A Vienna Edvard Munch in dialogo con gli artisti contemporanei
L'Albertina di Vienna dedica la sua mostra di primavera a Edvard Munch in dialogo con artisti del calibro di Andy Warhol, Marlene Dumas e Tracey Emin, per citarne solo alcuni. A riprova dell’influsso dell’opera del grande artista norvegese sulle generazioni successive
Ad accoglierci tra le sale dell’Albertina di Vienna è Edvard Munch (Loten, 1863 – Oslo, 1944) celebrato attraverso più di sessanta lavori, prevalentemente della sua produzione matura. È evidente come l’artista rompa radicalmente con la realtà visibile e si rivolga alle ferite invisibili dell’anima, quali la malattia e la paura, che rimangono temi ricorrenti in tutta la sua vita. Rappresenta, in opere come le celebri Madonna, Pubertà, Urlo, i paesaggi inquietanti, l’esagerazione coloristica, la semplificazione dei motivi, la frontalità iconica delle figure, che descrivono un mondo imprevedibile e minaccioso.
Una parte della mostra è dedicata anche alla produzione grafica di Munch e di uno dei suoi più grandi fan, Andy Warhol, che realizza le variazioni pop in rosa, giallo neon e arancione delle litografie della Madonna e dell’Urlo.
PETER DOIG E L’ALIENAZIONE UMANA
Per il pittore scozzese Peter Doig (Edimburgo, 1959), la materialità nei dipinti di Munch, così come l’iconologia dell’alienazione dell’uomo, sono dei punti di riferimento essenziali nel lavoro dell’artista norvegese. Una delle principali preoccupazioni della pittura di Peter Doig è quella di esprimere il sentimento dell’uomo di fronte alla natura schiacciante, così come lo era stato per Munch. La natura diventa il veicolo per esprimere il sentimento di solitudine dell’uomo. Nell’opera di Doig, questa spaventosa realizzazione trova la sua valida espressione in opere centrali come Echo Lake, che stimola domande sull’esistenza umana. Con questi paesaggi meditativi, l’artista riesce a catturare il suono del silenzio in modo pittorico. Allo stesso tempo, viene trasmessa l’impressione di una profonda malinconia, una sensazione di vuoto e isolamento in cui risuonano l’intorpidimento emotivo e l’alienazione.
L’OPPRESSIONE DELL’UOMO SECONDO MARLENE DUMAS
Per l’artista sudafricana Marlene Dumas (Cape Town, 1953), la visione pessimistica del mondo di Munch non è solo la base del destino individuale, ma un simbolo dell’oppressione dell’uomo in quanto tale. Nei suoi dipinti crea molti parallelismi con l’artista norvegese, che ha scoperto durante una visita al Munch Museet di Oslo negli Anni Ottanta. La Dumas è anche attratta dalla sperimentazione pittorica di Munch ‒ una caratteristica che è alla base della sua modernità. La rimozione continua del colore, lasciando le composizioni incompiute, giocando con il contrasto delle forme cromatiche sulla tela e le superfici lasciate vuote mettono in contatto il lavoro dei due artisti. Come la Dumas sottolinea nel catalogo che accompagna la mostra, non dobbiamo dimenticare che Munch possedeva dell’humor. Per questo le sue opere non sono deprimenti, secondo Dumas, che sottolinea come nella poetica di Munch molto sia sottinteso.
L’URLO ANGOSCIANTE DI TRACEY EMIN
Tracey Emin (Croydon, 1963) riproduce esperienze personali traumatiche e Munch è l’artista per eccellenza ad aver dato espressione alla decadenza psichica dell’uomo moderno. Il suo lavoro è caratterizzato da un confronto spietato con il suo mondo emotivo che crea un parallelo diretto con Munch. Nella mostra riecheggia l’urlo straziante dell’artista ripresa in un video. La forza della sua produzione artistica è dovuta anche alla sua capacità di affrontare la propria vulnerabilità, la fragilità dell’esistenza umana. Nel trattare temi come l’aborto, l’alcolismo e la violenza sia fisica che psicologica tratta esperienze della sua stessa vita, riflettendo l’autoanalisi già insita nell’opera di Munch. Ciò che i due artisti hanno indubbiamente in comune è la profondità psicologica delle loro opere.
Antonia Hoerschelmann, co-curatrice della mostra, racconta nel catalogo come per Munch ed Emin l’imperfezione, il non finito, facciano parte del loro ossessionante linguaggio visivo. I loro patimenti dell’anima e del corpo corrispondono a pennellate impulsive e a curvature di linee, apparentemente trasferite sulla tela nella foga del momento. Richard Shiff, docente dell’Università di Austin in Texas, ricorda nel suo saggio le parole di Munch: “Noi non moriamo, è il mondo che muore da noi” e allora l’universalità lascia il posto alla solitudine.
‒ Giorgia Losio
Vienna // fino al 19 giugno 2022
Edvard Munch. In Dialogue
ALBERTINA
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