La storia del Kistefos Museet, in Norvegia
Il filantropo che ha ideato il Kistefos Museet, Christen Sevaas, e la direttrice in pectore Birgitte Espeland tracciano un bilancio dell’istituzione, delineandone gli importanti traguardi per il 2020. A qualche settimana dall’apertura della nuova galleria-ponte progettata dallo studio Bjarke Ingels Group.
In occasione dell’inaugurazione del Twist, la nuova struttura del Kistefos Museet, nella cittadina norvegese di Jevnaker, abbiamo raccolto alcune impressioni dalla nuova direttrice in pectore Birgitte Espeland (che sostituirà a breve Egil Eide nel ruolo di direttore) e intervistato Christen Sevaas, il filantropo che, oltre vent’anni fa, ha dato vita al museo, da qualche settimana arricchitosi della galleria progettata da Bjarke Ingels. Una realtà dinamica, fra arte contemporanea e archeologia industriale, molto attiva con le scuole, ma purtroppo non facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici, cosa che limita l’afflusso di visitatori stranieri.
PAROLA A BIRGITTE ESPELAND
Il Twist può essere considerato una sorta di “infrastruttura culturale”, perché unisce due sponde del fiume e allo stesso tempo consente di estendere la missione di questa istituzione norvegese. Quanto è stretto il rapporto in Norvegia tra cultura e architettura?
Il clima e la natura selvaggia sono sempre stati un aspetto determinante quando si modella e si costruisce in Norvegia. In Norvegia la natura è cultura e abbracciamo davvero le stagioni e tutto quanto hanno da offrire. Combinando questa tradizione con gli sviluppi che l’architettura ha conosciuto negli ultimi decenni nel Paese, è nato appunto il Twist, un progetto pionieristico in cui la natura ingloba l’architettura e l’arte, e dove effettivamente ci si immerge in uno dei paesaggi più spettacolari che la Norvegia ha da offrire. Questa cultura profondamente radicata di vivere in sincronia con la natura può anche spiegare la crescente popolarità dei parchi di sculture in Norvegia: oltre a Kistefos, Skulpturstopp, Skulpturlandskap Nord-Norge ed Ekbergparken.
In linea generale, crede che i Paesi dell’Europa settentrionale abbiano un approccio più maturo nell’utilizzare l’architettura come strumento di progresso, anche civile, rispetto a quelli dell’Europa meridionale?
Il teatro dell’opera di Oslo, progettato da Snøhetta, è un buon esempio di come un edificio possa diventare molto più della funzione che dovrebbe ospitare. Questa è stata l’intenzione fin dall’inizio ed è diventato un punto di riferimento e uno spazio pubblico utilizzato da molte più persone rispetto a coloro che assistono a uno spettacolo al suo interno, abbattendo così le barriere culturali e sociali. Penso che i Paesi del Nord Europa, e in particolare la Scandinavia, siano stati in prima linea per quanto riguarda l’architettura democratica e sostenibile, che si tratti di ambienti urbani o rurali. D’altra parte, per i Paesi dell’Europa meridionale sembra esserci più metodo quando si tratta di custodire la storia e gli edifici più antichi e di accogliere dialoghi più sofisticati tra vecchio e nuovo. Qui, soprattutto, la Norvegia ha molto da imparare; quindi credo che ci siano lezioni da trarre da entrambe le tradizioni.
Infine, Christen Sevaan, collezionista e fondatore del museo racconta la nascita della sua collezione, che costituisce il cuore di questa piccola ma attiva realtà culturale norvegese.
Come è nata la collezione?
Ho iniziato a comprare dipinti norvegesi subito dopo aver terminato l’università in Svizzera. Avevo bisogno di qualcosa con cui riempire i vuoti sulle pareti di casa. Ricordo che rimasi affascinato dalle pitture del norvegese Harald Sohlberg, che ebbi la fortuna di conoscere tramite l’amico e avvocato Erik Wahlstrøm. Mi ha anche presentato alla Galleria K di Ben Frija, che è poi stata la mia porta d’ingresso nell’arte contemporanea internazionale. Nel 1990 ho comprato la mia prima opera di Hodgkin. Quindi, negli anni successivi, ho acquistato le opere di Kippenberger, Oehlen, Wool e altri. E così è nata la collezione.
Quale criterio ha seguito, nello scegliere le opere da comprare?
Molto semplicemente, ho seguito l’istinto e ho comprato le opere che più mi piacevano.
Come pensa di sviluppare ulteriormente l’attività del museo? Ci sono istituzioni culturali, norvegesi o straniere, con cui vorrebbe collaborare?
In passato il museo ha già avuto collaborazioni con altre istituzioni o fondazioni, anche al di fuori della Norvegia, ad esempio il Kunsten di Aalborg e la Louise Bourgeois Foundation. Un percorso che proseguirà anche in futuro, perché nel 2020 il Kistefos Museet sarà l’ospite europeo a Los Angeles, in occasione della retrospettiva dedicata a Lari Pittman dall’Hammer Museum. Pur avendo respiro internazionale, siamo una realtà piccola, per cui collaborazioni del genere sono sempre benvenute. La mia collezione, che comprende oltre 1.600 dipinti e più di cento foto, potrebbe essere da sola la base per tale cooperazione, ma non necessariamente.
‒ Niccolò Lucarelli
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