Nation, Narration, Narcosis: Collecting Entanglements and Embodied Histories è una delle iniziative di punta che celebra i venticinque anni di attività dell’Hamburger Bahnhof Museum für Gegenwart di Berlino. Una mostra complessa, affrontabile solo con affilati strumenti interpretativi, pena la perdita costante del focus. Al centro dell’indagine c’è il rapporto tra arte e politica sullo sfondo dei numerosi traumi che il presente ha incassato da qualche decennio. Tanto da prefigurare la fine dell’intero pianeta prima della fine del capitalismo, oggi più verosimilmente di quanto ne vagheggiasse il compianto Mark Fisher. Sostanzialmente, l’esposizione cerca di sondare fino a che punto l’arte possa riflettere cambiamenti, conflitti e criticità e contribuire a suggerire forme alternative di comunità, partendo dal concetto di nazione, inglobando, strada facendo, temi come solidarietà e individualità, e tenendo ben salda la questione della sostenibilità ambientale.
Insomma tanta carne al fuoco, forse troppa, in un progetto di collaborazione internazionale, avviato e finanziato dal Goethe-Institut, che riunisce per la prima volta opere d’arte provenienti dalle collezioni della National Gallery of Indonesia, del MAIIAM Contemporary Art Museum di Chang Mai (Tailandia), della Nationalgalerie Staatliche Museen di Berlino e del Museo d’Arte di Singapore. Curata da Anna-Catharina Gebbers, Grace Samboh, Gridthiya Gaweewong e June Yap, la mostra si affida a circa cinquanta artisti e prende il titolo da un’opera di Ho Tzu Nyen (Singapore) che mette in discussione il concetto di Sud-Est asiatico, riduttivo delle pluralità presenti nell’area e in contrasto con un’idea di nazione aperta e costantemente rinegoziabile.
LA MOSTRA ALL’HAMBURGER BAHNHOF DI BERLINO
Da tali spunti, The Forest Curriculum apre il percorso ridefinendo il modello dello stato-nazione con Zomia, un “non state-space”, omesso dalla storiografia ufficiale circoscritta agli stati tradizionali, coloniali o legittimati da un ordine geopolitico globale. Nel caso specifico, si tratta di un territorio, sempre del Sud-Est asiatico, in cui le società agrarie e pastorali degli altopiani si oppongono al processo forzato di razionalizzazione capitalistica, con politiche di rivendicazione della propria specificità etnica. Si punta allora all’appartenenza volontaria di una comunità, secondo valori stipulati dal basso, a fronte di un’identità nazionale, tradizionalmente unitaria e dominante, divenuta sempre meno perseguibile, se non al prezzo di guerre brutali. Nella stessa sezione, traslando provocatoriamente dai perimetri nazionali ai limiti individuali, dalla collettività al singolo, il video Body Pressure, di Bruce Nauman mostra l’artista che forza strenuamente il confine dello spazio espositivo, entrando “materialmente” in relazione con la parete in un domestico e sfinente autolesionismo.
I TEMI DELLA MOSTRA A BERLINO
In merito a questioni ecumeniche su come nasce il sentimento di appartenenza a una nazione, sul ruolo che le ferite fisiche e psicologiche hanno nella memoria dell’individuo e della comunità, la mostra lavora su un doppio registro, intrecciando più trame, tra avanguardie storiche e presente. Per esempio, tra Käthe Kollwitz e Kawita Vatanajyankur, che si confrontano sulle condizioni dei lavoratori tessili, la prima con succinte opere in bianco e nero su carta, la seconda direttamente con il proprio corpo, immergendo meccanicamente la testa, all’in giù, in una ciotola di vernice rossa. Richiama lo sfruttamento del lavoro in fabbrica e ne camuffa l’evidente violenza con la leggerezza di un’energizzante tavolozza pop. Altri sguardi femminili (Amanda Heng, Arahmaiani, Marina Abramovic, Melati Suryodarmo, Natalia LL, Valie Export e Mary Wigman) si occupano delle relazioni di potere inscritte nel corpo. Mentre quelle rilevabili nel tessuto sociale restano invece di competenza dei collettivi artistici, come l’Indonesian New Art Movement, emerso all’inizio degli Anni Settanta, gli artisti attivi nell’ex DDR dal 1982, tra cui Via Lewandowsky, The Artists Village, fondato a Singapore alla fine degli Anni Ottanta, e Chiang Mai Social Installation nella Thailandia dei primi Anni Novanta.
Nelle sale successive viene declinato il rapporto tra uomo e ambiente, in modalità reale e virtuale, vagliando i paesaggi modificati dalle attività estrattive, prone ai meccanismi della produzione (Natasha Tontey, Charles Lim); o leggendo il corpo umano come espressione della storia della terra (Korakrit Arunanondchai); oppure programmando future bonifiche degli oceani (Tita Salina); o ancora connettendo comunità non umane o post umane (Ursula LeGuin). Non resta ai margini neppure la rappresentanza e la tutela di minoranze religiose, questioni ormai tristemente note e generatrici di conflitti nello stato-nazione. Se ne occupa, tra gli altri, Ampannee Satoh in un video dove una donna con il chador bianco dipinge del medesimo colore una barca. Sola, lungo la costa, nello struggente tentativo di dare visibilità anche in mancanza di interlocutori, alla sua comunità musulmana discriminata in Thailandia.
DECOLONIZZARE LA MEMORIA
Parte integrante della mostra è Circulating Narratives-Entangling Communities: Case Studies in Global Performance Art, un progetto di ricerca concentrato sulle intersezioni tra le pratiche performative del Sud-Est asiatico e quelle mainstream. L’obiettivo è concepire istituzioni culturali globali che possano collaborare congiuntamente, garantite da una decolonizzazione dei canoni occidentali per rileggere archivi e memorie. In quest’ottica, il percorso espositivo si sviluppa annettendo le opere di Joseph Beuys, presenti stabilmente nella collezione dell’Hamburger Bahnhof, congrue al concept della mostra in quanto espressione della scultura sociale, cara all’artista. Per Beuys, uno strumento con cui favorire il dialogo tra gli uomini e la progressione della civiltà, per influire sui processi decisionali, e, non da ultimo, per creare una comunità democratica e libera a scala mondiale.
‒ Marilena Di Tursi
Berlino // fino al 3 luglio 2022
Nation, Narration, Narcosis. Collecting Entanglements and Embodied Histories
HAMBURGER BAHNHOF – MUSEUM FÜR GEGENWART
Invalidenstrasse 50-51
https://www.smb.museum/museen-einrichtungen/hamburger-bahnhof/home/
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