Non sappiamo quale sarebbe stato il percorso artistico di Félix Gonzaléz-Torres (Cuba, 1957 – Miami, 1996), se non fosse prematuramente scomparso vittima dell’Aids. Sappiamo però che, in una decina d’anni soltanto, con le sue opere ha oltrepassato i limiti dell’estetica minimalista e di quella concettuale, creando un linguaggio emozionale e partecipativo che forse oggi, associato alla forza comunicativa delle reti sociali, avrebbe potuto rivoluzionare l’essenza stessa dell’arte.
A BARCELLONA LA PRIMA RETROSPETTIVA EUROPEA DOPO 10 ANNI
Il Macba di Barcellona dedica una monografica completa e molto ben allestita all’artista dalle radici latine, ma formatosi negli Stati Uniti, che rappresenta ancora oggi un punto di riferimento per intere generazioni di provenienza geografica e culturale diversissima. Non è un caso l’omaggio postumo del Padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 2007 così come, nell’ultima edizione di ArcoMadrid (febbraio 2020), la scelta di approfondire, al posto del Paese invitato, il tema dell’influenza di Félix González-Torres sull’arte del nostro tempo.
La mostra di Barcellona – a cura della britannica Tanya Barson, chief curator del museo – è la prima retrospettiva in Europa dopo dieci anni e giunge venticinque anni dopo la prima e unica monografica spagnola al CGAC di Santiago di Compostela, nel 1995. Quattro grandi sale del Macba presentano una quarantina di opere di González-Torres suddivise per temi, anche trasversali e in dialogo fra loro: inevitabile il legame con l’attualità e la presenza ricorrente di concetti come virus e virale, che oggi come negli Anni Novanta dominano la nostra società. Il Macba propone un viaggio appassionante alla scoperta di un artista sensibile e profondo, che non solo capì le inquietudini e i cambiamenti insiti nella sua generazione, ma seppe anticipare in maniera quasi profetica i disagi e le problematiche della posterità.
L’ESTETICA È UNA SCELTA POLITICA
Il titolo Politica della relazione si riferisce a nuova lettura dell’opera dell’artista, declinata in chiave catalana e con l’accento posto sulle questioni storiche che legano la Spagna al continente latino-americano e ai Caraibi, luoghi di nascita dell’artista. Questioni come antimilitarismo e post-colonialismo, omofobia e militarismo, memoria, autorità, libertà e identità nazionale sono senza dubbio sottese a molte delle opere esposte; ma è il dialogo fra pubblico e privato, fra presenza e assenza, fra intimità e socialità a toccare maggiormente chi, per la prima volta, si trova di fronte alla complessa semplicità dell’estetica di González-Torres. Del resto, per l’artista di origini cubane ogni scelta estetica ha un valore e un significato politico.
LE OPERE DI FÉLIX GONZÁLEZ-TORRES
L’arte di Félix González-Torres è difficile da incasellare e da sintetizzare, ma il suo messaggio è facile da cogliere, da intuire. Félix reinventa le forme e il linguaggio artistico inserendo un valore aggiunto di emozione e di poesia, anche quando i temi che tratta sono crudi e dolorosi. Le sue opere, quasi tutte Untitled (ossia senza titolo), sono ricorrenti ma spesso mutevoli, possono cioè cambiare forme e dimensioni a seconda dello spazio che le accoglie, o addirittura sparire del tutto.
È il caso delle pile di carte stampate, in diversi colori e con diversi messaggi, così come dei tappeti di caramelle (Untitled ‒ Blue Placebo, 1991) o dei mucchietti di lecca-lecca (Per un uomo in uniforme, 1991), lasciati volutamente al centro o in un angolo della sala con l’invito esplicito al pubblico di raccoglierli, fino a esaurimento scorte. L’azione artistica si genera e si modifica attraverso l’interazione con la gente: è l’effetto della creazione e ri-creazione dell’opera d’arte che si fa unica nello spazio e nel tempo. Anche in epoca di pandemia, è possibile trovare la maniera per interagire con l’opera, basta disinfettarsi le mani.
Untitled ‒ It’s just a matter of time, l’enorme scritta in caratteri gotici bianchi su fondo nero (che richiama gli orrori del Terzo Reich) ‒ opera del 1992 già comparsa sui cartelloni pubblicitari di molte città del mondo in lingue diverse ‒ a Barcellona per la prima volta viene tradotta in catalano, assumendo nuove evidenti sfumature politiche. Portrait of Andrea Rosen (1992) (l’amica gallerista che oggi gestisce la fondazione dell’artista a New York), per concessione della stessa Rosen, diventa un lunghissimo fregio di date e di eventi non cronologici che campeggia lungo tutto il corridoio del Macba, tra una sala e l’altra. Nel medesimo corridoio, a un’ampia finestra è appesa la grande delicatissima tenda di tulle azzurro trasparente di Untitled – Loverboy (1989), colore dell’amore e della bellezza, ma anche tonalità frequente negli ospedali e perciò simbolo del virus dell’Aids; lo stesso virus la cui immagine ingrandita al microscopio è riprodotta in un wall paper all’ingresso della seconda sala (Double Fear, 1989), stimolando l’inevitabile raffronto biologico con la palla stellata del Coronavirus.
IL DOPPIO, L’OMOFOBIA E L’ANTIMILITARISMO
Il tema dell’omosessualità è di facile lettura nelle frequenti coppie presenti in mostra: i doppi orologi, i doppi cerchi, i doppi specchi, ma anche la delicata fotografia dei fiori che decorano la tomba di Gertrude Stein e della sua amante, nel cimitero di Père Lachaise Félix Gonzaléz-Torres a Parigi. Eppure, il significato delle opere di González-Torres non è mai univoco ma atemporale, aperto alle interpretazioni del momento. I doppi orologi di Untitled (Perfect Lovers) del 1987-90 alludono per esempio anche alla scelta politica di Franco di sincronizzare l’ora di Madrid con quella di Roma e Berlino, simbolo di un’identica tirannia/autorità fascista. Altrettanto dicasi per i frequenti riferimenti alla politica militarista degli Stati Uniti, al machismo imperante ieri come oggi e all’idea di patriottismo associata all’autoritarismo.
Le opere esposte nella quarta e ultima sala, tra le quali la pedana di legno con luci da varietà del Go Go dancing, offrono al pubblico un ampio spazio di riflessione in chiave contemporanea.
Benché immensi, gli spazi del Macba si adattano in maniera eccellente all’esposizione anche di opere di piccolo formato, come le serie di puzzle realizzati con vecchie immagini, spesso ritagli di giornali, o la serie di fotostatiche in nero, creando il vuoto necessario per cogliere gli inequivocabili dettagli contenuti nella cassetta bianca appesa al muro (Untitled, 1990). Ma è senz’altro nella terza sala dove si condensa l’anima appassionata dell’artista cubano, il suo messaggio astratto di utopia e di speranza, tra echi di viaggio, migrazione, acqua, cielo e spiagge. Dinnanzi alla doppia gigantografia in bianco e nero di Untitled (1991) (Collección Hoffmann, Dresda), tra nuvole e un volo d’uccello, si respira tutto il senso di libertà fisica e mentale a cui aspirava Félix-González Torres.
‒ Federica Lonati
Barcellona // fino al 12 settembre 2021
Félix González-Torres. Politica della relazione
MACBA
Plaza dels Angels 1
www.macba.cat
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