Nel cuore di Amsterdam, a quattro passi dalla stazione centrale, si trova la principale biblioteca pubblica della città, che ospita al suo interno un archivio insolito, quantomeno rispetto agli interessi dei collezionisti delle istituzioni italiane e non solo. Si chiama IHLIA LGBT Heritage ed è il centro internazionale di documentazione sulla cultura lesbica, gay, bisessuale, trans e, più in generale, queer, più vasto in Europa. Ma che cosa significa collezionare materiale LGBT oggi? E perché è importante? La collezione include oltre centomila titoli fra pubblicazioni, riviste, documentari, poster e oggetti. Ciò significa innanzitutto avere un ruolo leader nel costruire e mantenere viva la memoria di una comunità marginalizzata, maltrattata e discriminata ancora oggi e in vari contesti, a livello di diritti civili e libertà di espressione. Significa anche avere un ruolo attivista nell’avanzare dibattiti su questioni attuali e controverse, assottigliando i confini fra cultura, politica e società.
Grazie al Progetto Professionalità Ivano Becchi della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, ho l’opportunità di condurre ricerche presso l’IHLIA su come questa organizzazione e diversi musei olandesi si stiano impegnando nel promuovere riflessioni su identità di genere e sessualità. Una testimonianza di questo approccio è Queering the Collections, progetto con cui varie istituzioni olandesi stanno creando connessioni fra l’interpretazione delle collezioni e questioni sensibili a livello politico e sociale. L’iniziativa prese piede grazie a un’azione di sensibilizzazione promossa da IHLIA, l’Accademia di Reinwardt e il Museo di Amsterdam. Va sottolineato come una decina di anni fa, anche nei Paesi Bassi, attivarsi a livello culturale su questi temi non fosse scontato. Le resistenze potevano essere molteplici e in generale riconducibili alla diffidenza rispetto all’utilità di dare visibilità a questi temi nella programmazione di un’istituzione culturale, specie a livello di allestimento e interpretazione. Cosa c’entrano le questioni di genere e le lotte LGBT con i contenuti di un museo d’arte, antropologico, scientifico o di storia? E perché un’istituzione culturale dovrebbe farsi portavoce di tematiche così sensibili nel dibattito d’attualità?
UN’ISTITUZIONE ALL’AVANGUARDIA
Da allora sono passati cinque anni e le risoluzioni di questi interrogativi si rintracciano nelle politiche culturali di molte istituzioni. A Eindhoven il Van Abbemuseum fa della teoria queer una questione di metodo, incoraggiando sperimentazioni che mettono in discussione le gerarchie e abbracciano la diversità a molteplici livelli decisionali e operativi. Le toilette gender neutral che si incontrano all’ingresso del museo diventano così uno statement di un approccio che permea in maniera organica nell’organizzazione. Accessibilità e inclusione sono concetti che traspaiono nella comunicazione, nell’allestimento e nella programmazione. Il percorso espositivo da un lato rinuncia a interpretazioni rigidamente storico artistiche; dall’altro le opere sono spesso messe in relazione a temi che hanno un valore nel vissuto delle persone. Come l’identità sessuale, l’intimità e il rapporto con il corpo, indagati mediante i soggetti raffigurati o le personalità degli artisti. Olle Lundin, del Van Abbemuseum, racconta come un approccio queer è anche finalizzato a mettere in discussione l’autorità del museo, dal punto di vista delle modalità con cui si genera conoscenza. Infatti i discorsi che l’istituzione crea si avvalgono spesso della collaborazione di esterni e i punti di vista di artisti, rappresentanti di associazioni e singoli cittadini vanno così a costituire la cassa di risonanza dell’istituzione stessa. Nel complesso, il Van Abbemuseum si presenta come istituzione d’avanguardia che mostra il suo carattere nella rinuncia a stabilire confini fra ‘discorso istituzionale’ ed ‘esperienze della comunità’. Il programma di ricerca e residenze artistiche Why am I Here?, ideato e curato da Alice Venir e Julius Thissen, solleva poi in maniera critica quesiti sul senso profondo dell’inclusione di gruppi diversi al museo. Sino a che punto, chiedono i curatori del progetto, siamo capaci di trasformare le esigenze di comunità marginalizzate in nuove grammatiche progettuali?
COME UN MUSEO
Al museo di Amsterdam, le narrazioni LGBTQ confluiscono in un progetto che mette in discussione i tradizionali metodi di narrazione della città avvalendosi di approcci partecipativi. Essendo finalizzato a rappresentare la diversità di un tessuto sociale, in questo caso di Amsterdam, gli ‘esperti’ coinvolti attivamente nei processi narrativi sono soprattutto gli abitanti. Queste dinamiche di ‘nuovo collezionismo’, poiché il materiale raccolto ed esposto include la memoria delle persone, sono visibili sia nelle sale espositive attraverso testi a parete sia online tramite video. Al museo, biblioteca e archivio Coda di Apeldoorn una mostra sulle identità drag illumina rispetto alle modalità di vivere e sperimentare diverse identità di genere sul proprio corpo anche attraverso progetti didattici rivolti alle scuole. Visitare queste istituzioni incentiva a riflettere sugli stereotipi di genere, sulle diverse sessualità e le discriminazioni e violenze a esse connesse. Pensiamo al fatto che l’omosessualità, come categoria di analisi del comportamento umano, inizia a svilupparsi verso la fine dell’Ottocento in Occidente. E pensiamo che l’odio e le discriminazioni sulla base del cosiddetto ‘orientamento’ sessuale sussistono ancora oggi, specialmente a livello legislativo e sulla base di un costrutto culturale che, storicamente parlando, ha vita piuttosto breve. Costruire un archivio su questioni di genere e sessualità significa soprattutto dare la possibilità alle persone di informarsi, di conoscere e di acquisire gli strumenti necessari per avere consapevolezza sulla formazione di alcuni processi identitari. Penso per esempio alle mostre che quest’istituzione ha dedicato alle identità trans, indagate con umanità e attenzione per i molteplici significati della transizione, adottando approcci narrativi distanti dallo stereotipo che connette un’identità multi-sfaccettata a una patologia e una condizione di disagio perpetuo.
IHLIA LGBT Heritage, grazie al suo network, supporta molte delle azioni culturali che nei Paesi Bassi, ma non solo, vengono condotte su questi temi. Ciò che mi colpisce di questo luogo è che, nonostante sia un archivio, molte professionalità assomigliano a quelle di un museo, o un centro culturale di moderna concezione. C’è chi si occupa di comunicazione esterna e coinvolgimento dei pubblici. Accessibilità, audience development e digitale sono infatti parole chiave per lo sviluppo futuro di questo luogo. Tutto ciò è molto distante dall’idea di archivio come sepolcro di documenti, utile perlopiù a studiosi e esperti. Qui c’è solo da imparare.
‒ Nicole Moolhuijsen
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati