Salvare la natura: la tecnologia aiuta?
Sedici artisti da tutto il mondo, dall’Australia agli Stati Uniti, passando per l’Europa, si confrontano al Kunstapalais di Erlangen, in Germania, sulla controversa questione del ruolo della tecnologia nella vita quotidiana. Risorsa o pericolo? Se da un lato i “neopositivisti” esaltano le innovazioni tecnologiche in campo medico e industriale, così come nelle comunicazioni e nell’efficienza energetica, dall’altro lato si schierano artisti e pensatori che ammoniscono ad accettare acriticamente tutto ciò che sembra semplificare e ridurre l’intervento umano nei vari campi del lavoro e della socialità. Temi che oggi risultano quanto mai attuali.
Nell’oggettiva impossibilità di affrontare tutte le implicazioni della tecnologia nei vari settori umani, la curatrice Milena Mercer ha scelto di concentrarsi sull’emergenza ambientale e il ruolo che può svolgervi il progresso scientifico e tecnologico. Partendo però dalla considerazione per cui, in epoca di facile creazione e diffusione di contenuti, è ancora più facile inondare i canali di comunicazione con notizie più o meno false, o comunque inesatte, difficili da distinguere da quelle autentiche. Non c’è quindi troppa chiarezza, a eccezione di alcuni macro-temi come il cambiamento climatico, sull’effettivo stato di salute del pianeta.
In terra di filosofia esistenzialista come è stata la Germania, queste radici ricorrono anche nella mostra, poiché gli artisti coinvolti non offrono risposte, bensì pongono domande ed enfatizzano questo clima foriero di dubbi: aleggia nell’aria il Weltschmerz teorizzato da Johann Paul Friedrich Richter nel Settecento e ripreso da Sartre due secoli più tardi, sotto il nome di “nausea”. Nel Giornale di bordo dell’aeronauta Giannozzo (1801), antesignano di Tre uomini in barca, tracciò un ritratto fra divertito e disgustato della società europea dell’epoca. A Erlangen va in scena una riflessione simile, che prende in considerazione lo smarrimento della società contemporanea, irretita dalle sirene della tecnologia, atterrita dal caos che la circonda, incapace di agire in maniera efficace, eppure ‒ almeno fra le generazioni più giovani ‒ impaziente di smuovere le acque.
IL FUTURO DELLA NATURA
Deserti, foreste, virus, conchiglie fossili, lumache preistoriche, astrusi macchinari sono i pilastri di un percorso dai molteplici linguaggi artistici (video, performance, fotografie, installazioni) che contribuiscono a creare un allestimento dinamico e scenografico. Si parla del destino del pianeta Terra, di un (im)possibile recupero di un rapporto armonico fra umanità e natura, si immaginano soluzioni a protezione di flora e fauna, come la membrana antipatogena autogonfiabile di Alexandra Daisy Ginsberg, da applicare sul tronco degli alberi. Soluzioni immaginifiche, gesti artistici che cercano di stimolare una coscienza umana poco sensibile nonostante le apparenze. La tecnologia delle immagini satellitari del monitoraggio dell’avanzamento dei deserti è il manifesto di Tega Brain, Julian Oliver e Bengt Sjölen, mentre Anna Dumitriu e Alex May immaginano specie marine del futuro, conseguenza dell’innalzamento delle temperature dei mari. Non manca un tocco di pungente, britannica ironia: in tempi di instabilità tanto meteorologica quanto politica (e la Brexit lo conferma), James Bridle ha creato Cloud Index, un algoritmo che sovrappone i risultati elettorali alle condizioni atmosferiche, cercando di produrre attendibili previsioni politiche. Da un lato, un chiaro sbeffeggio ai tanti sondaggi che circolano prima di ogni elezione, così come all’uso a volte ridicolo della tecnologia, ma dall’altro lato anche un sottile monito circa le instabilità politiche e sociali che le massicce migrazioni dovute a fattori climatici potranno causare nei prossimi anni. La natura si salva salvando l’umanità dalla deriva, e viceversa.
IL FATTORE UMANO
La mostra, allestita con elegante sobrietà, lascia la sensazione di un’utopica Wunderkammer nella quale si accantonano oggetti nella speranza che siano indizi per comprendere meglio l’evolvere della situazione, stimoli per un impegno più concreto, per esercitare il libero arbitrio. Pur non dando risposte, che sarebbero impossibili per chiunque ‒ scienziati compresi ‒, gli artisti coinvolti nella mostra lanciano comunque il messaggio per cui la tecnologia può essere un mezzo ma non un fine, e che è fondamentale mantenere il contatto con la concretezza della realtà, nelle sue varie implicazioni di pratiche manuali di lavoro, relazioni umane, fruizione dell’ambiente naturale. Perché il mondo cambia attraverso azioni concrete, ponderate dal pensiero umano coerente e onesto, e anche la tecnologia, se mal applicata, può causare più danni che benefici. Prima di guardare il freddo schermo di un computer, potrebbe essere opportuno che l’individuo si guardasse dentro e intorno.
‒ Niccolò Lucarelli
Erlangen // fino al 24 maggio 2020
Survival of the Fittest
KUNSTPALAIS
Marktplatz 1
https://www.kunstpalais.de
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