Ettore Spalletti (Cappelle sul Tavo, 1940) ha concepito per gli spazi di Villa Paloma, una delle due sedi del NMNM – Nouveau Musée National de Monaco, un percorso fatto di quaranta opere, tra nuove produzioni e lavori storici provenienti sia dal suo studio sia da collezioni private. Pittura, scultura, colore e luce concorrono a un’inedita ridefinizione emozionale degli ambienti espositivi, modificandone la percezione.
Curata da Cristiano Raimondi, la mostra è accompagnata dal documentario scritto e diretto da Alessandra Galletta, prodotto dalla casa di produzione indipendente milanese LAGALLA23 Productions, presentato in anteprima a Monaco e incentrato sugli ultimi tre anni di attività di Spalletti. Una lunga intervista, raccolta tra il 2016 e il 2018, cui si uniscono voci e testimonianze di persone umanamente e professionalmente vicine all’artista, dallo storico dell’arte Germano Celant al direttore della Marian Goodman Gallery Andrew Leslie Heyward, dalla gallerista Lia Rumma alla nipote, e gallerista, Benedetta Spalletti.
INTERVISTA A ETTORE SPALLETTI
Cosa hai pensato quando hai visto Villa Paloma a Monaco?
La luce di Villa Paloma è molto bella. Quando sono arrivato sulla terrazza di fronte al museo ho sentito che l’azzurro intenso del mare mi era quasi addosso. Ho chiesto di aprire tutte le finestre, è stata una grande emozione. Ho trovato uno spazio molto familiare, non c’era l’idea dello spazio museale, ma c’era di più, e meglio per me: l’idea dell’accoglienza.
I tuoi lavori da sempre dialogano fortemente con gli spazi in cui sono installati. Come hai gestito e condotto in questa occasione il dialogo tra opere e ambienti?
Sono tornato a casa e ho cominciato a ripercorrere quegli spazi di luce iniziando a fare le prime cose. Sono tutti pensieri che nascono un giorno dopo l’altro. Poi li realizzi e provi a verificare l’immagine all’interno dello studio. Quando sono arrivate al museo, le opere hanno trovato la parete da sole. La luce ha toccato i colori, offrendomi nuove cromie.
Ci sono nuovi lavori pensati appositamente per la mostra?
Sì, ci sono opere che a me sembrano nuove.
Cosa rappresenta questa mostra per te, rispetto alla tua carriera?
Un nuovo amore per la città e per la Costa Azzurra che non conoscevo. Nuovi amici diventati subito cari. Il titolo della mostra è Ombra azzurra, trasparenza. Alla mia età sento che tutte le cose si ingentiliscono. Se qualcuno mi tocca la mano, sento che la pelle è diventata più fragile. Mi sento come un cristallo, che non è il vetro e non è nemmeno la pietra preziosa.
INTERVISTA AL CURATORE CRISTIANO RAIMONDI
Come è maturata l’idea di una mostra su Spalletti a Monaco?
Semplicemente, conosco il lavoro di Ettore da molto tempo e aspettavo solo l’occasione migliore per offrirgli uno spazio importante all’interno della programmazione museale.
Le sue prime ispirazioni sono state la vista sul mare e lo spazio architettonico di Villa Paloma, che così perfettamente si adatta alla rigorosa poetica dell’artista.
Rispetto alle numerose mostre che ci sono state su di lui, in cosa pensi si possa differenziare questa?
Sono diversi anni che Spalletti non fa mostre in istituzioni pubbliche estere e credo sia arrivato il momento di omaggiare la sua carriera e la sua opera attraverso un progetto fortemente voluto dalla direzione del museo. La mostra si caratterizza per una serie di nuove produzioni e lavori inediti.
Sei stato spesso nel suo studio a Cappelle sul Tavo. Come hai strutturato il progetto?
Per capire a fondo il lavoro di Ettore mi sono impegnato nello spendere più tempo possibile a Pescara e nei luoghi cari all’artista. Volevo vedere le stagioni, la luce cambiare. I colori speciali dell’Abruzzo sono il risultato di una serie di variabili che, correlate a una speciale latitudine, donano atmosfere uniche. Gran Sasso e Maiella sono presenze magiche, a volte scompaiono, a volte si impongono, altre appaiono come entità sospese. Il mare è una presenza costante ma allo stesso tempo inafferrabile. Impossibile rappresentare la bellezza del paesaggio, se non attraverso archetipi e ombre. Ettore è un poeta e la sua opera è l’unica metafora possibile per questi luoghi. Lo studio di Ettore è diventato per me un luogo sacro ineffabile, e il mio desiderio “esaudito” è che Ettore riesca a trasmettere al nostro pubblico parte di questa esperienza.
Come si è evoluto il tuo dialogo con Spalletti e cosa ti colpisce di lui?
Se vuoi lavorare con Ettore Spalletti devi frequentarlo e rispettare i suoi ritmi e spazi. In questi anni ho molto osservato Ettore e l’ho soprattutto ascoltato. Il rigore e la poesia non lasciano spazio ad altre possibilità.
INTERVISTA ALLA REGISTA ALESSANDRA GALLETTA
Hai seguito la vita di Ettore Spalletti per molto tempo. Che idea ti sei fatta di lui?
Quando ottengo il privilegio di passare molto tempo accanto a un artista così importante, condividendo le persone e i luoghi che popolano il suo universo affettivo e professionale, l’aspetto fondamentale per me è capire e imparare, io per prima, gli “elementi”, le esperienze che abitano il suo lavoro. Questo non concorre a modificare o arricchire un’idea che ho di lui, quanto piuttosto della sua opera e del senso profondo del suo lavoro.
È stato difficile restituire sullo schermo la complessità del suo lavoro e del suo essere artista?
Non sono riuscita a trovare una vera differenza tra la vita di Ettore Spalletti e la sua arte, quindi sotto questo aspetto tutto è stato davvero facile, grazie all’incredibile coerenza tra le sue opere, le sue parole, la sua vocazione e il paesaggio che lo circonda. Il suo lavoro, in fondo, è fatto di questo, il “racconto” puntuale e poetico del suo modo di vedere il mondo e di vivere ogni suo giorno. Accendere la telecamera e accompagnarlo in momenti reali della sua vita, non è stato necessario fare molto di più. La maggiore difficoltà è stata… accontentarlo! Ettore è una persona estremamente precisa e attenta a ogni dettaglio e la sua costante ricerca della massima qualità in ogni cosa che lo riguardi ha decisamente condizionato il mio modo di lavorare, costringendomi a un’attenzione, talvolta dolorosa, della quale gli sarò sempre grata.
Prima del docufilm su Spalletti ne hai realizzato uno su Francesco Vezzoli. Hai affrontato quindi due personalità molto diverse tra loro sia dal punto di vista delle loro opere, della poetica, che dal punto di vista umano.
La tentazione di raccontare mirabolanti inquadrature a significare un sottotesto registico è tanta, ma la verità è che, quando faccio un docufilm, è l’artista che decide come vuole che io lo racconti. Quindi potrei dire che si tratta di autobiografie per interposta persona. Naturalmente non intendo che siano documentari commissionati dagli artisti (magari! Spesso ci vuole un anno solo per superare la loro naturale diffidenza verso una proposta tanto disturbante quanto una troupe in studio per anni), ma bastano poche inquadrature – un romanzo sul tavolo, una piccola abitudine, conversazioni “rubate”, le opere che ti invita ad approfondire, il rapporto che crea con i ragazzi della mia troupe ‒ ed è l’artista a fornirmi tutti gli elementi che vedremo nel film. Insieme alle sue opere, naturalmente, che rimangono il vero soggetto dei miei documentari d’arte.
Quali espedienti (tecnici o narrativi) usi o privilegi?
Nessun espediente. Cerco di essere invisibile e di avere così accesso al privato di un artista che amo, nel modo più sentimentale possibile. Mi preoccupo solo di non influenzare nulla di quello che sto girando perché, per un documentarista, la realtà è lo stage perfetto. Meglio non toccare niente (e avere un buon fonico!).
‒ Arianna Rosica
Monaco // fino al 3 novembre 2019
Ettore Spalletti. Ombre d’azur, transparence
NMNM ‒ VILLA PALOMA
56, boulevard du Jardin Exotique
www.nmnm.mc
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #16
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