Il senso delle donne per la scienza. Lotta al gender gap, tra Barbie e università

La disparità di genere si misura anche nell’accesso limitato delle donne al settore delle scienze. Dai banchi di scuola fino ai ruoli apicali nel lavoro. L’UNESCO si impegna per promuovere una cultura diversa e anche le aziende danno una mano: da L’Oreal a Mattel.

È una distanza che, fisiologicamente, si assottiglia. Perdendo di significato nel lento affrancarsi dalla dittatura di stereotipi ammuffiti. Eppure c’è, resiste. Anche l’Occidente più riformista e progressista mantiene la sua quota di “gender gap”, la disparità tra genere maschile e femminile per ragioni di cultura e di cliché.

STEM, GENDER GAP E NOBEL

Un fenomeno particolarmente evidente per quel segmento del sapere definito STEM, acronimo di Science, Technology, Engineering, Mathematics. Il vasto rassemblement delle discipline scientifiche, che va dalla botanica all’informatica, passando per la geologia e l’ingegneria, è da sempre terreno accidentato per i complessi processi di emancipazione femminile. Sono storicamente in maggioranza gli uomini che si dedicano a certe branche della scienza, e il divario cresce non appena si accede al mondo del lavoro, per farsi ampissimo a voler contare i ruoli apicali e gli incarichi di prestigio. Divario che riguarda anche – a parità di mansione – l’odiosa faccenda della retribuzione economica: i maschi guadagnano di più. Una delle ragioni può essere rintracciata in parte nella più alta percentuale di part-time riservata alle donne, evidentemente vincolate – per cliché, ancora una volta – agli oneri della gestione familiare, all’educazione dei figli, alla presa in cura di familiari anziani o malati.
Stesso gap di matrice maschilista sul piano dell’establishment e del sistema culturale ufficiale. In 118 anni di vita, ad esempio, il Premio Nobel è andato 50 volte a una donna e 844 volte a un uomo: 16 donne sono state insignite col Nobel per la Pace, 14 per la Letteratura, 12 per la Medicina o la Fisiologia, 5 per la Chimica e solo 3 per la Fisica. Il 2018 è stato in tal senso un anno importante: tre donne in una volta sola, meritatesi il Nobel per la Pace (Nadia Murad), per la Chimica (Frances H. Arnold) e per la Fisica (Donna Strickland).

Donna Strickland, Nobel per la Fisica nel 2018

Donna Strickland, Nobel per la Fisica nel 2018

DONNE E SCIENZE

Ma vediamo qualche numero. Secondo un rapporto UNESCO del 2018 circa il 72% dei ricercatori scientifici nel mondo è costituito da uomini: solo il 28.8% di scienziati è donna, con un  39.5% registrato nell’Europa Centrale e Occidentale e un 37,4% in Italia. E se il Chad ha il dato più basso, con un misero 4,8%, sorprendenti sono alcuni raffronti, come quello tra la Francia – che ha solo il 27% – e la Bolivia, col suo 62,7%.
Dati interessanti arrivano anche dall’OCSE, in riferimento alle scelte universitarie. In un rapporto del 2017 si legge, a proposito dell’Italia (in generale ferma a un pietoso 18% di laureati, seconda percentuale più bassa tra i Paesi OCSE dopo il Messico): “Alla stregua di tutti i Paesi dell’OCSE, gli uomini rappresentano la grande maggioranza dei laureati di primo e secondo livello nel campo delle Tecnologie dell’Informazione e delle Comunicazioni (79% di primo livello e 86% di secondo) e in Ingegneria, Produzione industriale e Edilizia (69% e 73%). Le donne sono sovrarappresentate nel settore dell’Istruzione, delle Belle Arti e delle discipline umanistiche, nelle scienze sociali, nel giornalismo e nell’informazione; nonché nel settore della sanità e dei servizi sociali”. Bene, a sorpresa,  anche l’accesso alle facoltà di scienze naturali, matematica e statistica, dove le donne rappresentano “più del 60% dei laureati in questi campi”.

L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza, edizione 2015. Ph. by Globus Magazine

L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza, edizione 2015. Ph. by Globus Magazine

L’IMPEGNO DI UNESCO E i PREGIUDIZI RESIDUI

Se dunque le donne italiane sempre più spesso scelgono percorsi universitari di ambito STEM, la carriera poi non decolla o non arriva proprio. E il dato è più o meno omogeneo in tutta Europa. Tanti i progetti e le campagne istituzionali, supportati anche da imprese private e fondazioni, per favorire la ricerca al femminile e promuovere il tema dell’alfabetizzazione scientifica tra bambine e ragazze.
A partire da UNESCO, che l’11 febbraio del 2015 ha istituito la “Giornata Internazionale delle Donne nella Scienza”. Ed è targata UNESCO, ad esempio, l’iniziativa globale denominata SAGA, che sta per “STEM and Gender Advancement”: a sostenerla è il governo svedese, attraverso la sua Agenzia per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo (Sida). Obiettivi? Contribuire alla riduzione del divario di genere nei campi della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica, in tutti i paesi del mondo e a tutti i livelli dell’istruzione e della ricerca. Gli strumenti sono quelli della misurazione statistica, della valutazione sociologica, del sostegno agli Stati membri per lo sviluppo di opportuni strumenti di politiche scientifiche, tecnologiche e innovative (STI), capaci di influenzare la parità di genere in STEM.
È giunto invece alla sua XVIII edizione il premio “L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza”, promosso dal colosso francese della cosmesi in collaborazione con la Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco: sono oggi 82 le ricercatrici meritevoli che, grazie a questo fellowship, hanno potuto proseguire i propri studi in Italia. Ogni anno sono assegnate sei borse di studio, ognuna del valore di 20mila di euro, sulla base di specifici progetti di ricerca sottoposti a una commissione di professori universitari ed esperti nel campo delle scienze.
Misure importanti, a fronte di un divario sociale che trova a volte un’improbabile sponda nelle dichiarazioni di autorevoli personaggi. L’ultima uscita shock è del fisico Alessandro Strumia. Durante un congresso sulla parità di genere organizzato dal Cern, il docente di fisica teorica dell’Università di Pisa ha citato dati e studi a supporto della sua tesi: “La fisica l’hanno inventata e costruita gli uomini”, mentre le donne – spesso favorite per motivi ideologici e di politically correct, non per reali meriti – sarebbero più ferrate nelle attività relazionali e meno in quelle materiali, a causa di differenze biologiche (funzionamento del cervello e livelli di testosterone). Migliori, ad esempio, nelle tradizionali aree umanistiche e sociali, che non nella ricerca scientifica.
A smentire certe enormità è però la scienza stessa. La University of New South Wales di Sydney ha recentemente pubblicato su Nature Communications uno studio focalizzato sulle performance scolastiche e universitarie di 1,6 milioni di studenti e studentesse di 268 scuole di tutto il mondo. In accordo con centinaia di altre statistiche mondiali, i voti delle ragazze sono risultati in media più alti di quelli dei loro compagni. In generale le differenze di genere sono risultate minori proprio nelle materie scientifiche.

La Barbie ispirata all'astronauta Samantha Cristoforetti

La Barbie ispirata all’astronauta Samantha Cristoforetti

MATTEL E NATIONAL GEOGRAPGHIC: ANCHE BARBIE SCEGLIE LA SCIENZA

Va da sé. Per estirpare il pregiudizio dall’immaginario collettivo occorre però lavorare sui più giovani. Raccontando loro una realtà alternativa, mondata da pregiudizi e luoghi comuni.
Ed ecco che anche l’universo del gioco si fa strategico. Lo storico marchio di giocatoli Mattel e l’autorevole rivista National Geographic hanno siglato un accordo per la creazione di una linea di prodotti dedicata ai temi della conoscenza scientifica, della salvaguardia ambientale e della ricerca. Così, se nel 2018 arrivava la Barbie ispirata a Samantha Cristoforetti, ingegnere spaziale e astronauta, prima donna entrata a far parte delle missioni ESA (Agenzia Spaziale Europea), nell’autunno 2019 sono attese Barbie e relativi playset in tema STEM: l’ambientalista, l’astrofisica, la biologa marina, la fotografa naturalista, l’entomologa.
Nel primo caso si trattava di un capitolo del programma “Shero”, con cui Mattel celebra decine e decine di eroine che hanno superato i confini nei rispettivi campi professionali, ispirando generazioni di bambine: da Frida Kahlo all’aviatrice Amelia Earhart, dal matematico della NASA Katherine Johnson, prima donna afroamericana ad aver spezzato, nel 1938, le barriere segregazioniste dell’Università della Virginia Occidentale, fino a campionesse sportive come Ibtihaj Muhammad, americana di fede musulmana, e Nicola Adams, inglese di origini africane, rispettivamente eccellenze della scherma e della boxe. La bambola Cristoforetti, con la sua tutina bianca di neoprene, diventava un’icona di talento, ambizione ed energia intellettuale, protagonista dei sogni di piccole aspiranti cosmonaute.

Quanto alle nuove “dolls”, dotate di tutti gli accessori del caso – non le solite spazzole, scarpette e bijoux, ma bastimenti minuziosi di insetti, vegetali, lenti d’ingrandimento, macchine fotografiche, camici, provette, binocoli, microscopi – arrivano oggi a dischiudere tutto il fascino di mestieri non così diffusi, non così scontati, men che meno per l’altra metà del cielo.
Barbie permette alle bambine di interpretare nuovi modelli attraverso la narrazione, mostrando loro che possono essere tutto ciò che desiderano”: sono parole di Lisa McKnight, senior vp e general manager Barbie. Che ha aggiunto: “Grazie a questa nuova linea di prodotti daremo la possibilità alle bambine di esplorare il mondo e le diverse carriere direttamente nelle loro case”. Stessi concetti per Susan Goldberg, direttore responsabile di National Geographic e direttore editoriale di National Geographic Partners, che ha sottolineato il valore di un accordo utile a “raggiungere i bambini in un modo completamente nuovo, usando il potere del gioco per ispirare le prossime generazioni di esploratori, scienziati e fotografi”.

Il senso delle donne per la scienza. Lotta al gender gap, tra Barbie e università

La lettera trovata in una confezione Lego del 1974

AVANGUARDIA LEGO

Ma avventurandosi nel meraviglioso mondo dell’archeologia del giocattolo, alcuni precedenti illustri indicano l’origine di una sfida ancora aperta e necessaria. Erano i primi Anni Settanta e incredibilmente lontane sembravano, per le masse quantomeno, le istanze femministe più radicali, i temi della parità e dell’identità di genere, l’attenzione all’educazione sessuale e al rispetto delle differenze. Anni in cui – ma non è cambiato molto – il reparto balocchi dei maschietti si distingueva nettamente da quello delle femminucce: l’azzurro e il rosa, le macchinine e le bambole, le pistole e il make up, i super eroi e i peluche, il Piccolo Chimico e il Dolce Forno. E guai a contaminare.
Eppure il futuro faceva già capolino, tra un’aula universitaria, un consultorio femminile, le nuove leggi sul divorzio, poi sull’aborto, quindi sul matrimonio riparatore… E tra i giocattoli, persino. Risale a qualche anno fa la scoperta di una pagina stampata, rimasta dentro una scatola di costruzioni Lego del ’74 e postata da un utente sul social network Reddit.
Come confermato da Lego Italia, era parte di un opuscolo incluso in alcuni set dedicati alle case delle bambole. Il testo recitava così:

Ai genitori.
La voglia di creare è forte in tutti i bambini. Maschi e femmine. È l’immaginazione che conta, non l’abilità. Costruisci quello che ti viene in mente, nella maniera che desideri. Un letto o un camion. Una casa delle bambole o un’astronave.
A molti bambini piacciono le case delle bambole: sono più umane delle astronavi. A molte bambine piacciono le astronavi: sono molto più emozionanti delle case delle bambole.
La cosa più importante è mettere nelle loro mani il materiale giusto e lasciare che creino qualsiasi cosa preferiscano
”.
L’intelligenza di un brand: il re delle costruzioni danese, nato nel 1932, amato da generazioni di bambini e genitori, celebrato da una quantità di artisti, mostre, iniziative ricreative e culturali, mezzo secolo fa era già avanguardia, freschezza di sguardo, pedagogia del futuro, termometro ludico dei desideri e delle istanze sociali in fermento. Mattoncini senza tempo, con cui fare mondi, costruire fantasie d’infanzia, sperimentare modelli di società e di relazioni. Tra educazione civica e marketing culturale.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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