Ogni singolo manufatto di Sophie Taeuber-Arp (Davos, 1889 – Zurigo, 1943) esposto al MoMA risulta immediatamente elegante – questo vocabolo non è usato a caso. Che si tratti di studi tessili (arazzi, tovaglie, federe), oggetti d’arte decorativa (borse e collane di perline), marionette policrome o piccole teste. Che siano opere legate a progetti di interior design (legate agli Anni Venti) o dipinti e rilievi in legno (degli Anni Trenta). Persino di disegni apparentemente casuali tracciati su materiali poveri durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre l’artista viveva in esilio. Tutto risulta immediatamente attraente.
Parte dal 1914 l’excursus temporale dell’esposizione. Da quel momento la “decoratrice” Sophie Taeuber-Arp dimostra come sia possibile fare arte con la “A” maiuscola ricorrendo indifferentemente a lana, carta, ceramica, vetro, argilla, legno o colori a olio. L’intento dei curatori è proprio quello di rivelare come presto Taeuber-Arp si sia resa conto che le forme astratte impiegate per i suoi progetti tessili (più facilmente vendibili e di conseguenza utili per dedicarsi con sollievo a progetti maggiori) potevano divenire gli elementi di base di un unico sistema creativo: i murales del soffitto disegnato per un centro culturale di Strasburgo appaiono, per la loro struttura a griglia, identici ai tessuti geometrici realizzati anni prima in Svizzera, e a loro volta riconducono ai pattern di molti suoi dipinti successivi.
Anche se oggi la sua poliedricità non appare fuori dal comune per un artista, è nella sua coerenza che va trovato l’elemento straordinario. All’inizio del XX secolo gran parte delle sue pratiche venivano considerate “minori”. Taeuber-Arp, in quanto insegnante di arti applicate, ballerina, interior designer e architetta, editrice di riviste e illustratrice di libri, non poteva pretendere di accedere al rango di “artista”. Delle sue esibizioni di danza dal vivo infatti non rimane traccia; scarso il numero di lavori tessili reperiti, gli interni architettonici e le sue pitture murali sono stati oggetto di smantellamento o ridipintura.
La devozione per l’artigianato (mai abbandonato, anche se a partire dal 1930 si concentra sulla pittura a olio) non deve far pensare che non conoscesse i grandi stili artistici dell’epoca, di cui era al contrario un’esperta.
SOPHIE TAEUBER-ARP E DADA
A tutto questo si aggiunga la discriminazione di genere. Sophie Taeuber-Arp nasce in Svizzera nel 1889. A 33 anni sposa l’artista e poeta alsaziano Hans Arp. Secondo l’usanza svizzera, in seguito al matrimonio da quel momento diviene “Arp-Taeuber”, che inverte poi in “Taeuber-Arp” come nome professionale. Partecipa insieme al marito ‒ unica esponente femminile – al movimento zurighese Dada che aveva come centro un night club della città, il Cabaret Voltaire, luogo di ritrovo di personaggi come Tristan Tzara in rivolta contro tutto ciò che poteva essere associato all’oscenità della Prima Guerra Mondiale. Qui dà il suo apporto ‒ riconosciuto solo a posteriori ‒ all’emergere dell’astrattismo, servendosi di un pennello, una pialla da falegname o un ago: senza alcuna differenza. Per mantenere se stessa e il marito, insegna design tessile alla Scuola di arti applicate della città sino al 1929. All’inizio degli Anni Trenta si occupa di architettura e interior design: è con Arp e l’artista olandese Theo van Doesburg nell’ambiziosa decorazione del complesso di intrattenimento Aubette a Strasburgo, in Francia. Nel 1940, i due coniugi fuggono dalla loro casa, fuori Parigi, per raggiungere prima la zona non occupata della Francia meridionale e poi di nuovo la neutrale Svizzera nel 1943. Una notte, in casa del suo amico Max Bill, Sophie accende la stufa nella camera degli ospiti, senza accorgersi che la canna fumaria è chiusa: non si sveglierà più.
LE MARIONETTE DI SOPHIE TAEUBER-ARP
Tra i suoi manufatti in mostra a New York c’è un gruppo di marionette in legno con cardini in metallo dai colori vivaci realizzate per la commedia King Stag, messa in scena a Zurigo nel 1918. Si trattava di una satira della psicoanalisi, dove appaiono cortigiani e guardie dalle lunghe gambe, un robot a cinque braccia, pappagalli, cervi e il re dell’inconscio soprannominato Freudanalyticus. Ritenute “troppo moderne e troppo audaci” dalla produzione, i dadaisti le considerarono però ottime sculture. In Europa catturarono l’attenzione delle riviste d’avanguardia; e dall’altra parte dell’Atlantico Vanity Fair, nel 1921, si accorse dell’interesse suscitato da questi pupazzi “rivoluzionari”. Spesso Taueber-Arp deviava dalle due dimensioni, scolpendo teste di legno che poi dipingeva con motivi astratti, come se meditasse su un regno superiore della psiche. Taeuber-Arp padroneggiava tali sottigliezze tecniche al punto qualunque cosa facesse acquisiva un fascino misterioso. A tutti, in qualsiasi performance o circolo intellettuale si inserisse, “piaceva averla attorno”.
IL MOMA E LA CANCEL-CULTURE
C’è un’ultima considerazione da fare. Importante non tanto per capire chi era questa artista, ma piuttosto per rendersi conto di quel che sta accadendo negli USA. La mostra al MoMA è stata dottamente recensita sul New York Times da Jason Farago, che ha denunciato alcuni “imperdonabili” (a suo parere) “occultamenti”. Non quelli di genere: le difficoltà a essere accettata in quanto donna e moglie come artista autonoma qui sono molto ben sottolineate. L’“occultamento” sarebbe avvenuto nei confronti dell’impulso primordiale presente in molta della produzione di Taeuber-Arp. Impulso che affonderebbe la radici nel pregiudizio antropologico ed etnografico del colonialismo bianco, in particolare europeo, presente nel periodo tra le due guerre: nei confronti dei “nativi” africani o sudamericani senza distinzione. Ora: il populismo trumpiano con ogni evidenza appare stupido e pericoloso, ma dall’altra parte la supponenza di chi si ritiene un’élite a guardia dei diritti delle minoranze sta raggiungendo livelli insopportabili.
‒ Aldo Premoli
New York // fino al 12 marzo 2022
Sophie Taeuber-Arp: Living Abstraction
MOMA
11 West 53 Street, Manhattan
www.moma.org
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