L’Italia di Caspar van Wittel. In Olanda
In collaborazione con il Museum Flehite, il Kunsthal KAdE di Amersfoort ospita la prima grande retrospettiva olandese dedicata al celebre artista, che ne ripercorre la carriera di paesaggista molto affezionato all’Italia, dove trascorse gran parte della sua vita. Circa cento opere, fra dipinti, guazzi e disegni, provenienti da collezioni pubbliche e private, con numerosi prestiti italiani.
Maestro del vedutismo e della prospettiva geometrica, Caspar Adriaensz van Wittel (Amersfoort, 1653 ‒ Roma, 1736) è stato fra i pionieri del Grand Tour e del vedutismo italiano, conquistato come fu dalla bellezza del paesaggio e delle città della Penisola.
Allievo in patria di Gerrit Berckheyde, Jan van der Heyden e Matthias Withoos, da quest’ultimo, che aveva soggiornato anche a Roma fra il 1650 e il 1652, apprese la pittura di paesaggio e assorbì la fascinazione per l’Italia. Appartiene ai suoi anni giovanili l’unica sua veduta di Amersfoort a oggi nota ed esposta in mostra. Sodale di Pieter Saenredam, condivise con lui l’interesse per la topografia urbana, conoscenze che gli torneranno utili a Roma e, più in generale, per sviluppare il suo lavoro di vedutista utilizzando la nuova invenzione della camera oscura. Le sue prime prove sul paesaggio olandese si differenziano da quelle dei contemporanei per una maggiore luminosità e per la ricchezza dei particolari.
IL PAESAGGIO ITALIANO
Appena ventenne, van Wittel scelse di recarsi in Italia, attratto principalmente dal fascino controverso della Roma papale, dove si unì con entusiasmo alla vivace comunità dei Bentvueghels e dove conobbe Cornelius Meyer, un ingegnere impegnato in alcuni lavori di sistemazione idraulica sul Tevere nella zona di Piazza del Popolo. Meyer lo incaricò di eseguire alcuni disegni tecnici per i suoi progetti, e da allora un rigoroso geometrismo sovrintese alle prospettive delle sue vedute, alla linearità degli edifici riprodotti.
Dal Ponte Sisto a Piazza Navona, passando per Piazza del Popolo e Ripa Grande, il Quirinale e l’Isola Tiberina, van Wittel ci restituisce una Roma popolare, dove al paesaggio si affianca la vita quotidiana di pescatori, barcaioli, venditori ambulanti. Curiosamente, nei suoi dipinti van Wittel inserisce cieli molto nuvolosi, più di quanto sia consueto a Roma, ed è ipotizzabile, in questo suo “adattamento”, un pizzico di nostalgia per l’Olanda, certamente meno soleggiata dell’Urbe ma a lui giustamente cara. Nuvole a parte, per la loro schiettezza, non priva però di eleganza, quelle vedute riscossero molto successo e procurarono all’artista numerosi estimatori e acquirenti, sia fra la nobiltà romana sia fra i residenti stranieri in città, fra cui quel Thomas Coke che divenne uno dei suoi più importanti collezionisti.
Napoli fu un altro dei luoghi elettivi di van Wittel, che vi soggiornò a lungo e “pubblicizzò” le bellezze della città per i futuri appassionati del Grand Tour; della capitale borbonica ci restituisce angoli come la salottiera Riviera di Chiaia, la maestosa Darsena con i velieri all’ancora e scorci inconsueti come la Grotta di Seiano.
L’ORIGINALITÀ DEL METODO
Anziché tracciare una griglia geometrica sul disegno da trasporre sulla tela, van Wittel disegna all’interno di una griglia già tracciata, e per far ciò utilizza una camera oscura con un vetro preparato in tal modo. Dopodiché, sul disegno ottenuto, ritraccia la quadrettatura, e se necessario modifica le proporzioni degli edifici per rendere più aggraziata la composizione. L’aggiunta successiva di elementi “di scena” quali barche, figure umane, banchi di vendita, e altro, creava l’impressione di una scena costruita dal vero, ma in realtà nata “a tavolino”, utilizzando la strumentazione tecnica della camera oscura, da poco inventata e largamente approfondita sull’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.
L’INFLUENZA SUI VEDUTISTI
Attratto dal fascino della Serenissima, che pur in decadenza restava una città raffinata e gaudente, van Wittel (ormai per tutti “Vanvitelli”) completò qui il suo pellegrinaggio italiano, in una pausa del soggiorno romano. Di Venezia ci restituisce la dimensione di città sull’acqua, prediligendo il Canal Grande, e fu il primo pittore a immortalarne l’ansa all’altezza della maestosa chiesa di Santa Maria della Salute, uno scorcio che sarebbe poi divenuto un classico nella tradizione dei vedutisti. Canaletto, che a Roma vide molte di quelle vedute, scelse di impostare la sua carriera proprio su questo genere, conquistato sia dallo stile di van Wittel sia dalla buona risposta di pubblico e di vendite che quelle pitture riscuotevano. Tuttavia, rispetto a lui, la tecnica dei vedutisti appare più fredda, come si evince dal confronto proposto dalla mostra: una certa staticità delle figura ingessa la scena e toglie quella schiettezza che van Wittel sapeva invece ottenere. Anche nell’ambiente romano la lezione dell’olandese ebbe seguito, perché indirizzò in parte anche lo stile di Giovanni Battista Piranesi, in particolare nella maniera di ritrarre le piccole folle in atteggiamenti inconsueti di movimento della scena, come ad esempio la sosta presso le fontane. Ed è però paradossale che artisti italiani abbiano imparato a guardare il loro Paese attraverso gli occhi degli stranieri.
‒ Niccolò Lucarelli
Amersfoort // fino al 5 maggio 2019
Maestro van Wittel – Dutch master of the Italian cityscape
KADE KUNSTHAL
Eemplein 77
www.kunsthalkade.nl
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