La Capitale della cultura 2022 è in Lussemburgo ed è una piccola Europa
I programmi della cittadina lussemburghese Esch-sur-Alzette, capofila di altre diciotto municipalità nella valle al centro dell’Europa, vanno a creare un punto di riferimento culturale e territoriale per gli anni a venire. Mentre il programma di quest'anno, in collaborazione con le altre Capitali della cultura, la serba Novi Sad e la lituana Kaunas, prendono corpo. Ecco il nostro reportage dal Lussemburgo che parla sette lingue
C’è una valle, nel cuore dell’Europa, che incarna il sogno dei fondatori dell’Unione. Le basse colline circondano il fiume Alzette che, secoli dopo averle scolpite, dà ancora loro il nome; si chiudono intorno a un pugno di paesi che ignorano le frontiere, parlano tante lingue diverse e, pur mantenendo un briciolo di orgoglio nazionale, non possono che riconoscere nel proprio numero e nella reciproca alleanza una forza nota solo alle grandi città.
Le cittadine che popolano la valle dell’Alzette guardano a un centro, sopra tutti, per decenni riferimento della produzione industriale e oggi sull’orlo di una rivoluzione identitaria: Esch-sur-Alzette, periferia meridionale del Granducato di Lussemburgo e secondo centro per dimensioni nella piccola nazione europea.
INDUSTRIA E CULTURA A BELVAL
Il centro storico di Esch, piccolo ma curatissimo, è sormontato da due grandi torri, nerissime e drammatiche: eccolo il segno di quella storia industriale che ha permesso il rapido sviluppo di una valle altrimenti agricola e pastorale, diventato oggi la traccia di un passato fatto di carbone e metallo, di un sacrificio umano, di un avanzamento tecnologico. Le torri si stagliano in pieno Sturm und Drang – non deve sorprendere che la città ospiti la Steampunk Convention – sull’area di Belval, l’antico centro industriale della città. Qui, dopo decenni di quiete, il ritmo di costruzione e innovazione è tornato frenetico. Non c’è tempo da perdere: non capita tutti i giorni di essere scelta come Capitale europea della cultura.
Data la complessità territoriale dell’area e la potenzialità comunitaria dei paesi della valle, la piccola Esch non è da sola a tenere questo titolo, ma fa da portabandiera per altre diciotto municipalità a cavallo tra il Lussemburgo del sud e la regione del Grand Est, in Francia, includendo circa 200mila abitanti su una superficie di 260 chilometri quadrati. Poco più dell’area di Genova. Dei circa 160 progetti in cantiere per Esch2022, questo il nome del programma, quasi la metà ha una prospettiva internazionale, circa il 20% è organizzato in collaborazione con le altre due Capitali Europee della Cultura – Kaunas, in Lituania, e Novi Sad, in Serbia –, più o meno la stessa percentuale delle iniziative da parte francese.
“Il progetto è internazionale e multiculturale, con la Francia abbiamo un sentiero e un destino comune”, spiega Nancy Braun, direttrice di Esch2022, che aggiunge come siano anche “in partnership con Lituania e Serbia”. Tutti gli attori coinvolti puntano a un unico obiettivo: creare cultura là dove non ce n’è.
LA FINE DEL PENDOLARISMO?
È di una brutale onestà lo statement che ha portato all’ottenimento del titolo dopo una lunga selezione: Esch ha sempre avuto una vocazione mineraria – ne sanno qualcosa gli italiani, emigrati in massa insieme ai portoghesi per estrarre il carbone dalle montagne della red soil region – e industriale, oggi ereditata da uno stabilimento dell’Arcelor Mittal. Confinata nella sua unica valenza e nella posizione periferica, la città non ha mai sviluppato un’identità culturale indipendente e non è mai stata oggetto delle attenzioni della corona prima degli ultimi anni. Siamo onesti: voi avreste investito per promuovere un’area che di notte perde, ancora oggi, l’equivalente di un terzo dei suoi abitanti? 200mila transfrontalieri entrano ogni giorno nel Paese di circa 600mila abitanti – anche per questo i trasporti sono completamente gratuiti – e lo abbandonano la sera, motivo per cui i locali e le attività commerciali sono relativamente pochi e i treni in partenza molti.
Le cose, però, stanno cambiando. Se in epoca industriale al sud del Paese era richiesto solo di fornire acciaio al nord per renderlo competitivo, oggi la valle è finalmente pronta ad accogliere terziario e turismo, e soprattutto a trattenere i giovani pendolari della zona, vantando gli asset lussemburghesi derivati dallo status di paradiso fiscale: stipendi alti, tasso di occupazione sopra la media europea – qui sono molte le grandi aziende digital – e una buona qualità della vita.
UN UNICUM EUROPEO
A Esch, una città che è liminale in ogni sua manifestazione, si parlano sette lingue: il francese, il lussemburghese – un ex-dialetto dalla radice germanica e lessico francese che sta assurgendo al ruolo di lingua dopo secoli di soppressione (con grande orgoglio degli abitanti del Paese, oggi viene insegnato a scuola) –, l’inglese, il tedesco, il portoghese, lo spagnolo e l’italiano, dato che gli abitanti di origine italiana sono circa il 6%.
Il 49% degli abitanti del Paese è di provenienza esterna, la capitale è la città con più nazionalità in Europa: è in questo ricchissimo contesto che Esch2022 si propone di “ospitare la cultura in ogni sua manifestazione”, spiega la ministra della cultura del Granducato Sam Tanson. L’obiettivo è quello di far fruttare in termini di creazione e innovazione la ricchezza trans-settoriale e trans-frontaliera di cui ha sempre goduto e da cui dipende ancora oggi per la propria sopravvivenza, andando a convertire il know how locale e l’anima “Erasmus” dell’area in forza motrice attrattiva per la popolazione locale e la sua auspicabile prole oltre che per il turismo, sebbene “questo non sia un progetto turistico, anche se ci saranno ottime ripercussioni, ma culturale”, dicono gli organizzatori. È per coloro che devono scegliere dove mettere su famiglia, dove investire nel mercato immobiliare e pagare le tasse, che nella città fioccano le esposizioni museali ad hoc e i progetti tarati su un modello familiare, come il nascituro Teatro per Bambini di Esch, al pari delle grandi città europee.
Questo è lo scenario a lungo termine previsto per il progetto: le collaborazioni territoriali tra le diverse amministrazioni, centri culturali e produttivi vogliono portare a un piano di sviluppo ultradecennale, sempre nel segno della sostenibilità e dell’apertura. “È questo progetto di rifondazione ad aver garantito la vittoria”, dicono gli organizzatori di Esch2022, che ne hanno presentato il programma nella nuovissima struttura per concerti Rockhall, un palazzo con palco, bar e sala conferenze sulla neonata Avenue du Rock and Roll (anche i nomi delle strade, qui, vogliono attirare ragazze e ragazzi). La capacità di interagire positivamente a livello transnazionale ha inciso fortemente sulla scelta dei giudici: è in fondo questo ciò che si auspica per ottenere una sempre maggiore sinergia continentale, un ambiente miscellaneo al punto da spingere i suoi abitanti a legarsi a una terra, piuttosto che a una bandiera. Certo, il vessillo a Esch è quello dei granduchi lussemburghesi, molto amati dalla popolazione perché “persone semplici”, dicono i cittadini, e in particolare della granduchessa Maria Teresa, fortemente coinvolta nella candidatura avanzata nel 2017.
UNA VALLE NON PIÙ NASCOSTA
La città, ne sono consapevoli gli organizzatori, deve il suo maggiore fascino alla brutale archeologia industriale: vetro, acciaio e mattoni sono la trama stessa della vita, a Belval. Qui dal 1909 la foresta ha iniziato a scomparire a favore della nuova fabbrica. Dopotutto, questo era il motivo stesso dell’esistenza di Esch. Oggi non restano che due altoforni – anche se solo il cosiddetto “Altoforno A” è visitabile, dato che il B è privo di qualunque struttura accessoria per poterne osservare l’aspetto originale – dai cui 40 metri si riesce a vedere gran parte della città, la nuova sede dell’unico ateneo del Paese, la banca del Canada. Qui si può ascoltare la storia della città dalle guide, che portano i visitatori davanti alla bocca del forno – qui saranno suggestivamente ambientati alcuni spettacoli di danza – e alla terrazza a 80 metri da terra: l’acciaio è stato il pilastro dell’economia del Lussemburgo fino agli Anni Sessanta compresi, che è anche lo stesso periodo in cui le sei torri originali sono state sostituite da tre più performanti. Il terzo altoforno – il C – non è che un reperto di archeologia industriale, ne restano le fondamenta brutaliste che ospiteranno concerti e performance (inclusa quella di Cecilia Bengolea).
La capacità trasformativa dello stabilimento era tale da consumare completamente le risorse locali e portare a una massiccia importazione dal Sud America, soprattutto il Brasile. Nella centrale il ferro veniva trasformato, il metallo fuso portato fuori dagli altoforni per essere processato in una più ampia centrale: tutto era gestito dalla Arbed, la compagnia lussemburghese nata nel 1911 e che sarebbe diventata, molti scorpori e fusioni più tardi, l’attuale Arcelor Mittal. Oggi la parte rigenerata dell’acciaieria è un polo di formazione, conoscenza, ricerca e tecnologia con interessanti edifici contemporanei gestiti da librerie e università, in questi giorni di partenza di Esch22 a Belval si trovano due tra le mostre principali dell’anno: quella su identità, diversità e tecnologia organizzata assieme allo ZKM di Karlsruhe e quella sul passato e sulla memoria mineraria e industriale di queste terre organizzata dal gruppo italiano Tokonomae dallo studio d’architettura milanese 2F. Ne parleremo a breve.
Questo nome non può che far sorgere una domanda, soprattutto per noi italiani: come fa oggi la città ad avere un rapporto così pacifico con le sue vecchie strutture? “La decontaminazione è stata possibile in molte aree, non tutte”, dice a mezza voce la guida, incrinando l’amore di Belval e di Esch per l’imponente struttura, origine della ricchezza dell’area. “Alcuni sono ancora inaccessibili o inabitabili”. Oggi le fornaci sono elettriche, nello stabilimento alla fine dell’avenue du Rock and Roll, e gli operai sono un centinaio: niente di quello che viene processato è più estratto e tutto è recuperato dagli “scraps”, i rifiuti metallici. Anche per questo il vecchio centro minerario della valle di Fond De Gras, una verdissima riserva boschiva, è diventato un’attrazione turistica industriale. Il Minett Park, uno dei percorsi didattico-turistici di una regione mineraria che vanta più di venti siti estrattivi, è oggi un gioiello museale in via di sempre maggiore recupero.
Qui i vecchi treni minerari mostrano gli avanzamenti tecnologici che hanno posto il Paese “sulla mappa”, ma anche la vita dei minatori del tempo: questi erano pagati a peso della roccia ferrosa estratta, con il risultato che tantissimo lavoro restava non pagato – come lo spostamento di persone e materiali, il posizionamento in sicurezza della roccia ecc. –, cosa che è cambiata solo negli Anni Trenta. Un problema che ci riguarda da vicino: quelli a essere sfruttati mentre cercavano fortuna erano proprio gli italiani (insieme a portoghesi, tedeschi e polacchi). Sono conservati nel Minett Park – a margine del quale sono sorti, in un piccolo spiazzo tra le conifere, un polo informazioni e un ristorante – due treni originali turistici, una locomotiva che diventerà un mini-albergo di lusso, una stazione ferroviaria per il trasporto del ferro (in condizioni perfette, con tanto di orari dei treni affissi al muro) e una centrale elettrica completamente restaurata, che ospiterà mostre e piccoli concerti.
VECCHI EDIFICI E NUOVE FUNZIONI
Ma torniamo alla nostra fornace. Chiusa a partire dagli Anni Novanta, con un’ultima stagione produttiva nel 1997, la città ha iniziato a spopolarsi: tutti sono fuggiti per cercare lavoro, il Sud del Paese chiedeva più che mai attenzione. Il piccolo Stato si apre all’esterno, arrivano le banche, all’inizio degli Anni Zero arriva una sede universitaria. Per i 43mila abitanti di Esch, però, i centri dello sviluppo saranno sempre di più quelli culturali: la menzionata Rockhall di Belval, che ospiterà un concerto open air dei Black Eyed Peas il prossimo giugno; il Batiment 4 della vecchia acciaieria, che diventerà un luogo di incontro e sperimentazione collettiva come da progetto di recupero dell’Opera Nazionale della granduchessa; la Bridderhouse, un tempo il primo ospedale del territorio, ora destinata a diventare residenza d’artista e centro culturale; la Konschthal, il centro esposizioni che fungerà da epicentro della cultura della regione e proprio il giorno dell’opening ha aperto una ampia mostra personale di Filip Markiewicz; il Teatro, con la nuova direttrice Carol Laurent; il Teatro per soli bambini e ragazzi creato dal vecchio cinema Ariston; infine, il Museo della Resistenza della Seconda Guerra Mondiale, creato negli Anni Sessanta e in fase di grande ampliamento come museo dei diritti umani e dell’immigrazione. Gli interventi sono tanti e destinati a durare e arricchire permanentemente la vita della città.
Tanti anche gli investimenti: per il futuro di Esch sono stati messi in campo 130 milioni di euro, 35 solo per acquisire e restaurare i palazzi – una cifra considerevole, vista l’assenza di sponsor ufficiali: si tratta di soldi raccolti dall’amministrazione – ma gli organizzatori non sono preoccupati: “Il ritorno degli investimenti è stato calcolato come quattro volte maggiore dei soldi spesi, perché teniamo conto degli effetti a lungo termine”, dice il presidente di Esch2022 Georges Mischo. Gli investimenti, spiegano tutti i membri del team, hanno dovuto superare una serie di requisiti. Il primo è quello della sostenibilità: per questo tutti i nuovi edifici, modulari e prefabbricati, avranno nuova vita una volta concluso l’anno di gloria – una lezione che noi abbiamo imparato con l’Expo del 2015 – accompagnandosi a una serie di buone pratiche per il riciclo di strutture e competenze, senza dimenticare che tutta la mobilità aggiuntiva prevista per la celebrazione sarà a energia pulita, promuovendo un turismo lento ed evitando l’effetto boomerang nella piccola regione.
REMIX: UN NOME UN PROGRAMMA
Tanto piccoli i centri, tanto grande il progetto: in cantiere ci sono 2mila eventi. Con l’aiuto di FRESCH, associazione nata per implementare una strategia culturale nella città, Esch ha sviluppato una fitta pianificazione che attraversa tutte le tematiche di maggiore importanza per la promozione dell’area. “Il programma”, racconta Françoise Poos, direttrice del palinsesto culturale di Esch2022, “è stato sviluppato negli ultimi due anni per passare da una società industriale a una società della cultura e della conoscenza. Vogliamo discutere le nozioni di identità nell’era digitale, la diversità come valore culturale chiave europeo e la comprensione reciproca”.
Sotto il titolo Remix Culture – lanciato il 26 febbraio tra il centro storico e il sito di Belval proprio come si lancia un razzo spaziale – sono stati sviluppati quattro sottotemi, che vanno a individuarne gli obiettivi chiave: Remix Europe pone al centro i valori fondamentali dell’Europa proponendone una visione rinnovata e moderna, superando il discusso concetto di confine politico e distruggendone gli stereotipi. “Vogliamo essere una nuova Bauhaus”, racconta Poos. Sotto il titolo di Remix Nature trovano spazio di ampliamento e dialogo i valori della sostenibilità ambientale, della compenetrazione positiva tra naturale e digitale e tra naturale e produttivo, in profonda connessione con il paesaggio: i trail per camminare e andare in bici, scoprendo il paesaggio e la (burrosissima) cucina locale sono al centro di una riscoperta gentile del territorio. Remix Yourself vuole essere un incentivo a sviluppare nuove prospettive sulla vita quotidiana, consentendo ai cittadini di rafforzare il senso di un’identità comune nel rispetto delle esperienze individuali. Qui si rimettono in discussione con panel, spettacoli teatrali e mostre fotografiche le fondamenta stesse della società, dalla struttura delle città – che devono diventare pienamente accessibili alle persone disabili – alla valorizzazione del pensiero creativo fin dalla giovanissima età.
La quarta sottocategoria, Remix Art, offre l’opportunità di soffermarsi a considerare la creazione artistica e le scoperte culturali, creandone là dove ce ne sono poche: un concetto strano, per l’Italia, quello di trovarsi nel primo Rinascimento del Paese, ma una responsabilità elettrizzante per i lussemburghesi. Questa nascita, più che rinascita culturale, è altresì densa di responsabilità: l’accessibilità fisica e sociale dell’arte è una prima preoccupazione per Esch, che deve dimostrare all’Europa intera la sua entrata in scena come interlocutore. Saranno 310 le performance, 141 i concerti, 137 le mostre, 32 i festival – dalla musica alla letteratura all’arte, fino all’antichissimo Festival del fuoco – e 360 i workshop: è questo il cuore del programma, qui si proporranno incontri che, attraverso la tecnologia, offrano visioni e soluzioni alternative per il futuro. Attraverso open call locali si troveranno le nuove voci della valle e del Lussemburgo, che verranno spinte e promosse a livello internazionale grazie agli eventi, il cui scopo sarà anche quello di portare talenti esterni all’interno del Paese.
Remix ha anche comportato il coinvolgimento di associazioni, aziende e della comunità intera: sono centinaia i volontari – i cosiddetti remixer – che parteciperanno al palinsesto, creandolo da zero e sviluppando le skill organizzative e gestionali che tanto piacciono all’Europa. “La comune preoccupazione è quella di coinvolgere le persone, dato che il programma stesso si basa sulla partecipazione attiva”, spiegano i rappresentanti di Esch2022, definendo il progetto con il motto (molto Anni Novanta) “delle persone e per le persone”. “Siamo convinti che questo sia l’unico modo per promuovere senso di appartenenza, e quindi sviluppo sostenibile. Vogliamo che gli abitanti della regione facciano parte del programma, offrendo loro un’opportunità unica per contribuire a plasmare il futuro”.
SPERANZE PER IL FUTURO
Il progetto Capitale europea della cultura Esch2022 vuole fornire accesso all’arte e alla cultura per un vasto pubblico e gettare le basi per un futuro sostenibile, ben oltre l’anno 2022. Un esempio illustre guida gli organizzatori dell’evento e le alte cariche dello Stato: la prima Capitale europea della cultura del Paese, ottenuta meno di trent’anni fa. “Il volano della vittoria della capitale nel 1995”, raccontano gli organizzatori, “è stato fortissimo: sappiamo cosa significa far valere questa occasione”: la spinta che ha posto la città di Lussemburgo sulla mappa può ripetersi, dicono speranzosi. Non si può dire lo stesso della vittoria, sempre di Luxembourg City, del 2007: un’opportunità sprecata diventata un monito più che mai attuale sull’opportunità di far tesoro delle occasioni (e dei fondi) europei.
ESCH CENTRO PER LA STREET ART
Grazie al progetto Urban Art Esch di Kufa, organizzato dal centro culturale Kulturfabrik e dalla città, Esch-sur-Alzette ha più di cinquanta opere di arte urbana su edifici e beni pubblici. Alcune sono visibili dalle arterie principali della città – un esempio è il progetto legato alle “anime” dell’Alzette, il fiume che passa, interrato, sotto il centro storico per via del grande inquinamento industriale del secolo scorso – mentre altri vanno scoperti sotto gli archi della ferrovia o sui muri delle scuole.
Questi murales spaziano dai disegni degli artisti-celebrity, come Libero Emancipated Art del popolarissimo Sumo, che celebra le origini squat del centro culturale, alle dichiarazioni sociopolitiche, come le critiche alla speculazione fiscale a discapito delle politiche locali nel cuore del Kulturfabrik; raccontano le diverse anime della città, come quello della giovane donna che legge dell’artista lorenese Mantra, segno del legame della città con la letteratura, senza dimenticare l’opera sulla stazione degli autobus Boa Mistura con il motto “Vers la terre des pourquoi” (“Verso la terra dei perché”).
La maggior parte delle opere è proprio all’interno dell’ex mattatoio Kulturfabrik e realizzata tra il 2014 e il 2018: al bar, Franco ha creato strani personaggi dei cartoni animati in bianco e nero, nella sala principale Eric Mangen ha usato spray, gessetti, colle e vernice per il suo Ipso Facto, raccogliendo i “nasconditi in bella vista“, “resta fuori dalla legge” e “cosmopoetico“, ma è del collettivo artistico Dott Porka l’opera street più interessante: lo stencil di un uomo con occhiali scuri, trench e valigetta, con le parole “Love Banks, Hate Common People“. E poi ancora uno dei primissimi murales, i triangoli colorati di Cheko’s Art, fondatore di Street Art Southern Italy, con il volto dell’attore e cantante lussemburghese Thierry van Werveke, e l’omaggio allo scrittore di fantascienza polacco Stanislav Lem del graphic designer Sepe e dell’architetto Chazme, una critica che colpisce sia il capitalismo sia i regimi totalitari.
Ma la città intera si è prestata volentieri a queste opere, affettuosamente chiamate “frescos” (“affreschi”) dal team del Kulturfabrik e dai cittadini che, anche in assenza di una effettiva tradizione culturale, vedono nella street art un personale Rinascimento. Si affrontano così anche temi sociali di primo piano, come la fenice dell’artista valenciana Julieta XLF sul centro di riabilitazione dalla tossicodipendenza FixerStuff o le quattro persone di diversa etnia mentre cucinano dell’opera di Helen Bur, Vivere insieme.
KAUNAS E NOVI SAD: LE COMPAGNE PER QUESTO 2022
Insieme a Esch 2022, sono le città di Kaunas, in Lituania, e di Novi Sad, in Serbia, ad aver vinto il titolo di quest’anno. La prima, cittadina nel cuore della repubblica baltica e luogo di nascita di Fluxus – il movimento artistico creato da George Maciunas –, si è posta come obiettivo (a dirlo sono gli stessi organizzatori, video-collegati con l’inaugurazione di Esch) quello di “svegliare la città che dorme e non attrae”. La narrazione vuole portare gli abitanti fuori dalla comfort zone, dicono: per questo Kaunas – Capitale europea della cultura 2022 prevede oltre 1.000 eventi, con più di 40 festival, 60 mostre – con nomi come William Kentridge, Marina Abramović, Yoko Ono, Robert Wilson e Mirga Gražinytė-Tyla –, 250 spettacoli di arti performative (di cui più di 50 sono anteprime) e circa 250 concerti. A dodici anni dall’ultima vittoria lituana del titolo di Capitale europea della cultura, la città e il distretto di Kaunas si preparano ad avvicinare quante più persone possibile alla cultura stessa. Il progetto vuole essere educativo, ma anche sociale: la narrazione The Mythical Beast of Kaunas si svilupperà in una grande trilogia mitica composta da Confusion, Confluence e Contract, incorporando le idee di personalità storiche della città come Maciunas ed Emmanuel Lévinas e coinvolgendo artisti locali e internazionali.
Anche la serba Novi Sad – situata a nord della capitale Belgrado, non distante dal confine con la Croazia – spera in una pedana di maggiore notorietà per la città, proponendo il rinnovamento delle strutture culturali urbane e dell’area circostante e creando occasioni di vetrina internazionale per gli artisti locali. Novi Sad vanta a sua volta il recupero di strutture ex-industriali come la stazione culturale di Svilara, ma anche di edifici storici di pregio, come la fortezza di Petrovaradin e il castello di Egység. Il programma è dedicato simbolicamente ai quattro ponti della città – Love Bridge, Freedom Bridge, Hope Bridge e Rainbow Bridge –, che permettono ai visitatori di comprendere il contesto sociale contemporaneo della città, la sua eredità e creatività contemporanea e allo stesso tempo di dare maggiore visibilità a eventi (come il famoso festival musicale estivo) e persone. I due archi narrativi lungo cui si snoda la programmazione, Kaleidoscopic Culture e Doček, celebrano il multiculturalismo della città – anche in questo caso, un fattore vincente per il titolo europeo – e la riattivazione di spazi culturali da mettere a disposizione della popolazione, con un occhio per l’eredità della celebrazione una volta conclusa.
‒ Giulia Giaume
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #64
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