Nel corso degli ultimi decenni la Cina e la sua arte contemporanea sono passate dall’essere fenomeni di nicchia, spesso tenuti in considerazione per fattori esotici o prettamente ideologici, all’essere componenti fondamentali di un sistema dell’arte sempre più geograficamente composito e stilisticamente fluido. Le megalopoli di Pechino e Shanghai, dapprima semplici mete turistiche apprezzate per la loro stratificazione storica, sono diventate centri culturali caratterizzati da un ecosistema artistico articolato quanto quello di New York, Londra o Parigi; per certi aspetti sono diventate ancora più determinanti per gli equilibri globali rispetto alle città canonicamente associate ai circuiti artistici. Il dinamismo e la varietà delle istituzioni, la poliedricità degli artisti, le sconfinate possibilità economiche di collezionisti sempre più integrati e rispettati nel panorama mondiale nonché la velocità di azione e ricettività che caratterizza la realtà cinese ha permesso di raggiungere obbiettivi inimmaginabili decenni fa.
Quando Shanghai è stata chiusa ufficialmente la prima settimana di aprile, dopo un lockdown preliminare di otto giorni a marzo, la maggior parte dei protagonisti del mondo dell’arte contemporanea si stava preparando al periodo più intenso dell’anno: la Biennale di Venezia, Frieze NY, la fiera Art Basel a Hong Kong e a Basilea ‒ l’appuntamento fieristico dell’arte per eccellenza ‒, ma anche le numerose fiere locali, le mostre da inaugurare in uno dei periodi di massima affluenza di pubblico e socialità. Quello che sul nascere doveva essere un mini lockdown ‒ quattro giorni di controllo di routine e assestamento concepito per contenere piccoli focolai urbani di Covid 19 ‒ si è rivelato un esercizio di pazienza, resilienza e a tratti sopravvivenza che ha messo e sta tuttora mettendo a dura prova creativi di tutte le tipologie, istituzioni grandi e piccole, cittadini dai più critici a quelli più accondiscendenti.
Shanghai conta centinaia di gallerie e più di 70 musei tra pubblici e privati: un microcosmo attorno a cui ruotano tutte le figure professionali del mondo dell’arte tra artisti, collezionisti, critici, curatori, fiere, sponsor. Dal 4 marzo ognuna di queste figure professionali si è dovuta reinventare non senza essere passata attraverso una fase di panico, paura, rabbia, impotenza, solitudine. La ripresa che è cominciata in questi giorni si presenta lenta, graduale, diversa da zona a zona, caratterizzata dai continui ed estenuanti test di massa, ma soprattutto dall’incertezza come alcuni ci raccontano.
IL CASO CAPSULE SHANGHAI
Enrico Polato è il fondatore e direttore di Capsule Shanghai, una galleria con sede in una tipica casa dell’ex Concessione Francese. Aperta nel 2016, Capsule Shanghai si è costruita una forte identità distinguendosi per il dinamismo e la credibilità. Le parole di Enrico ‒ che risiede dal 2004 in Cina e da tre anni non riesce a lasciare il Paese a causa delle restrizioni ‒riassumono il suo stato d’animo ma anche lo Zeitgeist del momento: “Il recente lockdown si inserisce in un contesto più ampio e complesso; ha impedito lo svolgimento regolare del programma della galleria e ha creato un isolamento della Cina dal resto del mondo, andando a riflettersi in maniera decisamente negativa sulla nostra industria che vive in un costante stato di incertezza. Siamo stati in lockdown totale per oltre 50 giorni, attualmente abbiamo ricevuto direttive sull’allentamento delle restrizioni, possiamo allontanarci dal luogo in cui abitiamo ‒previo test valido dalle 48 alle 72 ore ‒, ma spesso senza preavviso dobbiamo sottoporci a test a sorpresa alle ore più disparate”.
E ricorda anche le prime concitate settimane, trascorse per lo più a destreggiarsi fra necessità quotidiane e l’allenamento alla solitudine: “Durante le prime settimane è stato impossibile focalizzare l’attenzione sul lavoro perché è letteralmente scattato il panico, dovuto principalmente alla scarsa disponibilità di cibo (i supermercati, i ristoranti, le consegne sono stati bloccati) e all’incertezza della durata del lockdown stesso. Era difficile reperire alcuni beni di prima necessità e il sistema di approvvigionamento passava principalmente attraverso acquisti di gruppo organizzati tra comunità di residenti riunitisi in chat di gruppo. Lentamente la routine, anche se non la migliore, è diventata più sostenibile e ci si è ‘abituati’ ai ritmi del lockdown. Tuttavia, mi è mancato e manca tuttora il rapporto con il pubblico, con i clienti, nonché presentare i lavori degli artisti con cui collaboro attraverso le mostre in galleria”.
A tale proposito la galleria si è ritrovata ben presto a sfidare il virus e il suo contenimento sulla velocità di reazione, talvolta riuscendoci, talvolta no: “La mostra di febbraio dell’artista cinese Kong Lingnan”, dice Enrico, “è stata interrotta dal lockdown dopo dieci giorni dall’apertura. La mostra prevista per aprile dell’artista Douglas Rieger è stata posticipata a data indefinita e i lavori sono fermi in dogana da marzo. È anche complicato lavorare in maniera remota così a lungo con lo staff. Al momento siamo focalizzati principalmente su progetti fieristici internazionali. Il mio team è stato perseverante nel trovare soluzioni che ci hanno permesso di continuare almeno con i progetti oltreoceano. Le fiere internazionali sono interamente gestite da un network di collaboratori e assistenti che coordiniamo remotamente da Shanghai, una situazione che si ripete ormai da due anni. I dipinti di Yan Xinyue che abbiamo presentato a Frieze NY sono stati realizzati negli Stati Uniti dove l’artista si trovava per motivi personali. Abbiamo cambiato i piani all’ultimo minuto per alcune opere destinate a essere esposte ad Art Basel Hong Kong perché i trasporti da Shanghai erano completamente bloccati, ma siamo comunque riusciti a riunire un gruppo di lavori da presentare in fiera. La fiera di Pechino, Beijing Dangdai, è stata inevitabilmente posticipata e la maggior parte delle opere sono anch’esse bloccate in dogana. Ci siamo preparati per Liste a Basel e abbiamo coordinato il trasporto dei lavori ai limiti del rocambolesco, cercando di limitare i costi che sono lievitati nel frattempo. Feng Chen, l’artista che presentiamo, non ha potuto rinnovare il suo passaporto e viaggiare”.
LOCKDOWN E RESILIENZA SECONDO LA DON GALLERY
Cheng Xixing, fondatrice di Don Gallery ‒ stimata galleria di Shanghai operativa da anni e che alla prossima edizione della Biennale di Lione presenterà due artisti di Shanghai, Zhang Ruyi e Zhang Yunyao ‒, sta vivendo ancor più da vicino non solamente i postumi causati dal disagio del lockdown ma anche degli ospedali da campo dislocati su tutto il tessuto urbano. “La mia galleria”, dice Xixing, “è situata proprio di fronte a West Bund Art Center, sede della fiera d’arte contemporanea e design ma che ora è stata trasformata in un enorme ospedale da campo. Questo, in aggiunta al blocco dei trasporti, non ci ha permesso e non permette tuttora di accedere al nostro deposito e di spedire i lavori in altre città. I danni provocati da questa situazione non si limitano ai mesi di lockdown ‒ per fortuna per questo periodo ci è stato concesso di non pagare l’affitto ‒, ma se dovessi quantificarli sarebbero molto più elevati”.
In una megalopoli come Shanghai, dove gli artisti lavorano e vivono in due luoghi diversi, non necessariamente vicini tra loro, la logistica è complessa e spesso è stato difficile per gli artisti recuperare il materiale che serviva loro per creare. Un artista della galleria Don, Cao Zaifei, conosce bene le difficoltà del caso: dopo essere restato senza tele, ha iniziato a dipingere su taglieri di legno e pentole. Xixing ribadisce: “Il lavoro di Cao è strettamente legato al contesto culturale attuale. La sfera del quotidiano è una zona relativamente sicura a livello di espressione personale e per l’artista è diventata fonte di espressione anche metaforica usata per esternare quanto non potrebbe essere veicolato a parole o per parlare di soggetti altrimenti ignorati. I suoi lavori sono imbevuti anche di satira”. Come non sorridere, ma amaramente, di fronte alle nature morte incentrate sul nuovo lusso: verdure fresche, a lungo introvabili in città? Oppure di fronte al dilemma di un uomo che, davanti a patate ormai germogliate e quindi tossiche, non sa se usarle e danneggiare la propria salute oppure probabilmente digiunare.
PENDOLARISMO DA LOCKDOWN
Una situazione diversa ma ugualmente complessa è quella di Mathieu Borysevicz, fondatore della galleria BANK, che dallo scoppio della pandemia ha cercato di conciliare lavoro e famiglia in un intricato incastro di viaggi, quarantene, lavoro da remoto. “L’inizio della pandemia nel 2020 ha sconvolto completamente la mia vita e il mio lavoro. La mia famiglia non ha potuto fare ritorno a Shanghai dove abitiamo da 15 anni. Mi sono ritrovato a fare il pendolare spostandomi tra quarantene e continenti diversi, cercando di mantenere in vita la mia attività ma anche di stare vicino alla mia famiglia. Fortunatamente non ho vissuto questo ultimo lockdown a Shanghai perché mi trovo tuttora fuori dal Paese, dove presumo ritornerò a novembre, così mi hanno riferito, se si tornerà a una certa normalità. Dal 1° giugno le persone sono teoricamente ammesse all’esterno dei loro compound di residenza ma uno dei miei collaboratori è ancora rinchiuso, un altro è fuggito dalla città e dalla galleria e l’intero isolato dove si trova la galleria è chiuso e ancora inaccessibile”. Nonostante la lontananza geografica, Mathieu ha comunque vissuto attraverso il suo staff, gli amici, gli artisti, i clienti della galleria il travaglio psicologico dei continui test, dell’isolamento, della paura incessante di essere trascinati in uno dei tanti mega ospedali, timori che hanno dato origine a un senso di “distopia e paranoia”, come riferisce lui stesso. “Sono a New York”, dice Mathieu, “e spesso sono sveglio fino a tarda notte per pianificare e riprogrammare con il mio team e i miei colleghi. La mattina presto faccio lo stesso. Vivo in un limbo di incertezza fatto di riunioni continue, di scambi di idee con amici e staff, senza tuttavia avere la certezza di quando questa situazione vedrà la fine e come evolverà”.
Le conseguenze sulle vendite sono piuttosto evidenti e per quel che lo riguarda questa prima parte del 2022 è da cancellare: “All’inizio del nuovo anno siamo stati chiusi per le vacanze della festa di primavera a febbraio, in seguito abbiamo deciso di ristrutturare lo spazio e i lavori sono durati fino a fine marzo, per essere pronti a riaprire con due mostre in uno spazio completamente ristrutturato. Tuttavia nessuno ha messo piede in galleria perché la città è finita in lockdown. Inizialmente siamo riusciti a portare a termine delle vendite da remoto e tramite PDF, ma con il perdurare del lockdown nessuno ha avuto più voglia di comprare nulla e anche il mio staff ha perso la capacità di concentrarsi sul lavoro”. Nonostante le grandi difficoltà, Mathieu, così come i suoi colleghi intervistati, evidenzia “il grande spirito di resilienza del mondo dell’arte e di tutte le persone intelligenti e capaci che lo popolano“. E aggiunge: “Non credo che il mondo dell’arte cinese imploderà; io dal canto mio non sono ancora pronto per lasciare la Cina, anche se non posso ancora rientrarvi”. Naturalmente non manca di essere critico e schietto quando si tratta di capire come sia cambiata la percezione della Cina nel resto del mondo: “La Cina e l’Asia in generale erano molto più presenti nella mente del mondo dell’arte globale grazie al costante scambio di persone, mostre e denaro, ma dopo la pandemia sembra che l’Asia e la Cina in particolare stiano andando alla deriva, allontanandosi sempre più dal resto del mondo. Ciò è certamente esacerbato dal modo illogico, quasi barbaro, con cui la Cina ha gestito la pandemia”.
IL RUOLO DELL’ASIA NEL MONDO DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Una testimonianza peculiare è quella di Qiao Zhibing, noto collezionista di fama mondiale nonché fondatore di Qiao Space e Tank Shanghai: poco prima dell’inizio del lockdown è riuscito a lasciare Shanghai alla volta di un viaggio intercontinentale che lo sta portando in Europa e America. Il viaggio da un lato è una libera scelta, dall’altro continua a prolungarsi anche perché Qiao Zhibing è impossibilitato a tornare nella sua città data la scarsità di collegamenti aerei. La speranza è quella di fare ritorno in Cina a fine giugno. Dopo le ultime tappe a Basilea e Kassel. L’account WeChat di Qiao è diventato una sorta di canale attraverso cui ha documentato le visite a studi di artisti, fiere ‒ da Ginevra a Bruxelles a Milano ‒, mostre, con un focus particolare sulla Biennale di Venezia, di cui è stato probabilmente uno dei pochissimi visitatori dalla Cina. Ha così creato una sorta di diario visivo della sua esperienza personale, delle sue frequentazioni ma anche dell’assenza collettiva di pubblico cinese dalle manifestazioni più importanti. La pandemia pare non avere influenzato la sua idea di collezione e nemmeno le modalità di collezionare, anche se la ritiene uno spartiacque epocale che ha cambiato le vite di tutti e portato anche lui stesso nella veste di fondatore di due spazi a rivedere i propri piani, nonostante la programmazione di mostre future stia continuando a pieno ritmo.
Le politiche attuate a Shanghai e in altre città cinesi hanno portato il mondo dell’arte cinese a esplorare nuove modalità di creazione, fruizione e vendita delle opere d’arte, ma anche a interrogarsi sulla ‒ necessaria ‒ ragion d’essere del gesto artistico stesso. Ciò che rincuora e incoraggia i protagonisti di questo ecosistema è sapere di essere parte di una comunità che condivide le medesime difficoltà ed esigenze, e che vuole contribuire a tenere alta l’attenzione su un territorio da cui l’intero sistema dell’arte non può prescindere, nonostante la lontananza e l’apparente, attuale marginalità.
– Manuela Lietti
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