Mentre l’edificio neoclassico della Art Gallery of New South Wales continuerà a ospitare le collezioni dei dipinti di maestri europei antichi e moderni, le collezioni contemporanee, l’arte aborigena e le mostre temporanee troveranno collocazione in un nuovo edificio realizzato dallo studio di archietti SANAA, dalle pareti in vetro e il tetto in acciaio. Ma la vera sorpresa è rappresentata dai sotterranei: Sydney Modern sorge infatti su un vecchio deposito petrolifero della Seconda Guerra Mondiale, al quale è collegato da una scala a chiocciola. L’ex deposito, che si stende su una superficie di 2.200 metri quadrati, fu costruito nella zona di Woolloomooloo all’inizio degli anni Quaranta, come area di stoccaggio per il carburante destinato alle navi da guerra britanniche all’ancora a Garden Island, in un momento in cui Singapore era vulnerabile agli attacchi giapponesi. Finita la guerra, rimase inutilizzato e nel tempo l’incuria ha causato diversi danni: quando fu riscoperto nel 2014, erano quasi completamente allagato e le pareti e le colonne di cemento erano corrose da una patina di petrolio, sale e minerali. Adesso, dopo un lungo e accurato restauro, il 3 dicembre 2022 è pronto ad accogliere l’arte contemporanea.
IL NUOVO SYDNEY MODERN
La struttura ha soffitti alti sette metri sorretti da 125 colonne, poste a quattro metri di distanza l’una dall’altra. Il critico del Times Jason Farago ha definito questo inconsueto spazio museale come un luogo che combina “l’immaginazione di uno scrittore di fantascienza e le ansie di un ecologista”. Michael Brand, direttore del Museo, aggiunge: “la mia visione per il Sydney Modern Project è stata quella di trasformare l’Art Gallery in un campus di un museo d’arte con connessioni senza soluzione di continuità tra arte, architettura e paesaggio; un museo d’arte generoso e intelligente che crede che l’arte del passato sia fondamentale per comprendere l’arte dei nostri tempi”.
IL PROGETTO INAUGURALE DEL SYDNEY MODERN
Per l’apertura al pubblico, The Tank ospiterà una grande installazione immersiva dell’argentino-peruviano Adrián Villar Rojas, che fa parte della serie The End of Imagination, cui l’artista sta lavorando da tempo. Così l’artista si è espresso sullo spazio con cui si è misurato per questa nuova opera: “le ombre create dalle luci che colpivano le colonne mi hanno ricordato di essere in una foresta nera come la pece, con in mano solo una torcia”. L’opera intende essere una riflessione su come la pandemia da Covid-19 stia influenzando il concetto di tempo: il tempo umano, il linguaggio, e la sua rappresentazione. Nella sua pratica artistica, Rojas mette ulteriormente in discussione le nozioni di ordinamento e di determinazione collettiva del significato in relazione all’arte occidentale. Parte del suo progetto generale è stato quello di mettere in discussione il museo e il suo ruolo di conservazione, raccolta ed esposizione di opere in perpetuo.
Niccolò Lucarelli
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