Reportage dall’Arabia Saudita: il regno che verrà
Dalla capitale Riyad alla seconda città del Regno, Gedda. Passando inevitabilmente per il paesaggio lunare del deserto. È il nostro reportage dal cuore della Penisola Arabica, fra antiche eredità pre-islamiche e sollecitazioni che provengono dalla contemporaneità.
L’Arabia Saudita ha intrapreso un cammino per aprirsi al mondo, al turismo internazionale e far conoscere la sua Storia, l’economia, l’arte e la cultura. Dal Regno arrivano segnali positivi come l’istituzione del Ministero della Cultura nel giugno 2018 (con a capo il Principe Badr bin Abdullah bin Farhan Al Saud), la Saudi Vision 2030 (piano di sviluppo socio-economico approvato dal Consiglio dei Ministri del Regno nel 2016), l’aver tolto l’obbligo per le donne d’indossare il tradizionale abaya, l’abito nero che copre dalla testa ai piedi, e l’aver loro concesso la patente di guida.
OBIETTIVO CULTURA
Che rapporto ha oggi l’Arabia Saudita con l’arte contemporanea? Per la maggior parte dei sauditi è ancora materia ostica. Oggi è retaggio di una ricca e dinamica élite intellettuale che viaggia, ama la moda e il design e vanta studi all’estero. Occorre quindi investire risorse nell’educazione, nella didattica e nella creazione di accademie, scuole d’arte, musei, centri espositivi e fondazioni d’arte.
“L’obiettivo del Ministero della Cultura”, si legge nel documento sulla visione culturale del Regno dell’Arabia Saudita, presentato a marzo, “è promuovere la cultura come stile di vita, consentendo alla cultura di contribuire alla crescita economica e creare opportunità per uno scambio culturale globale. Il Ministro accoglierà il meglio dell’eredità antica e delle tradizioni del Regno e gli ultimi sviluppi nelle arti contemporanee e nella cultura e incoraggerà il più alto numero di persone possibile a partecipare a questa trasformazione culturale. La missione è supportare e creare una cultura dell’Arabia Saudita vibrante che sia fedele al suo passato e guardi al futuro, coltivando l’eredità e dando vita a nuove forme d’ispirazione per tutti”.
Siamo volati in Arabia Saudita per captare sul campo e toccare con mano i segnali di questa metamorfosi e per essere protagonisti di quello che potrebbe rappresentare l’inizio di una trasformazione epocale, sia culturale che sociale del Paese.
Il nostro viaggio è partito da Riyad, la capitale, nell’Arabia Saudita centrale. La temperatura a marzo è ideale, il sole sopportabile, l’aria è secca e la sabbia è un compagno di viaggio che non ti abbandona mai. Si posa ovunque, persino sullo schermo del cellulare. La città è un cantiere a cielo aperto e si lavora anche di notte alla costruzione di una vasta rete di linee metropolitane. La futuristica stazione King Abdullah Financial District — 20.434 mq di superficie distribuiti su sei piani, di cui due destinati al parcheggio sotterraneo — è firmata Zaha Hadid Architects.
IL RED PALACE TORNA A VIVERE
È a Riyad che l’artista Sultan bin Fahad (Riyad, 1971) ‒ membro della famiglia reale e tra i più attivi ed entusiasti promotori e iniziatori del cambiamento ‒ ha installato una mostra monumentale divisa in sette capitoli, a cura di Reem Fadda, negli spazi suggestivi e délabré del Red Palace. Centro di potere e magnificenza, il Palazzo, completato nel 1944 – primo edificio nella capitale a essere costruito con cemento e ferro-acciaio –, è stato la residenza dell’allora Principe Saud bin Abdulaziz, in seguito l’ufficio del Consiglio Saudita dei Ministri e fino al 1987 il Palazzo dei reclami. È stato chiuso e abbandonato per vent’anni e dopo la mostra sarà riconvertito in hotel.
L’artista è stato a lungo affascinato dal palazzo e la sua mostra, attraverso installazioni, video e fotografie, parla degli eventi che si sono tenuti in quel luogo – dagli incontri di potere al dietro le quinte del lavoro dei tanti inservienti che vi hanno lavorato – nel corso degli anni e della storia del Paese. Storia a lui familiare. “La sera dell’apertura al pubblico”, ci dice, “ho incontrato una signora sui novant’anni che mi ha detto di aver vissuto nel Palazzo. Camminando con i suoi nipoti ha riconosciuto le varie stanze. Ha cominciato a piangere, presa dalla nostalgia e dai tanti ricordi dei suoi giorni trascorsi nel Palazzo”. Attraverso le sue opere, molte delle quali di grande formato, torniamo in un batter d’occhio indietro nel tempo per rivivere, dal punto di vista immaginifico, la grandeur di un luogo che, non molti anni addietro, ha ospitato re e capi di Stato. La mostra, ci anticipa l’artista, sarà ospitata a giugno in un altro palazzo reale a Gedda.
RIYAD E DINTORNI
A Riyad abbiamo visitato anche gli Yarmouk Studios, un edificio che ospita diversi atelier. È qui che l’artista saudita Ahmed Mater, forse tra i più conosciuti a livello internazionale, si è appena trasferito. Il suo studio è colmo di scatoloni, c’è una piccola biblioteca, l’atmosfera è conviviale e comunitaria, e l’artista ci racconta che installerà una grande camera oscura. Ama il buon caffè e per questo si è dotato di una macchina italiana per fare l’espresso. Nello stesso edificio lavorano e condividono gli spazi Saeed Gamhawi, Abdul Rahman, architetto di formazione che ama definirsi content creator, Marwah AlMugait e Homoud Al Ataoui.
Alle porte di Riyad, nella parte nord occidentale, c’è At-Turaif – dal 2010 Patrimonio dell’umanità dell’Unesco –, distretto situato su un altopiano nei pressi della cittadina di Ad-Diriyah, che è considerata il luogo di nascita del primo Stato saudita, di cui è diventata capitale nel 1745. Collocata nella parte più alta di Wadi Hanifah, At-Turaif – dallo stile architettonico Najdi, tipico del centro della Penisola Arabica – era il distretto principale di Ad-Diriyah, dove vivevano gli imam, le loro famiglie e aveva sede il Governo. Nel luglio 2017 è stata istituita la Diriyah Gate Development Authority, che ha il compito di conservare e promuovere l’eredità storica e culturale di quel luogo. L’area è stata restaurata e si prevede nei prossimi anni la costruzione di ben otto musei.
LE ORIGINI NEL DESERTO
Il nostro viaggio ci ha portati nel deserto, più precisamente nella Regione di Al-Ula, a 300 chilometri a nord di Medina e a 1.100 chilometri da Riyad. Un paesaggio mozzafiato, unico, lunare, fatto di silenzio, deserto e montagne rocciose, e rimasto in gran parte, fino a poco tempo fa, inesplorato.
La Regione di Al-Ula copre una vasta area di 22.561 kmq e ha rappresentato storicamente per la sua posizione la Via dell’Incenso tra l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Siria e oltre. È qui che lo scorso febbraio Andrea Bocelli si è esibito in un memorabile concerto al teatro Maraya Concert Hall, nell’ambito del Festival di Winter At Tantora. Tra i molti insediamenti di Al-Ula, il più conosciuto e riconosciuto è il sito di Hegra, primo territorio in Arabia Saudita a diventare Patrimonio dell’umanità dell’Unesco nel 2008. Con una superficie di 52 ettari, è il più grande sito conservato della civiltà pre-islamica dei Nabatei, con oltre cento tombe preservate che vanno dal I° secolo a.C. al I° secolo d.C. Il sito ha conservato anche alcune iscrizioni del periodo pre-nabateo. Al-Ula è anche sede di altri siti storici e archeologici rilevanti come Al-Khuraybah (antica Dadan), capitale dei Regni dei Lihyaniti, considerata la città più sviluppata nel primo millennio a.C. della Penisola Arabica. Sempre nel luglio del 2017 è stata istituita la Royal Commission for Al-Ula, che ha l’obiettivo di proteggere e salvaguardare questa regione ricca di bellezze naturali e carica di Storia. La commissione, si legge, “ha iniziato un progetto a lungo termine per sviluppare una trasformazione sostenibile della Regione, riaffermandola come una delle più importanti destinazioni culturali e archeologiche del Paese e prepararsi ad accogliere visitatori da tutto il mondo”.
GEDDA E LE SUE GALLERIE
Per tornare ai nostri giorni bisogna spostarsi sulla costa e più precisamente nella ventosa Gedda, la seconda città più grande dell’Arabia Saudita. Situata sulle sponde del Mar Rosso, era originariamente un villaggio di pescatori, ora è un polo commerciale e punto di passaggio per i pellegrinaggi verso la Mecca e Medina. Per la parte antica della città (Al Balad) – che visitiamo accompagnati dagli architetti BrickLab, rappresentanti del Padiglione dell’Arabia Saudita, new entry alla Biennale d’Architettura di Venezia 2018 – è previsto per i prossimi dieci anni un ambizioso progetto di restauro del centro storico e dei suoi palazzi. Anche il lungo mare della città è stato parzialmente rinnovato.
È a Gedda che si concentrano alcune gallerie d’arte private. Abbiamo visitato lo spazio temporaneo della Hafez Gallery, prima del suo trasferimento presso l’Hayy: Creative Hub, distretto sul modello del Jameel Art Center di Dubai, che dovrebbe ospitare più gallerie e aprire tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Ad accoglierci, nello spazio esterno, un’opera monumentale dell’artista saudita Rashed Al Shashai (Al Baha, 1977): un piccolo bus tagliato a metà. L’artista utilizza in prevalenza materiali trovati come “mezzi concettuali per identificare i segni della vita di tutti i giorni”. Lui li descrive come un “campo semantico”.
Tra le gallerie più dinamiche e internazionali della città e dell’Arabia Saudita figura la ATHR Gallery, co-fondata da Mohammed Hafiz insieme a Hamza Serafi, diretta da Alia Fattouh (da poco trasferitasi a Gedda) e collocata al quinto e sesto piano di un grande edificio, con un terrazzo da cui si può ammirare la città. Per celebrare i dieci anni di attività, la galleria ha intrapreso un progetto ambizioso mettendo in piedi per i loro artisti, con il sostegno di partner internazionali e mecenati sauditi, alcune residenze all’estero. Tra gli spazi coinvolti: Unlimited e ISCP di New York, Can Serrat di Barcellona e il Bethanien di Berlino. La galleria lavora anche con Zahrah Al-Ghamdi (Al Baha, 1977), che quest’anno rappresenta il Padiglione dell’Arabia Saudita alla Biennale d’Arte di Venezia, con un progetto dal titolo After Illusion negli spazi dell’Arsenale.
FOCUS SUL SAUDI ART COUNCIL
È a Gedda che ha sede lo spazio espositivo del Saudi Art Council, collocato in uno dei tanti centri commerciali della città, il Gold Moor Mall. Tra le sue iniziative, l’istituzione sostiene il progetto 21,39 che ha l’obiettivo di avvicinare la comunità locale attraverso la promozione dell’arte e della cultura. Il nome si riferisce alle coordinate geografiche della città (21.5433°N, 39.1728°E), sottolineando come Gedda abbia rappresentato e rappresenti l’avanguardia della scena artistica contemporanea dell’Arabia Saudita.
Visitiamo la mostra collettiva dal titolo Al Obour, curata dall’artista e accademica Effat Abdullah Fadag – è stata un’attiva partecipante al movimento pioneristico dell’arte visiva delle donne artiste a Gedda negli Anni Ottanta –, che raccoglie le opere di ventisei artisti, sia affermati che della nuova generazione, sia sauditi che internazionali. Hanno tutti lavorato sul concetto di attraversamento e di come la concezione del tempo e dello spazio siano stati influenzati individualmente dall’eredità storica, dalla religione, dalla scienza e dalla tecnologia. ‘Al Obour’ può essere definito come l’atto di attraversare ma anche di trascendere.
“Questa mostra”, scrive nel catalogo Jawaher bint Majed bin Abdulaziz, presidente del Saudi Art Council, “presenta una varietà di artisti eccezionali che hanno concettualizzato il profondo significato dell’attraversamento, tessendo insieme tutti i multipli strati, ondeggiando con eleganza tra la dimensione fisica e metafisica e spostandosi elegantemente tra queste due dimensioni”. Ritroviamo in mostra un’installazione di Saeed Gamhawi (Riad, 1972), artista che avevamo incontrato nel suo studio a Riyad. Commissionata dal Saudi Art Council, l’opera è composta da decine di lampadine di legno colorate di nero e sospese con dei fili elettrici. “La mia ricerca sulle origini dell’oscurità e della luce”, spiega l’artista, “è cominciata con un’indagine sul tema della contraddizione nell’effetto visivo di sostituire una fonte di luce con sculture di legno naturale che sono state trasformate in una fonte di energia, ovvero carbone”.
IN CONCLUSIONE…
Molti degli artisti che abbiamo incontrato e di cui abbiamo visto le opere lavorano su temi importanti e spesso “caldi” come la religione, l’identità, il dialogo, la politica, la società. Il programma dell’Art Council, oltre alle mostre, include workshop e una serie di talk e incontri che “costruiscono ponti con il mondo attraverso il linguaggio universale dell’arte”. Forse sarà proprio il linguaggio universale dell’arte, della creatività e dell’emancipazione la forza trainante della metamorfosi del Paese.
‒ Daniele Perra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #49
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