New York e Coronavirus: uno sguardo alla situazione attuale
Anche a New York sta salendo la preoccupazione per il contagio da Coronavirus: molte istituzioni culturali hanno chiuso i battenti o ridotto le loro attività, ma il ritmo della vita quotidiana pare immutato. Il report della nostra corrispondente.
Ad andare in giro per la città non si direbbe, ma il COVID-19 è arrivato anche a New York. Ne sono un primo segnale gli scaffali dei supermercati che si svuotano e i tanti eventi cancellati. Ma in generale si respira ancora un senso di inconsapevolezza, un po’ come in Italia una decina di giorni fa. La metropoli non si ferma, le strade sono ancora affollate e i treni della metropolitana ancora pieni. Chi può sta iniziando a preferire la bicicletta o ad andare a piedi, ma al momento la differenza si nota poco: le masse di persone che quotidianamente contano sui mezzi pubblici per andare al lavoro o a scuola non hanno scelta. Spunta qualche mascherina in più, ma è ormai già da qualche giorno che è difficilissimo trovarne. E allora, seppure con un po’ di apprensione, non c’è che da affidarsi al fato. Ma se un presidente è specchio di un popolo, gli americani stanno iniziando solo in queste ore a sviluppare un po’ di sana apprensione, quel tanto che basterebbe per capire che il COVID-19 non è un problema degli europei e che all’America non basterà essere “great” per stare al riparo da questa crisi. Venerdì Trump ha dichiarato l’emergenza nazionale e subito dopo ha stanziato un fondo di 50 miliardi di dollari. Nelle stesse ore, la Louisiana ha annunciato che sarebbero state rimandate le primarie democratiche in corso in queste settimane. Altri Stati potrebbero prendere la stessa decisione nei prossimi giorni.
QUI NEW YORK
A New York, sia il governatore dello Stato, Andrew Cuomo, che il sindaco della città, Bill de Blasio, già da qualche giorno avevano dato segno di non voler sottovalutare la situazione e avevano iniziato a vietare i grandi eventi e lanciato appelli a stare a casa, evitare la metropolitana e i luoghi affollati. Cuomo aveva dichiarato lo stato di emergenza nello Stato già sabato 7 marzo, de Blasio ha fatto lo stesso per l’area metropolitana giovedì. Sarà un caso, ma i due sono entrambi di origini italiane e chissà che non abbiano dato un’occhiata senza pregiudizi a quel che stava succedendo nel nostro Paese per capire che questa non è una cosa che riguarda solo gli altri. Così come, nel corso di una settimana che sembra un mese per la rapidità con cui si sta evolvendo la situazione nei vari Paesi in giro per il mondo, i primi segnali di cosciente preoccupazione li avevano dati proprio gli italiani in città. Non solo le tante persone che, se potevano, hanno scelto di stare a casa e organizzarsi con il telelavoro, ma anche le istituzioni culturali italiane che sono state tra le prime a cancellare eventi. Poi sono arrivati tutti gli altri, e, se appena la settimana scorsa si erano svolti regolarmente l’Armory Show e le tante altre fiere della art week che portano in città decine di migliaia di persone da tutto il mondo, giovedì ha chiuso il Metropolitan Museum, venerdì il Whitney, dove ancora martedì si era tenuta un’anteprima stampa per la mostra di Agnes Pelton, e poi, nel corso della giornata, anche il MoMA, il Guggenheim, il Jewish Museum, l’American Museum of Natural History, il Brooklyn Museum e tanti altri musei minori. Alcuni hanno dichiarato di avere avuto sospetti casi di Coronavirus tra i propri dipendenti. Altri fanno sapere di non aver avuto alcun caso, ma di aver scelto di chiudere per proteggere il proprio staff e il pubblico e per dare il proprio contributo agli sforzi di contenimento del virus. Nelle homepage di molti dei musei, i visitatori trovano oggi comunicati che spiegano le ragioni della chiusura e un tasto che li invita a esplorare la collezione online. Non una cattiva idea per tenersi impegnati mentre si è costretti a casa. Al momento della scrittura di questo articolo, restano aperti, invece, il museo dell’immigrazione a Ellis Island e la Statua della Libertà, così come è ancora possibile salire sull’osservatorio dell’Empire State Building.
GALLERIE E TEATRI
Molte delle gallerie d’arte sono aperte regolarmente. Alcune tra le più grandi offrono visite su appuntamento, come Marian Goodman, Lehmann Maupin e Petzel Gallery. Su appuntamento si può visitare anche Pace Gallery che offre pure viewing room online, in cui si possono esplorare le mostre attualmente in corso, mentre David Zwirner ha temporaneamente chiuso l’accesso ai suoi spazi.
Ferme le performance a Broadway da giovedì 12, mentre restano aperti molti dei teatri off-Broadway, che hanno un numero di posti a sedere generalmente sotto il centinaio. Carnegie Hall ha interrotto la programmazione, così come ha fatto Metropolitan Opera. Continuano invece regolarmente gli spettacoli del mitico gruppo Stomp all’Orpheum Theater. Alcuni cinema hanno sospeso le proiezioni ma altri restano aperti, vendendo biglietti solo per il 50 per cento dei posti disponibili. Il Tribeca Film Festival, la cui apertura era prevista per il 15 aprile, è stato rimandato a data da destinarsi. Alcune istituzioni culturali stanno iniziando a offrire una programmazione online. Tra queste il centro 92Y che, nella convinzione che in questo momento più che mai sia importante restare connessi alla propria comunità, sabato 14 ha sperimentato il suo primo shabatt in connessione remota e a seguire ha offerto una performance in livestream del pianista Garrick Ohlsson. A partire da sabato, anche l’immenso sistema di biblioteche di New York ha chiuso le porte al pubblico fino a fine mese, mentre restano aperte le biblioteche di Brooklyn e Queens che appartengono a un circuito separato. Quasi tutti gli eventi sportivi, compresa la maratona di Boston, sono stati sospesi e rimandati.
CORONAVIRUS ED ECONOMIA
Al ritmo accelerato di questi giorni, anche New York e l’America si stanno svegliando all’allarme per la pandemia. Ma se il sistema della cultura, per definizione più sensibile, sta rispondendo, lo stesso non si può dire di un sistema economico ben piantato nel liberismo e che tutela le scelte individuali ma non offre garanzie a chi non ha alternative. E se questa emergenza sta dimostrando che gli stili di vita di tutti dovranno cambiare, è facile immaginare che gli americani, così affezionati al proprio, saranno tra i più reticenti. D’altronde per averne conferma basta guardare il presidente che, a conclusione della conferenza stampa in cui annunciava di aver dichiarato l’emergenza nazionale, distribuiva generosamente strette di mano a tutti. Ma New York non è l’America e anche in questo si sta già distinguendo. Speriamo possa dare l’esempio al resto del Paese.
‒ Maurita Cardone
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