel, inaugurata lo scorso ottobre e ora in dirittura d’arrivo. Una mostra che raccoglie i tre quarti delle opere pittoriche di Pieter Bruegel il Vecchio (1525/30-1569), questo originale e impertinente pittore olandese. Per chi volesse visitarla all’ultimo istante, avvertiamo che sarebbe inutile affrettarsi, i biglietti d’ingresso sono esauriti da parecchio. In definitiva, un successo internazionale fuori dall’ordinario, 400mila visitatori in un centinaio di giorni: il pubblico di una biennale di rango.
– Franco Veremondi
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