Osservando le prime manifestazioni artistiche della modernità poco oltre metà Ottocento, Charles Baudelaire, poeta simbolista e acuto osservatore dei fenomeni culturali, reagì affermando che l’avversione per il “naturale” dell’arte emergente era in realtà il tentativo di afferrare una nuova e superiore purezza. Una annotazione che ci appare letteralmente aderente alla concezione pittorica di Mark Rothko, artista “newyorkese” tra i più significativi del Novecento, astrattista austero e ascetico maestro del colore, a cui il viennese Kunsthistorisches Museum sta dedicando una superba antologica.
Molto indicativo, rispetto all’etica artistica di Mark Rothko, l’episodio del 1964 dopo che in precedenza a lui era stata commissionata una serie di grandi dipinti per conferire uno charme di autentica modernità al ristorante Four Seasons, all’interno del Seagram Building di Manhattan, celebratissima architettura di Mies van der Rohe. Recatosi a cena con la moglie Mell (sposata in seconde nozze), l’artista vi scoprì un ambiente pomposo con un pubblico chiassoso e distratto: un’atmosfera assolutamente inadatta allo spirito delle sue opere astratte, che invece avrebbero richiesto una contemplazione silenziosa. Decise quindi di ritirarsi dal progetto, restituendo per intero la cospicua somma di denaro che gli era stata pagata come acconto. Quella serie di opere, portata poi a termine dall’artista, è stata collocata in tre importanti sedi, quali la Tate Gallery di Londra, il Kawamura Memorial Museum in Giappone e la National Gallery of Art di Washington. Alcune di queste grandi realizzazioni sono attualmente in prestito al Kunsthistorisches Museum di Vienna per la mostra Mark Rothko.
LA MOSTRA A VIENNA
L’esposizione viennese – curata da Jasper Sharp con la consulenza diretta di Christopher Rothko, figlio dell’artista – si compone di una quarantina di opere davvero emblematiche, e si snoda esplorando la traiettoria biografica e creativa dell’artista a cominciare dalle sue esperienze pittoriche di tipo figurativo. Esperienze che, attraverso una serie di passaggi tendenti a negare l’oggettiva del reale, abbandonerà del tutto alla fine degli Anni Quaranta per dedicarsi a quella sua invenzione costituita da particolari campiture di colore che lo hanno reso celebre e fortemente riconoscibile. Ma, per l’appunto, data la collocazione della mostra in una delle istituzioni museali tra le più ricche di capolavori storici, l’evento si offre anche come punto d’osservazione e riflessione tra l’arte classica, ovvero figurativa, e il passaggio alla modernità astratta. Molteplici, pertanto, le trame da cogliere, anche in riferimento alle tecniche coloristiche dei grandi maestri, come Tiziano o Rembrandt, attentamente studiate e rielaborate dall’artista d’avanguardia Rothko. Un complesso di fattori, dunque, in accordo con il concetto basilare che “l’arte sorge sempre dall’arte passata”, un principio espresso ad esempio dal filosofo e antropologo tedesco Arnold Gehlen nel saggio Zeit-Bilder (Immagini del tempo), un considerevole lavoro teorico-critico, edito nel cruciale anno 1960. In effetti, secondo l’autore la modernità artistica, e in special modo la pittura, nel loro esercizio dinamico-spirituale si son fatte carico di un compito epocale nel realizzare l’autonomizzazione assoluta dei mezzi espressivi. (La più recente edizione italiana del libro di Gehlen, uscita nel 2011, s’intitola Sociologia ed estetica della pittura moderna).
LA VITA DI MARK ROTHKO
Mark Rothko – pseudonimo di Marcus Rotkovich – nasce nel 1903 a Dvinsk, città dell’Impero Russo, oggi Daugavpils, in Lettonia. Emigra nel 1913 negli Stati Uniti per raggiungere il padre a Portland, in Oregon, insieme al resto della famiglia, e dopo alcuni anni approda alla Yale University, ma senza diplomarsi. Arriva a New York nel 1925 e, ascoltando il consiglio di un amico, comincia a seguire corsi di disegno, sviluppando così un particolare interesse per l’arte e prendendo l’abitudine di visitare il Metropolitan Museum of Art. Nel 1933 ottiene la sua prima personale alla Contemporary Art Gallery. I suoi dipinti sono ancora figurativi e includono paesaggi, nature morte, ritratti e studi di vario genere, rivelando l’influenza del suo primo maestro, l’artista Max Weber, ma anche quella di eccelse personalità del passato come Vermeer e Rembrandt. E, in effetti, la prima opera che si incontra in mostra, risalente al ’36, è un autoritratto di tre quarti, apertamente ispirato nella posa a quello del maestro di Leida del 1659. Nel dipinto di Rothko è già ben presente l’interesse per una pittura di colore.
GLI IRASCIBILI
La fase cruciale della sua vita artistica comincia nel 1945, con una esposizione alla galleria Art of This Century di Peggy Guggenheim dove sono già presenti i più famosi artisti europei, da De Chirico a Dalí, Braque, Ernst, Giacometti, Kandinsky, Miró, Picasso e molti altri. Ma, appunto, Peggy esibisce anche la giovane generazione americana d’avanguardia con de Koonig, Motherwell, Pollock, Reinhard ecc., drappello piuttosto eterogeneo al quale Rothko si unirà per formare, sempre nel ’45, il gruppo degli Abstract expressionists. Negli ultimi Anni Quaranta la sua pittura diviene definitivamente di pura astrazione, fatta di stesure di colori gassosi e non ben definite nei contorni, e nel ’50 sarà insieme al gruppo dei colleghi “newyorkesi” a inscenare una risentita protesta contro il Metropolitan Museum of Art. L’importante istituzione, infatti, aveva annunciato una mostra sull’arte contemporanea americana, escludendo sistematicamente i protagonisti della pittura astratta. È universalmente nota la foto di quindici di loro, immortalati ironicamente in abiti eleganti, scattata da Nina Leen il 24 novembre e pubblicata dalla rivista Life. Un’immagine passata alla storia come The Irascibles (Gli irascibili). In ogni caso, come è risaputo, l’affermarsi negli Anni Cinquanta della cosiddetta Scuola di New York – divisa su due fronti, tra Action painting, di cui il più rappresentativo è Jackson Pollock, e Color field painting con Mark Rothko – segna decisamente lo spostamento del prestigio artistico dall’Europa agli Usa, o meglio, da Parigi a New York.
LA ROTHKO CHAPEL
Tra gli Anni Cinquanta e i Sessanta, le campiture di colore di Rothko assumono differenti disposizioni sulla tela mostrando una gamma infinita di toni, pur conservando una ben ponderata strutturazione e compostezza formale, nonostante i contorni degli elementi raffigurati non siano mai netti e precisi. Le dimensioni dei quadri divengono sempre più grandi e l’artista darà persino indicazioni prospettiche circa la fruizione ideale delle sue opere da parte del pubblico. L’esito più complesso del suo percorso artistico si ha, tra il 1967 e il 1969, nei quattordici pannelli di grande dimensione realizzati appositamente per una Cappella commissionatagli dai coniugi de Menil a Huston, in Texas. L’edificio, però, sarà inaugurato un anno dopo la morte dell’artista, e a lui definitivamente intitolato. L’insieme pittorico di queste ultime opere ha effetti cromatici molto cupi, avvolgenti e seduttivi come un dialogo intimo e diretto tra l’opera e lo spettatore. Questa serie, considerata dall’artista stesso il capitolo conclusivo della sua ricerca poetica, verrà poi percepita come preludio alla sua tragica fine. Nel 1970, infatti, Rothko muore suicida nella sua casa di New York.
‒ Franco Veremondi
Vienna // fino al 30 giugno 2019
Mark Rothko
KUNSTHISTORISCHES MUSEUM
Maria-Theresien-Platz
www.khm.at
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