“Dal 2002, Fotomuseum Winterthur e Fotostiftung Schweiz formano insieme il Fotozentrum, il principale centro di competenza in Svizzera per la fotografia. In numerose mostre, esponiamo la fotografia contemporanea e storica in tutte le sue sfaccettature e offriamo un ricco programma di workshop” (Nadine Wietlisbach & Peter Pfrunder, direttori).
Che cos’è una fotografia, se ce lo chiediamo nel XXI secolo? Dalla sua invenzione, non sono solo cambiate la tecnica e la tecnologia, ma soprattutto il suo statuto ontologico. Sono questioni che il Fotozentrum si pone sin dall’inizio.
Un passo indietro. Nel 1993 è fondato il Fotomuseum e pare subito chiaro come la questione del collezionare (con tutto ciò che comporta questo verbo) fotografia contemporanea sia fondamentale. E così il patrimonio è cresciuto fino all’attuale consistenza di circa 8mila “oggetti fotografici”, in gran parte acquisiti in occasione delle mostre organizzate dallo stesso Fotomuseum, con un orizzonte temporale che va dagli Anni Sessanta a oggi. Si parla di “oggetti fotografici” perché ci sono ovviamente le fotografie in bianconero e a colori, ma pure stampe, poster e libri d’artista; nella stessa ottica, il Fotomuseum ha iniziato da qualche anno ad acquistare anche “moving images” analogiche e digitali in forma di proiezioni e installazioni. D’altro canto c’è la Fotostiftung Schweiz, fondata nel 1971 e impegnata nell’amministrazione di archivi ed estate di molti fotografi – nonché del patrimonio fotografico della Confederazione Elvetica –, con un focus sulla fotografia svizzera del XX secolo. Per dirla con i numeri, si tratta di oltre 60mila stampe realizzate per mostre, 250mila stampe d’archivio e oltre un milione di negativi.
Insieme, Fotostiftung Schweiz e Fotomuseum formano il Fotozentrum di Winterthur, sinergico assembramento nato nel 2002 grazie alla sede progettata da W. Leschke Architekturbüro, che ha permesso di condividere anche una biblioteca specializzata, con una scelta di 20mila volumi, e il George Bistrot+Bar, attivo dalla colazione fino alla cena a lume di candela.
E mentre alla Fotostiftung Schweiz è andata in scena la personale di Salvatore Vitale, al Fotomuseum – oltre alle monografiche – va tenuto d’occhio il ciclo Situations, ciclo espositivo che dal 2017 indaga i temi più caldi della nostra contemporaneità, naturalmente attraverso gli occhi della fotografia.
L’ARCHITETTURA. WOLFRAM LESCHKE
La formula della “doppia natura” dello Zentrum für Fotografie (normalmente chiamato Fotozentrum) di Winterthur, curato da due istituzioni indipendenti come Fotomuseum Winterthur e Fotostiftung Schweiz, nelle mani dell’architetto Wolfram Leschke si è tradotta in una sorta di input concettuale che ha accompagnato lo sviluppo di una sede con funzioni non solo di tipo espositivo. Condotto su due edifici industriali adiacenti, risalenti al XIX secolo e originariamente occupati da fabbriche del comparto tessile, il progetto di ristrutturazione è stato preceduto da un’analisi della preesistenza. I volumi a disposizione, infatti, erano stati oggetto di sporadiche azioni nel corso dei decenni precedenti l’apertura del Centro; singole parti erano state demolite oppure adattate per assolvere a specifiche esigenze. L’architetto ha previsto un “intervento eclatante” in facciata, che “è stata completamente aperta”, come precisano le note di progetto. Porzioni delle facciate di un tempo, infatti, sono state sostituite con ampie vetrate, allo scopo di “trasformare l’edificio in uno spazio traslucido”. Un’opera che, se da una parte intende attivare connessioni dirette tra la città e questa sede, dall’altra è stata promossa per sottolineare come “gli spazi all’interno dell’edificio si stanno espandendo in entrambe le direzioni. E simboleggia anche – e questo è fondamentale – che qui due istituzioni si stabiliscono e si sviluppano”. In complessivi 3.500 mq, i visitatori possono muovere fra tre spazi espositivi, un bistrot, un grande atrio, un salone, una biblioteca specialistica, un bookshop e sale per seminari. Gli interni, ispirati a principi di pulizia e funzionalità, sono stati curati del designer svizzero Hannes Wettstein.
‒ Marco Enrico Giacomelli e Valentina Silvestrini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48 – Speciale Svizzera 2019
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