Il Bicentenario del Prado giunge al culmine nel corso dell’estate con due eventi espositivi eccezionali: la mostra Fra’Angelico y los inicios del Renacimiento en Florencia, già affollatissima – di cui parleremo sul imminente numero del nostro inserto cartaceo Grandi Mostre ‒ e Velázquez, Rembrandt, Vermeer, Miradas afines, entrambe senza dubbio imperdibili.
L’idea della direzione del Prado è approfondire mondi artistici poco rappresentati nella pur vasta collezione permanente del museo, colmando alcune delle evidenti lacune cronologiche e geografiche, come il Quattrocento Italiano e il Seicento olandese.
SPAGNA-OLANDA, ALLA RICERCA DI AFFINITÀ CULTURALI
Fra la pittura spagnola e quella olandese del XVI e XVII secolo apparentemente esistono scarsi legami stilistici o tematici. In generale, infatti, la storiografia artistica ufficiale dell’Otto-Novecento ha accentuato le diversità fra l’arte borghese delle Province Unite del Nord (oggi Paesi Bassi) e quella celebrativa e religiosa dell’impero spagnolo del Siglo de Oro, assegnando a ciascuna scuola pittorica caratteri nazionalisti propri e assai definiti.
Con il consueto rigore scientifico e una buona dose di ambizione, il Prado rompe gli schemi e apre nuove prospettive per una visione insolita dell’arte europea del Seicento. Con l’apporto fondamentale del Rijksmuseum di Amsterdam (che ha prestato ben diciassette opere, fra le quali tre dei migliori Rembrandt al mondo e nientemeno che La stradina di Vermeer), il Museo del Prado presenta una mostra confezionata per riflettere su miti storici e realtà artistiche. Il pubblico è posto di fronte a sorprendenti affinità tematiche ed estetiche attraverso la visione comparata di opere di artisti che, molto spesso, non ebbero alcun legame personale né culturale fra loro, come nel caso di Velázquez e Vermeer.
“Il nostro obiettivo è prima di tutto quello di permettere di ammirare una settantina di capolavori provenienti da tutto il mondo e, nel contempo, di immergersi in un gioco inaspettato di specchi e di corrispondenze”, spiega Alejandro Vergara, curatore della mostra e conservatore di Pittura fiamminga e Scuola del Nord del Museo del Prado. “Si tratta di scoprire attraverso similitudini, oggettive e formali, che la storia delle pittura europea del Seicento ‒ e in particolare quella spagnola e olandese ‒ utilizza già un linguaggio culturale simile, grazie anche a una rete di contatti che permette il fluire di informazioni e di coltivare una sensibilità comune che si esprime prevalentemente attraverso l’arte”.
STESSI ABITI, STESSE POSE, NATURE MORTE E GRUPPI BORGHESI
Per ottant’anni, tra il 1568 e il 1648, Olanda e Spagna furono separate da una lunga ed estenuante guerra. Eppure, sorprendentemente, in entrambi i Paesi l’eredità della pittura italiana e fiamminga fu interpretata in maniera simile, con un interesse quasi identico per l’apparenza reale delle cose e la forma di rappresentarle. “Né Velázquez né Vermeer, né altri pittori dell’epoca espressero nella loro arte l’essenza della propria nazione, come si è spesso affermato” ‒ sottolinea Vergara ‒, “ma ideali estetici che condividevamo con una comunità sopranazionale di artisti”.
Tale fatto è evidente innanzitutto osservando l’abbigliamento nei tanti ritratti di nobili e borghesi realizzati da artisti spagnoli (come Antonio Moro, Velázquez, El Greco e Murillo) e olandesi (soprattutto Frans Hals, ma anche Rembrandt e il meno noto Carel Fabritius).
Tutti, uomini e donne, erano vestiti infatti alla moda borgognona (la stirpe dei re Filippo il Bello, Carlo V e Filippo II, che dominarono entrambi i Paesi): abiti neri, austeri e dal taglio essenziale, con il caratteristico colletto bianco pieghettato “a lattuga” o gorgiera. Anche il cliché della posa è identico: a mezzo busto o a figura intera, ma sempre girati a tre quarti, una tipologia introdotta da Tiziano e da Antonio Moro, quest’ultimo pittore di origini olandesi attivo in Spagna all’epoca dei primi re Asburgo. Anche il realismo, la maniera cioè di umanizzare figure religiose o mitologiche ritraendole nei panni di gente comune, spesso anche indigenti, è tipico di spagnoli e olandesi dell’epoca; così come il gusto per la natura morta, genere pittorico che nei Paesi Bassi e in Spagna è caratterizzato da una forte essenzialità e da una sottile austerità che sembrano anticipare il gusto estetico del XX secolo. E, infine, la tecnica della pennellata libera, grossolana, realizzata a colpi di colore e per tracce abbozzate (novità introdotta dall’ultimo Tiziano e ripresa da molti artisti veneziani) perdura in alcune tele di Rembrandt e di Ribera, di Hals e Velázquez, nelle quali si trasgredisce la norma del dipingere netto e pulito in favore di una tecnica più astratta ed espressiva.
INASPETTATE COPPIE D’AUTORE
La mostra al Prado si apre con la visione impattante della Lezione di anatomia del dottor Sebastian Egbertsz di Aeert Pietersz, che richiama il soggetto dipinto da Rembrandt ed esposto nel grande museo di Amsterdam. Tra i generosi prestiti del Rijksmuseum a Madrid c’è però l’altrettanto sensazionale tela di Rembrandt che ritrae la riunione dei Sindaci della gilda dei drappieri, un esempio di ritratto collettivo dove la personalità dei protagonisti emerge attraverso gli sguardi e le posture.
Ma sono le magnifiche e inaspettate accoppiate pittoriche che caratterizzano la mostra: il Democrito di Hendrick ter Brugghen e quello di José de Ribera, entrambi sghignazzanti; il Menippo di Velázquez e il bellissimo Autoritratto nei panni dell’apostolo San Paolo di Rembrandt, entrambi vecchi dall’aria sorniona e rassegnata; o il Marte nudo e disarmato dipinto da Velázquez che “si specchia” nella celeberrima Donna che si bagna in un ruscello di Rembrandt, eccezionalmente ceduta dalla National Gallery di Londra.
Las miradas afines del titolo sono quanto mai evidenti in due opere celeberrime, che, osservate una accanto all’altra, mostrano un’affinità davvero impressionante: il piccolo formato, quasi identico, ma soprattutto le geometrie dello spazio naturale e costruito, popolato da piccole figure anonime, accomuna La stradina di Vermeer (1658) e la Vista del giardino di Villa Medici a Roma di Velázquez (1630). Due capolavori che, malgrado separati da una trentina d’anni, sembrano dipinti con lo stesso intento: quello di cogliere l’essenza di un angolo di mondo apparentemente appartato e insignificante, con lo sguardo profondo del grande artista.
Per gli appassionati di Rembrandt, segnaliamo infine che sono ben sette i capolavori del pittore olandese esposti ora a Madrid, tra i quali l’immancabile Giuditta al Banchetto di Oloferne, appartenente alla collezione del Prado, e la piccola quanto sconosciuta tavola a olio con Ritratto di vecchio proveniente dalla Galleria Sabauda di Torino. Per i fan di Vermeer, invece, da non perdere la presenza in contemporanea di due dei 34 capolavori del pittore olandese: oltre alla già citata Vista delle case di Deft, meglio nota come La stradina, il bellissimo Geografo, appartenente alla collezione dello Städel Museum di Francoforte.
‒ Federica Lonati
Madrid // fino al 29 settembre 2019
Velázquez, Rembrandt, Vermeer. Miradas afines
MUSEO NACIONAL DEL PRADO
Calle Ruiz de Alarcón 23
www.museodelprado.es
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