Dallo champagne all’arte e ritorno. La storia della maison Pommery in Francia
Pochi temi sono più attuali di quelli relativi alle modalità di sostegno del settore privato alle arti e alla cultura. A Reims, la tenuta Pommery ha inaugurato un nuovo spazio dedicato all’arte lontano dalle correnti mainstream.
Ieri è il 1858. Jeanne-Alexandrine, detta Louise, Pommery si ritrova da sola, a 39 anni, a dirigere una piccola casa produttrice di champagne. Visionaria e audace, Louise Pommery si circonda rapidamente di artisti e architetti per creare un luogo unico, oggi Patrimonio mondiale dell’Unesco. 55 ettari di vigne, 18 chilometri di gallerie sotterranee risalenti all’epoca gallo-romana che Madame Pommery ebbe lo zelo di trasformare in cave per conservare i venticinque milioni di bottiglie in cui è racchiusa la storia della provincia Champagne-Ardenne. Il tutto inquadrato in un enorme complesso architettonico in stile gotico neo-elisabettiano, a qualche passo dalla Villa Damoiselle, fiore all’occhiello dell’Art Nouveau e piccola dimora nella quale visse la signora dello champagne. L’intransigenza sulla qualità dei vini, l’innovazione – fu lei a rompere con la tradizione dello champagne dolce inventando il famosissimo “brut” – e la passione per l’arte portano in pochi anni la piccola azienda a diventare una delle più prestigiose case produttrici di champagne, rinomate in tutto il mondo.
POMMERY IERI E OGGI
La storia di oggi inizia invece nel 2002, quando l’imprenditore Paul-François Vranken ha l’opportunità di acquistare Pommery. La visita delle cave a trenta metri di profondità, illuminate dai grandi bassorilievi commissionati da Louise Pommery fra il 1882 e il 1885 allo scultore Gustave Navlet, è immediatamente una rivelazione. È nel mondo sotterraneo immaginato da Madame Pommery che l’arte farà il suo ritorno.
Gli artisti rispondono entusiasti al progetto, così come i 130mila visitatori che, dal 2003, annualmente percorrono la tenuta del gruppo Vranken-Pommery.
L’EXPERIENCE POMMERY: ARTE E CHAMPAGNE
La prima Expérience Pommery, la numero 0 (2003), fu un esperimento che segnò l’inizio di un nuovo modello di esposizioni. L’ultima, la numero #15, avrebbe aperto al pubblico il 2 aprile 2020 se la crisi sanitaria non avesse imposto la chiusura degli spazi culturali.
Di mostre d’arte contemporanea ne abbiamo viste a migliaia, ma così magiche e così incredibilmente immerse in una drammaturgia naturale mai. Uno scalone maestoso, investito dall’opera luminosa di Pablo Valbuena, introduce lo spettatore in un’altra dimensione. Si apre a lui uno spazio abissale, in cui ogni anno una trentina di artisti provenienti da tutto il mondo – benché per la maggior parte francesi o residenti in Francia, come forse è anche giusto che sia – si confrontano con la bellezza vertiginosa di un luogo fuori dal tempo. Niente pitture, niente fotografie, niente materiali facilmente deperibili. Le opere sono esposte a un grado di igrometria tale che le danneggerebbe drasticamente. L’impegno intrapreso è dei più seri, l’esperienza, da cui traggono il titolo le insolite mostre che si snodano nelle cave più vaste e meravigliose della regione, è puntualmente un successo.
Daniel Buren, Tadashi Kawamata, Laurent Grasso, Aline Bouvy, Stéphane Thidet, Babak Alebrahim Dehkordi & Peyman Baradi, Richard Fauguet, Mathieu Mercier, Choi Jeong Hwa, Enrique Marty, Hicham Berrada, Franck Scurti, Zsofia Keresztes, Stephen Wilks e molti altri hanno accettato in questi anni la sfida di confrontarsi con uno spazio che non è né un museo, né un’istituzione, ma una semplice casa produttrice di champagne con un personalissimo progetto di mecenatismo d’impresa.
Ogni mostra è una pagina bianca, un’opportunità di creazione per gli artisti, un momento d’incontro con il pubblico, durante il quale il mondo dell’arte e il mondo dello champagne imparano a conoscersi.
LA NASCITA DI UN NUOVO SPAZIO MUSEALE: LE CELLIER POMPADOUR
È Nathalie Vranken, numero due del gruppo Vranken-Pommery Monopole, a parlarci del nuovo progetto di uno spazio museale che ha aperto al pubblico lo scorso 3 giugno con l’inaugurazione della mostra Blooming. L’idea è maturata durante i quattordici mesi in cui il tempo sembrava essersi fermato. Il museo delle belle arti di Reims è chiuso per restauro sino al 2023, lasciando le opere in deposito. L’architettura moderna e industriale del Cellier Pompadour (luogo inizialmente destinato al processo di vinificazione situato nel cuore della tenuta) presenta uno spazio di 900 metri quadrati immerso in una luce naturale, ideale per accogliere mostre di pittura, fotografia e disegni.
Attraverso 150 prestiti e due produzioni di opere, Blooming mette a confronto 60 artisti moderni e contemporanei che elevano ed esaltano il tema dei fiori e della natura.
La scenografia del giardino alla francese, fatto di simmetrie e una prospettiva tale da sfruttare pienamente i principi dell’ottica, permette alle opere di Adolphe Binet, Camille Corot, Paul Gauguin, Henri Fantin-Latour di mescolarsi e dialogare con i colori di Pierre & Gilles, Keith Tyson, Stephan Gladieu, Laurent Pernot. Al centro, al posto di un’ornamentale fontana con i suoi vivaci getti d’acqua, quattro grandi vasi in porcellana di Barthélémy Toguo dal titolo Vaincre le Virus! (Vincere il virus!) attirano l’attenzione dello spettatore. Realizzati nel 2016 in collaborazione con i ricercatori dell’Istituto Pasteur di Parigi, le enormi ceramiche presentano un decoro floreale che l’artista camerunense ha immaginato dopo aver osservato al microscopio la riproduzione delle cellule infettate dal virus dell’AIDS ed Ebola. La riflessione va immediatamente a quanto abbiamo vissuto e superato in quest’ultimo anno.
Blooming celebra la rinascita, la primavera, lo sbocciare della vita, ricordandoci, attraverso le opere, l’infinita vanità dell’esistenza. Un doppio invito a gioire di ciò che ci circonda.
‒ Francesca Napoli
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