Pochi i trend organici che sembrano indicare qualcosa di nuovo nel mondo artistico berlinese. Quello che emerge, invece, è una sensibilità comune, un senso di smarrimento diffuso, una rappresentazione di una realtà precaria e in continua evoluzione.
La mancanza di equilibrio trova spazio sulle tele e nelle sculture esposte in gallerie e musei della capitale tedesca. Ci sono impennate barocche nei lavori di diversi artisti, soprattutto italiani e rumeni, che gravitano su Berlino. Figure afflitte, sanguinanti, vilipese, con la pelle lacerata e deformata. Riferimenti al Cristo, al San Sebastiano, corpi privati di patine reverenziali, adesso sporcati, sofferenti e sifilitici. Emerge lo smarrimento, un senso di malattia appunto.
“L’uomo è come allora irrisolto, nonostante le nuove conoscenze. È come se non ci bastasse più sapere. È come se volessimo evitare di ammettere a noi stessi che non ci sia un senso. L’uomo che si fa delle domande, l’uomo che si interroga sul vero senso dell’esistenza. L’uomo si ritrova nella stessa condizione dell’uomo barocco”, ci racconta la trentacinquenne lucana Francesca Genovese. Il suo lavoro, per lo più olio su tela, tradisce una certa consapevolezza anatomica e una predilezione per figure spezzate e tagliate. Diversi i dittici, un paio di trittici. Molti drappeggi, tutte nude le figure. L’intimità e il senso dell’esistenza due temi fondamentali.
“I miei riferimenti? La corporeità di Berlinde De Bruyckere, la distruzione di Nicola Samorì, la sensibilità di Dario Puggioni e l’erotismo da una prospettiva femminile di Louise Bourgeois”, spiega Genovese durante l’inaugurazione della sua personale alla Galleria Luisa Catucci a Berlino.
SAMORÌ: LA SCUOLA NEO-BAROCCA DI BERLINO?
Molti artisti italiani che mostrano il loro lavoro nella capitale tedesca considerano Nicola Samorì un punto di riferimento, vedono in lui la capacità di aprire discorsi e di riportare la tecnica pittorica al centro dell’attenzione. Per quanto viva a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, Samorì è infatti considerato un artista berlinese, non solo per i transiti continui, quanto piuttosto per l’approvazione che riceve proprio dagli artisti del luogo. Samorì sicuramente ha dato coraggio, con il suo immaginario, ad altri colleghi che cercano una direzione. “Penso spesso a quanto la resistenza alla retorica delle forme si sia ridotta negli anni e a come le presentazioni asciutte e stilizzate, che si insegnano da decenni in molte accademie, oggi siano in crisi. Sintomo del fatto che qualcosa di rimosso è tornato in gioco, come il desiderio di celebrare la padronanza dei mezzi e un marchio personale, levando terreno a percorsi collettivi coordinati dalla gabbia dell’istruzione, della critica e del mercato. Ma anche questo piccolo deragliamento diventerà (forse è già diventato) sistema”, commenta Samorì, impegnato in un vasto progetto che si terrà presso Made in Cloister e al Museo Archeologico di Napoli a partire dal 17 gennaio.
Secondo Samorì, che ha lavorato per qualche mese nella capitale tedesca nel 2011, Berlino è terreno fertile per questa proliferazione barocca in funzione della sua storia e della sua tradizione artistica, sostanzialmente diversa da quella italiana.
“Le tracce barocche superstiti sono esili, così si riduce il rischio di essere ghettizzati come passatisti obsoleti. L’Italia ha invece collezionato una ininterrotta sequela di autori dalle forme generose e barocche, anche in tempi di espressioni anemiche, perciò il rigetto nei confronti di nuove proliferazioni baroccheggianti è fisiologico”.
Samorì riconosce nel gesto irreversibile di Fontana e nel “linguaggio impudico, citazionista e non arginabile” di de Chirico due riferimenti barocchi importanti, soprattutto per gli italiani.
BERLINO: INCLUSIONE ED ESCLUSIONE
Berlino sembra essere al momento terreno fertile per artisti caratterizzati da questa sensibilità neo-barocca, da questo linguaggio “impudico”. “Berlino è un cantiere ortogonale e, quando penso a questa città, visualizzo losanghe, spigoli e sfumature metalliche alla Léger. Su questa griglia si sono però innervate forme infestanti e già quando ho visitato alcuni studi d’artista per la prima volta nel 2010 questa mutazione era in atto, chiaramente leggibile nei lavori di Jonas Burgert o di Ruprecht Von Kaufman, ma sarebbe bastato andare a Lipsia già cinquant’anni prima per imbattersi nel caso Werner Tübke”, spiega Samorì.
Allo stesso tempo Berlino è anche il posto dove artisti italiani non celebrati in patria trovano uno spazio. “Personalmente vivo la condizione schizofrenica dell’incluso/escluso, perché se da una parte il mio lavoro è oggetto di interesse da parte di altri artisti, soprattutto giovani, ed è collezionato in numerosi Paesi, dall’altro la spranga alle porte delle istituzioni è ancora ben salda. Situazione che genera energia perché senza attrito non c’è tensione nella ricerca”, conclude Samorì.
BERLINO E LA SOLITUDINE
Berlino fa fiorire instabilità e tensioni anche attraverso le sue difficoltà sociali. Senso di smarrimento e cambiamento, appunto. “C’è una instabilità che sembra molto percepita fra coloro che armeggiano con i pennelli, che con il figurativo offrono una personale visione del presente, caratterizzata dalla sofferenza provocata dall’indigenza, dall’incertezza nel futuro, dall’incapacità di comunicare, dall’alienazione dell’essere umano sempre più isolato, immerso nella massa e disperatamente solo. Berlino con i suoi evidenti paradossi ne è uno specchio. In questo scenario Samorì presta in modo evidente il suo immaginario”, spiega Dario Puggioni, artista nato a Brunei e cresciuto a Roma. Asfissia, decomposizione e dolore sono tre temi che emergono dal suo lavoro. Proprio per questo anche Puggioni ha un suo ruolo in questa sensibilità neo-barocca.
“Se per sensibilità neo-barocca si intende quel tentativo di riportare la pancia dell’osservatore al centro dell’opera, allora certo si può parlare di sensibilità neo-barocca”, spiega Puggioni.
Secondo l’artista, ora residente a Berlino, la capitale tedesca offre quell’humus fertile anticonformista di cui gli artisti necessitano per la elaborazione del loro operato. “Gli artisti italiani, che risentono maggiormente del convenzionalismo della propria tradizione nazionale, ne sono, dal mio punto di vista, calamitati più di altri”.
DUEMILADIECI: GLI ANNI DELLA SENSIBILITÀ NEO-BAROCCA?
Come il Barocco era più che altro lo spirito di un secolo, ci sono sicuramente termini per esprimere lo spirito di questo decennio (Duemiladieci o Anni Dieci) ormai in chiusura. Guardando il panorama artistico da Berlino, sembra appunto che una sensibilità neo-barocca sia la cifra di questi anni di smottamenti drammatici, periodo ugualmente ricco di sfarzo e magniloquenza. Come in realtà nel Seicento aveva senso parlare di barocchi, al plurale, ha senso parlare anche ora di diverse sensibilità neo-barocche. La scuola Samorì ha già i suoi proseliti, ma questo non esclude che altre scuole di artisti neo-barocchi possano emergere a breve. Molto probabilmente a Berlino. Molto probabilmente italiani.
‒ Sergio Matalucci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati