Lucio Fontana, l’eroe dei due mondi. Il 21 luglio la Società Dante Alighieri di Rosario di Santa Fe in Argentina omaggia l’artista con la mostra Lucio Fontana. Los Orígenes. L’esposizione offre un ritratto degli anni giovanili del maestro, attraverso 60 disegni, alcuni inediti e le sculture giovanili del Museo Juan B. Castagnino di Rosario. A raccontarci il progetto – a cura di Valentina Spata e Chiara Barbato – è il suo ideatore, Alessandro Masi, Segretario Generale della Società Dante Alighieri, in questa intervista.
Come nasce l’idea di questa mostra?
Da un busto custodito nella nostra sede di Rosario in Argentina firmato “L. Fontana”, non ancora inserito nel catalogo ufficiale dell’artista. Il bronzo ritrae il presidente Edoardo Grimaldi in carica negli anni’40. Dai nostri documenti di archivio emerge uno stretto legame della famiglia Fontana con la Dante rosarina. Il padre Luigi, discendente da una famiglia di scultori, per molti anni ricopre la carica di socio e consigliere dell’associazione, riceve una commissione per un busto di Dante Alighieri, tuttora conservato in sede. Da qui il desiderio di indagare le “origini” di Lucio Fontana, la sua primissima formazione, l’esperienza maturata presso la bottega paterna e il legame con la terra Argentina.
Qual era il rapporto di Lucio Fontana con Rosario e l’Argentina? E cosa poi degli anni di formazione ha portato da quei luoghi in Italia?
Lucio Fontana nacque nel 1899 a Rosario di Santa Fe, una cittadina di circa 100.000 abitanti in forte espansione commerciale, e visse in Argentina tre periodi: dalla nascita al 1906, dal 1922 al 1927 e dal 1940 al 1947. Un forte vincolo sentimentale univa l’artista all’Argentina. Lo stesso Fontana dichiarava nel 1954: “Nacqui a Rosario de Santa Fe, mio padre era un bravo scultore, era mio desiderio diventarlo, mi sarebbe anche piaciuto essere un pittore capace come mio nonno…”. Il legame affettivo con il paese natale non gli impedì, comunque, di manifestare in più occasione le difficoltà di emergere in una terra lontana dagli sviluppi dell’arte europea.
E cosa fece, dunque?
Per spezzare questo isolamento decise di tornare in Italia, una prima volta nel 1927 e poi, definitivamente, nel 1947, per riuscire a tessere legami più agevoli con il mondo dell’arte. L’anno precedente, nel 1946, aveva scritto a Buenos Aires il Manifiesto Blanco ed era pronto ad avviare la rivoluzione. Questo celebre manifesto d’avanguardia, ideato da Lucio Fontana insieme agli allievi dell’Accademia Altamira, da lui stesso fondata, rappresenta l’embrione della rivoluzione estetica che Fontana si appresta a compiere. Da questo momento in poi inizia la produzione artistica che lo ha reso celebre e che noi tutti conosciamo.
La mostra racconta gli esordi di Fontana: che ritratto ne emerge?
Essere cresciuto all’interno di una famiglia di “artisti” ha rappresentato per Fontana sicuramente un vantaggio nel ricevere in giovanissima età i primi rudimenti del mestiere di scultore. Al contempo il dividersi emotivamente tra due terre così vicine per passione e tradizioni ma diverse nella partecipazione alle novità artistiche e culturali, rappresentava per il giovane Lucio motivo di contrasto interiore. Il padre Luigi, affettuoso e protettivo con il figlio, era talvolta una figura ingombrante. Doveva, infatti, spesso giustificare le proprie scelte artistiche: quella di lasciare definitivamente l’Argentina fu la più difficile da comunicare alla famiglia.
Che ritratto emerge invece della famiglia?
I Fontana con le loro opere divennero pionieri dell’arte scultorea della città di Rosario, soprattutto nel campo della ritrattistica e della plastica funeraria. Il padre Luigi si era formato all’Accademia di Brera ed era cresciuto nel clima della Milano “scapigliata” di fine Ottocento. Dal 1891, emigrato verso il Nuovo Mondo, si era stabilito a Rosario, dove aveva aperto uno studio artistico. Anche il nonno Domiziano, che egli non conobbe mai, era stato pittore, scultore e decoratore, mentre lo zio Geronzio, fratello di Luigi, pure lui approdato a Rosario, aveva fondato una ditta di decorazione architettonica. Con questa esposizione abbiamo inteso dimostrare come per Lucio la pratica quotidiana di bottega sia stata fondamentale sia per lo sviluppo della sua vocazione artistica sia per l’acquisizione delle diverse tecniche, permettendogli di maturare un’estrema confidenza con la materia.
Quali furono le opere più significative di quel periodo?
Le opere del secondo soggiorno a Rosario, durato dal 1922 al 1927, mostrano un giovane Lucio alla ricerca di un proprio stile. Si tratta di un corpus di sculture numericamente limitato (e purtroppo in gran parte perduto) che, tuttavia, ricostruisce con relativa chiarezza l’itinerario culturale intrapreso dall’artista. Tra i lavori più significativi ci sono il monumento El pluebo de Rosario a Juana Blanco, una scultura funeraria realizzata tra il 1925 e il 1927 per il Cimitero El Salvador, di gusto quasi “novecentista”, ma anche opere di carattere più avanzato, come la Ballerina di charleston, la sua prima ceramica smaltata, e il gesso La donna con il secchio, dove Lucio sembra ispirarsi ai nudi di Maillol e Archipenko.
Ci sono anche delle prove grafiche…
Sì, ad esempio le illustrazioni eseguite per la rivista “Italia”, pubblicazione promossa dal già citato Comitato della Dante Alighieri di Rosario. Le opere del terzo e ultimo soggiorno in Argentina, ricomprese tra il 1940 e il 1947, testimoniano la raggiunta maturità dell’artista, reduce dalla variegata esperienza del precedente decennio milanese.
E i disegni in mostra?
Si riferiscono in gran parte a questo periodo di transizione, in cui Lucio sembra ripiegare verso un linguaggio più pacatamente figurativo (si vedano le sculture dello stesso Museo Castagnino, il Ragazzo del Paranà e La donna che si pettina), in virtù del quale ottiene la cattedra di modellato presso l’Accademia di Belle Arti di Buenos Aires. Ma, come già detto, questa fase termina con la fondazione della Scuola indipendente di Altamira e con la pubblicazione del Manifiesto Blanco, fondamentale documento di “incubazione” alla geniale intuizione dello Spazialismo.
La mostra si svolgerà nell’ambito del 83º Congresso internazionale della Società Dante Alighieri che si terrà in Argentina. Di cosa si discuterà?
I congressi internazionali della Società Dante Alighieri, che quest’anno festeggia i suoi 130 anni di attività, si tengono ogni quattro anni e rappresentano un momento di incontro dei soci di tutto il mondo in cui proporre e discutere le nostre linee strategiche di sviluppo futuro. Sono oggi 482 i Comitati della Dante Alighieri sparsi nel pianeta: una rete di persone (circa 120.000 soci), enti, scuole e circoli culturali uniti da una tradizione secolare e un progetto comune di promozione dell’Italianità. L’83° Congresso si terrà in Argentina dal 18 al 20 luglio 2019 sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e per la prima volta nella storia della Società sarà accolto in un continente extra europeo, a Buenos Aires.
Quali saranno i settori coinvolti?
Il Congresso si propone quale occasione ideale per una piena espressione del Sistema Paese. Uno dei momenti più attesi sarà il Forum Italia-Argentina “Cult & Tech”, organizzato da ICE – Agenzia Italiana per il Commercio Estero in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero dello Sviluppo Economico, che punterà l’attenzione sui settori audiovisivo, editoria, restauro e smart cities. Ad essere mobilitati, dunque, non saranno solo la comunità scientifica e il mondo della cultura, ma anche quello economico e tecnologico, evidenziando il forte potenziale di sviluppo e le opportunità di collaborazione tra due Paesi che, da sempre, sono uniti da un legame solido e vitale.
-Santa Nastro
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