È la prima retrospettiva americana su larga scala del lavoro di Beatriz González, nata nel 1938 a Bogotà, tra le poche artiste viventi appartenenti alla generazione delle cosiddette “radical woman” dell’America Latina. Il suo lavoro comprende l’indagine sul clima sociopolitico della Colombia, la bizzarra enfasi globale sull’opera d’arte europea e una eccentrica meditazione sui media. Non è mai stata semplicemente un’artista pop, il movimento con cui è più frequentemente associata: González preferiva chiamare le sue opere a figure piatte, dai colori vivaci, “dipinti sottosviluppati per Paesi sottosviluppati“. La retrospettiva ospite del Pérez Art Museum di Miami testimonia in pieno l’ampiezza del suo lavoro, la sua complessità e le influenze che lo hanno generato, riunendo 150 lavori realizzati in un arco temporale di sei decenni.
Il contesto colombiano in cui González ha operato le ha impedito di inserirsi nella corrente pop in qualche modo celebrativa della cultura consumistica del dopoguerra, costringendola piuttosto a indagare l’orribile gusto della classe dirigente del suo Paese conturbato dal desiderio di consumo di opere europee, purché celeberrime. González, dichiarandosi da subito “pittrice provinciale”, mette in realtà in discussione la relazione subordinata tra località marginali come la Colombia e i centri della produzione artistica e culturale mondiale, rappresentati dall’Europa e dagli Stati Uniti.
LO STATO DELLA CULTURA
Il suo lavoro incarna dapprima una reazione a questa relazione irregolare. L’obiettivo di González non si esaurisce nella prevedibile critica della rappresentazione implicita in ogni forma di appropriazione: il suo progetto si basa su una più ampia valutazione dello stato della cultura nella sua terra natia in relazione al persistente retaggio del colonialismo.
La mostra include opere raramente viste fuori della Colombia, che vanno dal dipinto a olio bidimensionale su tela a disegni e stampe serigrafiche. Sorprendente appare il suo lavoro pioneristico riferito agli Old Masters, inserito su pezzi di arredamento (letti, tavoli, comodini, presepi, armadi) e oggetti di uso quotidiano (vassoi, TV, scatole di sigari), che combinano ironicamente materiali a basso costo con figure sacre o classici capolavori europei.
Diretta, senza mediazioni risulta invece la produzione politica emersa negli ultimi tre decenni quando González ha sistematicamente illustrato “la violencia”, la infinita guerra civile del suo Paese, con una dichiarata partecipazione alle sofferenze delle comunità indigene, rurali e sfollate.
IL PESO DELLA STORIA
Dopo che il gruppo di guerriglieri dell’M-19 attacca il Palazzo di Giustizia nel 1985 nel tentativo di prelevare il presidente, lasciando 94 morti al suolo, González muta il suo registro pittorico: “La mia arte allora cambiò, sentivo che non potevamo più ridere. Ho iniziato a esplorare i temi della morte, il traffico di droga …”. Da lì in avanti i colori nelle sue tele non sono più squillanti come un tempo. La “storia” che sino a poco prima non la interessava (a differenza della cronaca giornalistica minima da cui ha sempre tratto spunto) entra prepotentemente nel suo lavoro. Da quel momento i suoi dipinti sono diventati più complessi in termini di composizione e si è fatto ampio l’uso del collage per assemblare le immagini ricavate da fonti multimediali e narrazioni tra loro eterogenee.
‒ Aldo Premoli
Miami // fino al 1° settembre 2019
Beatriz González: A Retrospective
PÉREZ ART MUSEUM
1103 Biscayne Blvd.
www.pamm.org
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