Lafayette Anticipations, la fondazione per l’arte contemporanea nel cuore di Parigi
Con i suoi 2200 metri quadrati di superficie, di cui 875 dedicati agli spazi espositivi e 350 agli atelier di produzione, in pochi anni Lafayette Anticipations è divenuta una delle istituzioni più importanti e dinamiche della scena artistica parigina. Fino al 5 settembre ospita l’ambizioso progetto a quattro mani di Jean-Marie Appriou e Marguerite Humeau. Come Ulisse al tempo di Omero, il visitatore è invitato a compiere un viaggio fra sirene e scenari onirici, alla conquista di un futuro mitizzato.
Da Parigi a Londra, passando per New York, Berlino, Milano e Zurigo, le loro opere hanno già conquistato i collezionisti e le istituzioni internazionali di maggiore rilievo. Entrambi francesi, entrambi classe 1986, entrambi scultori, Jean-Marie Appriou e Marguerite Humeau si conoscono da diversi anni. L’invito di Rebecca Lamarche-Vadel, direttrice della Fondazione Lafayette Anticipations, è l’occasione per confrontarsi e lavorare insieme.
I due artisti rispondono al progetto immaginando un’odissea in 9 capitoli, costituita da piante, serre, sculture, disegni e dalla presenza di esseri dotati di percezioni extrasensoriali. Una mostra che investe tutti gli spazi espositivi della nuova Fondazione, in pochi anni divenuta un’istituzione importante della scena artistica parigina.
LA MOSTRA DI APPRIOU E HUMEAU
Partiamo dal titolo – poetico e tecnico allo stesso tempo. Surface Horizon si ispira alla terra e alle potenzialità che essa racchiude. Il suolo si compone di diversi livelli sovrapposti, chiamati gli orizzonti. Il primo, superficiale e visibile, è l’orizzonte organico su cui si depositano le piante e gli esseri morti. Il secondo, che non percepiamo perché sottostante, è quello in cui avviene il processo di trasformazione delle sostanze organiche. È da questo orizzonte invisibile, in cui sono in germe una moltitudine di vite future, che deriva il titolo della mostra.
Nel guardare a ciò che è sotterraneo, gli artisti si soffermano anche su ciò che è sottocutaneo, come quel magma di emozioni che spesso non riusciamo a definire. Attraverso una trentina di opere recenti, create appositamente per l’esposizione, Surface Horizon resuscita il passato senza mai perdere di vista la questione della contemporanea e ossessiva epoca dell’informazione e dell’iper-produttività, dove bellezza, ricchezza, stress, inquietudine, realtà e finzione si cortocircuitano quotidianamente. In questo senso la mostra è un’allegoria del mondo in cui viviamo, ma è anche un invito al viaggio, al sogno, alla rinascita e alla scoperta di immaginari nuovi, in cui passato, presente e futuro si annullano per lasciare spazio alla creatività e all’immaginazione la più feconda.
“Da secoli viviamo in una società che mette l’uomo al centro dell’universo, dimenticandoci delle nature e delle forze invisibili che la caratterizzano. ‘Surface Horizon’ parla di paesaggi marginali, espansione, abbandono, conquista, oracoli e miraggi. Eravamo in piena crisi sanitaria quando ho proposto a Marguerite e a Jean-Marie di creare un progetto che mostrasse lo stato di fragilità nel quale l’umanità intera è sprofondata per più di un anno. Contrariamente alla tradizione di una storia dell’arte che predilige il concetto di permanenza, l’attenzione della mostra va sui concetti di metamorfosi e mutazione della materia”, sottolinea Rebecca Lamarche-Vadel. Come nel romanzo di Xavier de Maistre Viaggio intorno alla mia camera, in cui l’autore, non potendo più confrontarsi con il mondo esterno, supera l’esperienza della prigionia riscoprendo ciò che lo circonda, così l’esposizione vuole essere un viaggio alla riscoperta dell’estrema vulnerabilità dell’essere.
DALL’ARTE ALLA NATURA
L’installazione di Marguerite Humeau intitolata Lévitation invade l’agora centrale della Fondazione come un’onda vegetale debordante. Le centinaia di orchidee e altre piante decorative che accolgono lo spettatore evocano le hall dei grandi hotel di lusso, in cui la natura serve da artificio. La profusione della sovrapproduzione nasconde qualcosa di terrificante, che si trasforma in un malessere fisico. Negli ultimi anni, l’artista si è fatta conoscere per le sue sculture di grande formato in resina, bronzo e altri materiali duraturi realizzate attraverso dispositivi tecnologici spesso complessi. In questa mostra scopriamo un nuovo aspetto del suo lavoro, più intimo, legato alla scrittura, ai disegni e, per la prima volta, all’utilizzo di materiali deperibili, quali cere, arbusti e piante dalla storia ancestrale.
“All’origine delle mie opere c’è sempre stato un lungo lavoro di ricerca e di scrittura, che fino a oggi non avevo mai mostrato. Lo scenario della mostra ‘Surface Horizon’ è nato dalle ricerche sulla storia del nostro rapporto con gli arbusti che abitano la terra sotto i nostri piedi. Ero a Londra durante il primo confinamento, il mondo sembrava spegnersi e il futuro appariva incerto. Ho immaginato uno scenario catastrofico e ho chiesto a una raccoglitrice di erbe se poteva trasmettermi le sue conoscenze. Per una settimana mi sono nutrita solo di piante raccolte nel quartiere in cui abito. Parallelamente ho iniziato a studiarle, a indagarne le proprietà terapeutiche e nutrizionali, gli effetti benefici, le mutazioni nel tempo e le loro capacità di adattamento. Il dialogo tessuto con botanici, paesaggisti e giardinieri mi ha portato alla scoperta di un mondo fatto di interazioni visibili e invisibili, di cui l’uomo moderno ha dimenticato l’esistenza”, racconta Marguerite Humeau.
LE OPERE DI JEAN-MARIE APPRIOU
Davanti a questa piscina opulenta di fiori rigogliosi che occupano la “hall” della Fondazione, si trovano due figure in alluminio scolpite da Jean-Marie Appriou. Sembrano affiorare da un mondo acquatico. L’una ha lo sguardo inquieto e guarda un orizzonte lontano, l’altra indossa la maschera delle ama, figure mitiche esistenti da duemila anni nella tradizione giapponese.
Il titolo The Fire on the Sea rivela l’origine della loro inquietudine. Grazie alla presenza di queste pescatrici subacquee, che passano la maggior parte della loro vita in apnea, alla ricerca di perle, alghe e crostacei, Jean-Marie Appriou sembra voler personificare il respiro degli abissi. Se torniamo per un attimo al mito di Ulisse, le due figure ci riportano al ciclope Polifemo e al canto delle sirene. Dopo aver affrontato la cecità dell’uomo primitivo, di mole colossale e d’intelletto semplice e rozzo, Ulisse deve misurarsi con una prova molto diversa da tutte le altre, il confronto con se stesso. Non è dalle sirene che dovrà difendersi, ma dai suoi stessi desideri, dalle sue passioni più forti e dalle pulsioni più profonde, che si riveleranno mortifere.
Dalle sculture in alluminio e vetro del piano terra a quelle in argilla dei piani superiori, sino al grande bassorilievo che riveste il muro esterno della terrazza-giardino, le immagini simboliche della cavalletta, dell’isola, dell’occhio singolo, dell’elemento acquatico, della barca e delle ama fanno da filo conduttore nelle opere di Jean-Marie Appriou. I paesaggi evocativi che i due artisti creano per quest’esposizione del tutto inedita funzionano da allegorie della vita, la morte, l’ordine cosmico, la coscienza, l’irrazionalità e il caos.
La mostra si chiude con una serie di disegni, schizzi e pastelli che ci permettono di scoprire “tutti quei mondi” – come li definisce Marguerite Humeau – che gli artisti hanno immaginato durante questi ultimi mesi, ma che non hanno ancora finito di esplorare. Attraverso una forma di scienza-finzione, oggi più che mai necessaria all’umanità, Jean-Marie Appriou e Marguerite Humeau ci proiettano in presenti alternativi, offrendoci molteplici orizzonti contenenti l’idea dell’unica rinascita possibile, quella legata alla forza creatrice della natura e dell’immaginazione.
INTERVISTA AL PRESIDENTE GUILLAUME HOUZÉ
Guillaume Houzé, l’energico presidente della Fondazione d’impresa Galeries Lafayette e appassionato collezionista d’arte, racconta l’avventura iniziata otto anni fa nel cuore del Marais, la Chelsea parigina delle gallerie d’arte contemporanea a qualche passo dal Centre Pompidou.
Sono già passati otto anni da quando hai lanciato, sotto la direzione di François Quintin, il progetto Lafayette Anticipations – Fondation d’entreprise Galeries Lafayette. Come nasce l’avventura di questo nuovo spazio?
Il tutto è avvenuto in due tempi. La Fondazione è ufficialmente inaugurata nel 2018, ma esiste in realtà dal 2013 attraverso un programma di prefigurazione da cui ha poi preso il nome la Fondazione stessa. Con François, che ne è stato il primo direttore, volevamo creare qualcosa di nuovo, che anticipasse i tempi a venire. Da subito, avute le chiavi di questo splendido palazzo del XIX secolo, abbiamo invitato artisti e ricercatori al fine di confrontarci e dialogare sulla definizione di quella che poteva essere una fondazione d’arte nel XXI secolo, a Parigi, in un contesto già saturo. I progetti realizzati durante questa prima fase di concettualizzazione, durata diversi anni, ci hanno aiutato a elaborare il programma della Fondazione e a immaginare come poter accompagnare al meglio gli artisti nella produzione delle opere.
La questione di come riuscire a creare una “maison des artistes” è stata centrale sin dall’inizio, ed è quello che ci caratterizza oggi.
Un progetto concepito come un’officina della creatività dove produrre idee e opere.
Esattamente. Parigi è piena d’istituzioni e di collezioni importanti. Il progetto della Fondazione si basa sull’assistenza alla produzione e sul programma di residenze, in questo senso è effettivamente un luogo legato al lavoro. Nei sotterranei gli artisti hanno a disposizione un vero e proprio team di produzione, con macchinari per la lavorazione del legno e dei metalli, la realizzazione di stampe 3D, incisioni laser, e così via, mentre al terzo piano vi è un vero e proprio laboratorio editoriale. In questo momento presentiamo la mostra di Jean-Marie Appriou e Marguerite Humeau. Marguerite era nel suo atelier di Londra durante i mesi di confinamento. Jean-Marie invece vive a Parigi. Tutte le opere in argilla prodotte per questa mostra sono nate dalla sua presenza alla Fondazione, dove ha in pratica trasferito il suo atelier per quasi due mesi. È arrivato con 15 tonnellate di argilla e si è messo al lavoro. Voleva che le opere create per l’esposizione fossero legate a questo spazio.
Che cosa significa offrire agli artisti queste possibilità?
Poter offrire agli artisti questo tipo di esperienza, e mettere a loro disposizione un team di persone con cui lavorare per rendere i progetti possibili, è il vero obiettivo della Fondazione. Ogni mostra è una pagina bianca, un momento di grande libertà. Rem Koolhaas, a cui abbiamo affidato la ristrutturazione dell’edificio, ha colto perfettamente l’essenza della Fondazione disegnando un’architettura in continua evoluzione. Gli 875 metri quadrati di spazi d’esposizione possono assumere 49 configurazioni possibili, ciò significa dei volumi quasi interamente modulabili.
LE ATTIVITÀ DI LAFAYETTE ANTICIPATIONS
Lafayette Anticipations offre gratuitamente al pubblico un ambizioso programma di mostre d’arte contemporanea, al quale hanno già preso parte numerosi artisti internazionali, da Simon Fujiwara a Wu Tsang, Hella Jongerius, Rachel Rose, Katinka Bock, Lutz Bacher e molti altri. Alle tre grandi esposizioni annue si aggiunge una ricca programmazione in between fra talk, residenze, proiezioni, progetti con le scuole, festival multidisciplinari, come il festival di danza Échelle Humaine. Il tutto animato da grande energia.
La Fondazione non è soltanto un luogo di produzione, ma è anche un luogo di vita e d’incontro con il pubblico, ragione per cui l’ingresso alle mostre è gratuito. Che tu venga da sola o con la tua famiglia, per dieci minuti, un’ora o un giorno, o che tu voglia ritornare più volte a vedere la stessa mostra, puoi farlo liberamente. In ogni sala, dei giovani mediatori sono a disposizione dello spettatore per accompagnarlo nella visita. La Fondazione vuole essere un luogo dove sognare, dibattere, meravigliarsi. Durante il periodo di residenze gli artisti sono invitati a organizzare laboratori e attività destinati a chiunque voglia avvicinarsi all’arte. La creazione artistica è un’avventura appassionante da vivere. Cerco di coniugarla al meglio con le attività che svolgo quotidianamente per il Gruppo Gallerie Lafayette, che è il principale mecenate. È grazie al Gruppo e al Fondo di dotazione della mia famiglia (la famiglia Moulin) che questo spazio esiste. Poter investire una parte del mio tempo nell’arte è una fortuna incredibile, che va condivisa, altrimenti non ha alcun senso.
Parliamo del Fondo di dotazione Moulin e della collezione d’arte contemporanea che lo costituisce. A oggi conta 350 opere di artisti internazionali che raccontano il mondo in cui viviamo. Potresti essere tu il nuovo Lorenzo de’ Medici?
Collezionare non è il lavoro di una sola vita, ma di più vite insieme. Nel nostro caso la passione per gli artisti si tramanda da cinque generazioni. Quando Théophile Bader fondò le Galeries Lafayette alla fine del XIX secolo, arte, architettura, moda e design erano al centro del suo modello e della sua visione. Mia nonna, Ginette Moulin, e io, abbiamo iniziato a collezionare seriamente nel 2005. Nel 2012 abbiamo deciso di estendere le nostre azioni di sostegno alla creazione attraverso un progetto di più ampio respiro, e nel 2013 abbiamo creato il Fondo di dotazione Famiglia Moulin, che è all’origine della Fondazione. Le due entità sono indispensabili, si completano in una politica di sostegno attiva. La Fondazione è impegnata nella missione di produrre opere e idee, da condividere con il più vasto pubblico, mentre il Fondo permette di acquistare le opere e alimentare la collezione della Fondazione, supportando finanziariamente gli artisti e le gallerie.
E per completare il tutto nel 2020 avete lanciato il progetto A l’oeuvre!, nel senso letterale del termine, un vero e proprio invito a mettersi all’opera.
Come sottolineavi, la Fondazione vuole essere un’officina della creatività. Abbiamo deciso di mettere a disposizione di artisti e creatori l’insieme delle nostre risorse. I progetti selezionati vanno dal campo della moda al design, la scenografia, la scultura, l’editoria, il video e la performance. Quello che proponiamo ai sei creatori che selezioniamo ogni anno è l’accesso libero all’insieme dei macchinari di cui disponiamo per la durata di due mesi, e un finanziamento di 2000 euro per sviluppare il progetto. È tutto quello che possiamo offrire loro per il momento.
Dopo Jean-Marie Appriou e Marguerite Humeau, quale sarà la prossima mostra che scopriremo alla Fondazione Lafayette Anticipations?
A ottobre sarà la volta di Martin Margiela, a cui consacriamo un’esposizione monografica. Sarà lui a impossessarsi della Fondazione e a trasformarne nuovamente gli spazi. Martin è un rivoluzionario, un folle, un irriverente creatore che ha saputo scardinare i cliché della moda e rinnovare continuamente lo sguardo. Ha sfilato nei posti meno convenzionali: stazioni di metrò, parcheggi, magazzini e ovunque ci fossero declinazioni urbane. Dagli Anni Ottanta, non ha mai smesso di ampliare le possibilità del mondo della moda. La mostra rivelerà la sua ossessione per l’arte, coltivata fin dall’adolescenza, attraverso opere inedite prodotte in gran parte nei laboratori della Fondazione, sui temi che lo hanno da sempre animato, quali il passare del tempo, il caso, il mistero e l’aura.
‒ Francesca Napoli
www.lafayetteanticipations.com
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