Indagine sul Sudafrica. Arte, creatività, innovazione, domani

Lo Stato più a sud del continente cresce tra le preferenze dei viaggiatori e ce n’è anche per il contemporaneo. Siamo andati a dare un’occhiata ai luoghi dell’arte a Cape Town, nel più grande museo di arte africana, e a Johannesburg, la città di William Kentridge. Con una domanda sempre in testa.

Da qualche anno a questa parte il Sudafrica attira un numero sempre maggiore di visitatori interessati e coinvolti. Il desiderio di esplorare nuovi Paesi e voli diretti dall’Italia per Johannesburg facilitano l’accesso alla punta meridionale del continente africano, la cui cultura, per ragioni storiche coloniali, è tra le più vicine a quella dell’Europa. A partire dalla fine del XV secolo, navigatori portoghesi, olandesi, britannici hanno doppiato il Capo di Buona Speranza, impresa riuscita per la prima volta a Vasco de Gama, alla ricerca di rotte per l’India alternative al Mediterraneo. Tra le correnti di questi mari nasce la leggenda dell’Olandese Volante e, ancora oggi, arrivare al Capo ha un sapore di frontiera, il punto estremo dove convenzionalmente l’Oceano Atlantico e quello Indiano si incontrano.

L’ONDA LUNGA DELL’APARTHEID

Le opere d’arte che abbiamo incontrato in questo viaggio riflettono un Sudafrica in espansione ma soggetto alle tensioni che hanno origine nella sua peculiare storia: di convivenza con i coloni boeri e gli imperialisti britannici, di sfruttamento degli schiavi, della corsa all’estrazione di oro e diamanti, di crudi decenni di lotta alla segregazione razziale, ancora non del tutto risolta.
Come scrive il politologo Anthony Butler su Limes, “l’eredità della segregazione e dell’Apartheid, assieme alle differenze inconciliabili nell’interpretarne il significato, ostacola tuttora lo sforzo di creare un’identità nazionale consolidata e un ordine sociale coerente e inclusivo”.

Yinka Shonibare, Adam and Eve. Zeitz MOCAA, Cape Town. Photo Maria Stella Bottai

Yinka Shonibare, Adam and Eve. Zeitz MOCAA, Cape Town. Photo Maria Stella Bottai

SUDAFRICANI ECCELLENTI

I media locali raccontano di un debito pubblico in aumento e della ricerca di soluzioni all’immigrazione clandestina proveniente dai Paesi limitrofi. Ma il Sudafrica è anche la terra di straordinari pionieri e visionari.
È qui che Gandhi ha cominciato la sua storia di avvocato attivista e che un altro avvocato, Nelson Mandela, ha incarnato con la moglie Winnie la lotta all’Apartheid. La cantante Miriam Makeba e i premi Nobel per la letteratura J.M. Coetzee e Nadine Gordimer hanno dedicato parole di toccante intensità alla vita nelle township, all’incomunicabilità tra le classi sociali, alle politiche repressive in vigore fino al 1994, anno delle prime elezioni libere. In un ospedale di Cape Town, il chirurgo Christiaan Barnard ha realizzato il primo trapianto di cuore. Da Pretoria arriva Elon Musk, l’imprenditore che ha mandato una macchina nello spazio.

TAPPA A CAPE TOWN

Partiamo da Cape Town, la città culturalmente più vivace, dove ha sede il più grande museo di arte contemporanea africana, lo Zeitz MOCAA – Museum of Contemporary Art Africa. Seguito per importanza dal MACAAL – Musée d’Art Contemporain Africain Al Maaden di Marrakech, è stato fondato dal collezionista Jochen Zeitz, colui che ha rilanciato la Puma, per intenderci, con il curatore Mark Coetzee – poi dimessosi – per esporre arte africana del XXI secolo e della diaspora.
Aperto nel 2017 nell’area turistica del Waterfront, ha come sede un gigantesco silos del grano, recuperato dallo studio di architetti Heatherwick, le cui dimensioni fuori dall’ordinario e lo slancio verticale rendono il museo un luogo eccezionale e insieme una sfida per curatori e artisti. Gli ascensori scorrono lungo le vertiginose torri di cemento. Salendo sembra di raggiungere il tetto di una cattedrale, la postazione migliore per vedere dispiegarsi in tutta la sua estensione l’arazzo di El Anatsui Dissolving continents (2017), artista protagonista all’acclamato Padiglione del Ghana alla Biennale di Venezia 2019. L’opera è una mappa realizzata con materiali di recupero che sovrasta l’ingresso come uno stendardo in un castello.
Nelle sale è esposta una parte della collezione permanente. Spiccano l’installazione di Yinka Shonibare Adam and Eve – il giardino dell’Eden era in Africa? – e la rilettura femminista di Mary Sibande della storia post-coloniale con il gruppo scultoreo In the midst of chaos, there is opportunity, citazione dall’arte della guerra di Sun Tzu; i video del nigeriano Daniel Obasi, le fotografie di paesaggi marziani sulla terra della statunitense Cassandra Klos, le pareti ricoperte di ritratti delle donne della storia del Sudafrica di Sue Williamson.
Per vedere di più andiamo sul sito del museo, dove la lista di artisti presenti in collezione include alcuni tra i nomi più noti anche fuori dal continente, artisti che in Africa sono nati o la cui cultura di provenienza o di destinazione è africana (e c’è persino un Guercino): i britannici Isaac Julien e Chris Ofili, naturalmente William Kentridge, la nigeriana Akunyily Crosby, la sudafricana Zanele Muholi e l’etiope Julie Mehretu, queste ultime ben rappresentate all’ultima Biennale di Venezia curata da Ralph Rugoff.

William Kentridge, David Kurt Workshop, Arts on Main, Johannesburg. Photo Maria Stella Bottai

William Kentridge, David Kurt Workshop, Arts on Main, Johannesburg. Photo Maria Stella Bottai

KENTRIDGE E LA DOMANDA RICORRENTE

Una grande retrospettiva dedicata a William Kentridge, intitolata Why Should I Hesitate: Putting Drawings to Work, è in corso fino a marzo. La mostra ha una seconda sede alla Fondazione Norval, situata a Tokai, fuori dal centro di Cape Town, dove sono raccolte le grandi sculture dell’artista.
Uscendo leggiamo una scritta posta su una vetrata all’ingresso: What does it mean to be an African artist? Dal Macaal allo Zeitz Mocaa emergono, tra i nuclei tematici ricorrenti nella produzione del contemporaneo africano subsahariano, la definizione dell’identità, le storie dell’Apartheid, la rilettura critica del colonialismo, l’ecologia, soprattutto come recupero dei materiali. Forse la retrospettiva di Kentridge risponde alla domanda. In parte l’artista lo ha già fatto con un’operazione culturale nella sua città natale: quando si inaugurò lo Zeitz Mocaa a Cape Town, Kentridge aprì una fondazione a Johannesburg, il Centre for the Less Good Idea, nel quartiere creativo Arts on Main. Un incubatore di idee, nato in seguito alla chiusura della storica JAB – Johannesburg Art Gallery quando la struttura fu danneggiata dalle piogge. Un gesto significativo in un Paese con pochi spazi per la sperimentazione artistica e senza quasi musei pubblici, e anche la collocazione è strategica.

HUB JOHANNESBURG

L’Arts on Main, dal nome della Main Street, si presenta come un hub della cultura che raccoglie intorno a un cortile atelier, gallerie, negozi di design, nelle vicinanze del Museo del Design e del POPArt center, spazio ibrido per le arti performative. Nel quadrilatero dell’Arts on Main spicca la stamperia di David Krut, che collabora con importanti artisti contemporanei. Durante il sopralluogo abbiamo potuto vedere la preparazione di alcune incisioni di Kentridge per la mostra allo Zeitz Mocaa.
La Johannesburg Art Gallery è oggi parzialmente riaperta. Si tratta della galleria nazionale sudafricana, pubblica, a ingresso gratuito, con un nucleo di arte europea del XIX e XX secolo – Goya, Millais, Picasso – in gran parte non esposta. Si può vedere di più dalla pagina del museo su Google Arts&Culture. L’abbiamo percorsa cercando la risposta alla domanda che ci portiamo dietro dallo Zeitz Mocaa: What does it mean to be an African artist? Le condizioni di visita non sono ottimali: diverse le sale ancora chiuse, in quelle aperte la maggior parte delle opere sono esposte senza didascalie, in alcune l’illuminazione è carente, mentre il bel cortile centrale è infestato dai piccioni.
La collezione permanente espone insieme, e in dialogo, il passato e il presente, i manufatti antichi, le maschere tribali insieme alle opere degli artisti contemporanei. È la vocazione enciclopedica dei grandi musei come il Louvre o il Met, e una struttura di questo tipo e di questa natura è forse un unicum nell’Africa centrale e meridionale, come anche la sua architettura classicista. Ci auguriamo che possa riaprire del tutto e diventare un centro nevralgico della cultura della città.

Zeitz MOCAA, Cape Town. Photo Maria Stella Bottai

Zeitz MOCAA, Cape Town. Photo Maria Stella Bottai

COLLEZIONI IN DIALOGO

La stessa ricerca di continuità e dialogo tra la produzione manifatturiera e artigianale antica e la produzione artistica contemporanea accomuna altre due ambiziose collezioni del Sudafrica: la Iziko South African National Gallery di Cape Town e il Wits Art Museum di Johannesburg. La prima prende il nome dalla parola ‘focolare’ in lingua isiXhosa ed è parte di una rete di 11 musei, la cui nascita risale alla seconda metà dell’Ottocento. Tra questi, il Museo di Storia Naturale, il Planetario, il museo del colorato quartiere malese di Bo Kaap e la National Gallery, molto vivace in termini di esposizioni e acquisizioni.
Il Wits nasce invece come galleria d’arte dell’Università di Witwatersrand a Johannesburg, nel quartiere chic di Braamfontein. Una piccola sezione di arte tribale interfaccia tre piani dedicati a mostre temporanee. Abbiamo visitato una mostra tributo al pittore Robert Hodgins, giornalista e critico d’arte londinese trasferitosi in Sudafrica, e la retrospettiva di stampe di Sam Nhlengethwa, cantore del blues sudafricano, realizzata in collaborazione con la Goodman Gallery. Quest’ultima – da non confondere con Marian Goodman – ha sede a Cape Town, Johannesburg e recentemente Londra e ha in scuderia artisti del calibro di Candice Breitz (che ha rappresentato il Sudafrica alla Biennale Arte del 2017), El Anatsui, Yinka Shonibare, lo stesso Robert Hodgins e, ovviamente, William Kentridge.

L’APARTHEID TORNA ANCORA

Johannesburg è la città più popolosa del Sudafrica, con un maggior numero di luoghi della cultura. La visita è più complicata rispetto a Cape Town – per la sua enorme estensione, per la dislocazione dei punti di interesse, per la logistica degli spostamenti e la questione della sicurezza nelle strade.
Robert Hodgins la descrisse come una miniera d’oro diventata città. Guardandola dalla vetta del grattacielo Top of Africa si vede l’asperità del paesaggio circostante, la terra arida del veld, le miniere sullo sfondo, e al centro una macchia di cemento con i grattacieli e le grandi strade di scorrimento che seguono uno schema rigidamente geometrico.
Il suo museo più importante rimane il Museo dell’Apartheid, nella parte meridionale fuori downtown. La storia della segregazione razziale africana viene raccontata con documenti, mappe, fotografie, video, locandine, oggetti, ricostruzioni ambientali, e anche opere d’arte, seguendo un ordine cronologico dall’arrivo degli europei nel XV secolo fino a oggi. Le ultime sale accolgono alcune opere esposte nel Padiglione Sudafrica all’Arsenale della Biennale di Venezia (la mostra di quest’anno si intitolava The stronger we become, riferito al titolo di una canzone sull’Apartheid).
Lungo il percorso troviamo incisioni e sculture di William Kentridge; l’artista ha conosciuto l’apice degli scontri precedenti le libere elezioni del 1994 in prima persona e attraverso l’attivismo dei genitori, entrambi avvocati politicamente impegnati nella lotta all’Apartheid, come lo furono Gandhi e Mandela. Anche questo è essere un(’) artista africano/a oggi.

Maria Stella Bottai

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #53

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Stella Bottai

Stella Bottai

Maria Stella Bottai è critico d’arte e curatore. Formatasi tra Italia, Francia e Finlandia, si è addottorata in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma. Responsabile della sezione arti visive del sito Cultfinlandia.it, recentemente ha curato l’anteprima video…

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