La morte al tempo dell’arte contemporanea. L’ANTI Festival di Kuopio

Un focus sull’ANTI Festival andato in scena a Kuopio, in Finlandia, scegliendo la morte come argomento di indagine da parte degli artisti coinvolti.

Memento mori. È l’inusuale leitmotiv che sembra scaturire dalla diciottesima edizione di ANTI ‒ Contemporary Art Festival, la rassegna d’arte contemporanea di Kuopio, in Finlandia, svoltasi dal 10 al 15 settembre e dedicata al tema della morte. I direttori artistici Johanna Tuukkanen e Gregg Whelan hanno selezionato progetti che abbracciano una pluralità di linguaggi, dalla performance alla danza al teatro, e toccano svariati ambiti dell’esistenza. Ecco l’intervista a Tuukkanen e i momenti migliori del festival.

Per l’edizione 2019 del festival è stato scelto il tema della morte. Un argomento importante, intenso, ma anche metafora della precarietà della nostra epoca e del “punto di rottura” cui forse si è giunti?
In realtà, quando abbiamo cominciato la selezione delle opere per l’ANTI 2019, siamo stati attratti da quelle che affrontano la morte in modo diretto facendo emergere una versione molto più utile, effettiva, della morte. Certo, la morte funziona anche come metafora del carattere dei nostri tempi, anche se i tempi sono forse stati sempre precari, sempre sull’orlo di un certo tipo di collasso. Forse il nostro tempo di oggi è anche segnato da uno spostamento dalla metafora verso il reale; ad esempio, il cambiamento climatico è una minaccia ben concreta per il futuro dell’umanità sulla Terra. E questo è ciò che l’edizione 2019 del festival tenta di fare, ovvero adottare alcuni approcci su ciò che significa andare oltre la metafora.

La morte, o comunque concetti legati a essa, come l’oscurità, il silenzio, sono elementi molto presenti nel sentire dell’Europa del Nord e in particolare della Scandinavia. La scelta del tema è dovuta quindi anche a un collegamento con l’identità culturale della regione?
È difficile trovare una regione o un’identità culturale che non sia definita in qualche modo dalla sua relazione con la morte ‒ o almeno regioni diverse hanno relazioni diverse. Comunque, il nord ha un patrimonio di narrazioni e immagini che hanno qualcosa a che fare con l’oscurità. C’è sicuramente qualcosa in questo programma, ma non ci concentriamo solo su quello. Per contro, i contesti del sud sembrano avere tutte le migliori melodie, quando si tratta di morte.

In cartellone, come anche negli anni precedenti, ci sono artisti dall’Europa, dall’Australia e dagli Stati Uniti. Mancano però rappresentanti da Asia, America Latina e Africa. Non avete ancora aperto canali di scambio e collaborazione con queste tre aree del mondo? Avete comunque in previsione di farlo?
Durante le edizioni annuali di ANTI Festival abbiamo lavorato con artisti, partner e reti in tutto il mondo: alcuni dei contributi più sorprendenti sono arrivati ​​da artisti provenienti da Asia, Africa, America Latina. Non programmiamo necessariamente un singolo festival con un “imperativo geografico”, ma guardiamo alla sostanza del cartellone, con l’obiettivo, comunque, di potersi prima o poi connettere con chiunque, ovunque, facendo un lavoro elettrizzante.

Loren Kronemyer, After Erika Eiffel. ANTI Contemporary Art Festival, Kuopio 2019. Photo Pekka Mäkinen

Loren Kronemyer, After Erika Eiffel. ANTI Contemporary Art Festival, Kuopio 2019. Photo Pekka Mäkinen

Quale tipo di pubblico attrae una rassegna che scommette su un linguaggio artistico particolare come la performance?
Con la nostra attenzione per spazi non convenzionali e per la presentazione di opere diffuse in città, il nostro pubblico principale è costituito dagli abitanti di Kuopio, ovvero la comunità in cui lavoriamo, con cui anche collaboriamo. E, nel corso degli anni, abbiamo visto letteralmente “piombare” sul festival un gran numero di volontari, e aiutare con entusiasmo gli artisti ad allestire i loro lavori. Il DNA del festival sta nel lavorare dentro e intorno alla comunità, comprendere e sfidare la sua prospettiva. E poi c’è un pubblico professionale di curatori, organizzatori, critici e artisti che arriva da tutto il mondo per visitare il festival; ciò crea un mix vibrante e diversificato.

Dal 2016 avete lanciato, insieme ad altre città europee e canadesi, il progetto Future DiverCities, volto a far interagire la pratica artistica con l’ecosistema urbano; cosa è emerso d’interessante, in questi tre anni di lavoro? Come hanno risposto gli artisti coinvolti?
Il progetto Future DiverCities è stato strutturato in una serie di laboratori creativi e collaborativi, a Kuopio e in tutta Europa, e ha offerto uno spazio ad artisti fra loro molto diversi per pensare ai contesti urbani e alle sfide che si pongono, in maniera originale e creativa. Sono nate tantissime risposte – anche grazie al modello collaborativo basato sul dialogo, che ha permesso a molti artisti, che di solito lavorano da soli, di beneficiare del supporto e delle opinioni dei loro colleghi ‒, ed è stato un processo estremamente utile per tutti i soggetti coinvolti e ha chiaramente segnato l’inizio di sviluppi futuri.

ANTI è sicuramente un festival che, sulla scena contemporanea, ha una sua personalità. Guardandovi intorno, quali altre rassegne apprezzate e consigliereste agli appassionati d’arte contemporanea?
Sì, ANTI Festival è assolutamente unico nel suo concetto. Ma ovviamente ci sono molti festival che ammiriamo e visitiamo ogni anno. Un esempio è The Unconfirmity a Queenstown, in Tasmania. È un altro esempio notevole di un festival che esplora i paradossi del contesto urbano, in quel caso una comunità mineraria nella selvaggia e montuosa costa occidentale della Tasmania.

Johanna Tuukkanen

Johanna Tuukkanen

Mai uomo sarà più morto di disastrosa morte di quando la morte stessa sarà immortale”. Secondo Sant’Agostino la morte non muore mai, e l’uomo è destinato a rimanere per l’eternità in stato di morte. Incontrarla ogni giorno può quindi essere un esercizio “spirituale” utile a cancellarne l’istintivo timore. Comunque sia, la pratica artistica si è molto spesso confrontata con questo aspetto della vita. A Kuopio sono emerse riflessioni interessanti.

TOCCARE LA MORTE CON MANO

È possibile codificare la morte attraverso un sistema universale di simboli condivisi? La riflessione del collettivo britannico Moth nasce all’indomani del massacro di Utøya del 2011, quando i messaggi di cordoglio lasciati erano accompagnati dai simboli cristiani del crocifisso, dell’angelo, oppure da quello più generico del teschio e del cuore. È evidente che una simbologia precisa ancora manca, e per questo è nato In the face of Death, un sistema grafico che si ispira all’io, all’idea di anima, alla scienza, alla metempsicosi, senza implicazioni religiose definite. Un sistema “laico” di immagini, con i simboli diffusi per la città e la cui scoperta è di per sé un cammino con un inizio e una fine.
Breve nella durata ma intensa nella concettualità, la performance After Erika Eiffel di Loren Kronemyer, in cui l’artista si cimenta nello scagliare una freccia contro un bersaglio; si tratta della celebrazione dell’arciere Eiffel e insieme dell’elevazione a gesto estetico di un’azione potenzialmente letale; nella sua idea di provocazione ricorda Happiness is a warm gun dei Beatles. Nel considerare la quasi ossessione che Eiffel aveva per il proprio arco, l’artista riflette sull’incongruenza di trattare gli oggetti come persone anziché le persone come oggetti, e da queste “vedute fuori fuoco” molto spesso scaturiscono episodi anche involontari ma dagli esiti irreparabili. Con qualche paradosso, un lavoro che invita a demonizzare la cultura della violenza.

LA SFERA SACRA

Da sempre la pratica artistica ha svolto le sue ricerche anche guardando alla religione. L’artista finlandese J. A. Juvani propone uno “studio della morte” ‒ impossibile a priori, certo, eppure necessario nell’istinto dell’umanità ‒, attraverso Tanatologia, un’installazione composta da decine di copie di un unico volume, un moderno Libro dei Morti mutuato dal culto degli Antichi Egizi. E che, in ottica dell’esistenzialismo moderno occidentale, scava nell’essenza del concetto, per giungere all’amara conclusione che, alla fine del cammino, si trova il vuoto. Quel medesimo che resta quando, prese dal pubblico le copie del volume, l’installazione scompare.
La caducità della polvere, in questo caso di cemento, fissata al suolo per disegnare lastre tombali di gusto medievale; i mucchietti di rifiuti e vecchi oggetti sistemati accanto ai disegni, a dare l’idea dei residui delle esistenze; l’atto di spazzare e riordinare questi detriti, in maniera quasi ossessiva. Tutto questo fa di The Mourner. Lamentation in dust di Lucy Willow un’opera di arte visiva unita a performance e installazione, tesa a celebrare la sopportazione del dolore del lutto, del peso del tempo che trascorre inesorabile. Un cimitero senza tempo, dove aleggia l’idea della memoria, di uno scambio attivo tra la terra dei vivi e la terra dei morti.

Moth. In the Face Of Death. ANTI Contemporary Art Festival, Kuopio 2019. Photo Pekka Mäkinen

Moth. In the Face Of Death. ANTI Contemporary Art Festival, Kuopio 2019. Photo Pekka Mäkinen

LA MORTE ASSOLUTA

Il futuro potrebbe riservare all’umanità una morte ancora più assoluta di quella del singolo individuo: la morte dell’umanità intera, scenario possibile in caso di distruzione dell’ecosistema. Maria Lucia Cruz Correia presenta Voice of nature: The Trial, una performance teatrale in cui un immaginario tribunale condanna l’umanità per il reato di “ecocidio”. Un invito a guardare dentro le proprie coscienze e a ripensare lo stile di vita, una performance di teatro civile che chiama alla collaborazione fra individui, a stabilire una sorta di laico “patto di alleanza” per ristabilire su nuove basi etiche la vita sulla Terra.

INTERAZIONE CON IL PUBBLICO

In uno spazio ricavato all’interno di un centro commerciale, ma allestito come una galleria d’arte ‒ sorta di estensione del festival ‒ si tengono workshop, dibattiti, momenti di teatro, riferiti alla tematica di questa edizione. Un pubblico variegato ‒ giovani e anziani, addetti ai lavori e semplici appassionati o curiosi ‒, dialoga, si mette in discussione, ironizza, sull’altro lato della morte, cioè sulla vita. Sotto la direzione artistica di Christopher Higgins di MAP Consortium, il Future DiverCities Lab (inserito nel progetto di cui sopra) è uno spazio in cui gli artisti e il pubblico discutono sul concetto di “fine” inteso in senso lato: finiscono certe fasi della vita, finiscono le certezze, i sentimenti, finisce la durabilità degli oggetti. Momenti fra arte e socialità cui il pubblico partecipa numeroso e interessato, a dimostrazione della potenza dell’arte quando questa riesce a uscire dai circuiti accademici, che molto spesso “intimoriscono” il cittadino comune.

Niccolò Lucarelli

http://antifestival.com/en/

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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