I detenuti di Guantánamo potranno portarsi a casa le opere d’arte realizzate in carcere
Il Pentagono ha annullato il divieto posto dal governo Trump sul rilascio delle opere d'arte realizzate dai detenuti del campo di prigionia di massima sicurezza, considerate “di proprietà del governo”
Dopo quattro mesi di richieste formali al presidente statunitense Joe Biden, gli ex detenuti di Guantánamo potranno nuovamente conservare la propria arte una volta rilasciati. Il Pentagono ha infatti deciso di annullare il divieto, posto dal governo Trump, sulla diffusione di opere d’arte realizzate durante la detenzione nel campo di prigionia americano di massima sicurezza della base navale di Guantánamo, sull’isola di Cuba, riaprendo un se pur labile spiraglio di comunicazione tra l’interno della famigerata prigione e l’esterno. Guantánamo, dopotutto, è da decenni al centro di una tempesta mediatica per via delle sistematiche violazioni delle Convenzioni di Ginevra nel trattamento dei prigionieri di guerra, dall’imprigionamento indefinito senza processo alle torture arrecate soprattutto ai prigionieri creduti connessi al terrorismo di matrice islamica.
IL DIVIETO DI ESPORRE E VENDERE LE OPERE FATTE A GUANTÁNAMO
Il divieto di condividere l’arte prodotta a Guantánamo era stato introdotto alla fine del 2017, dopo che una mostra con sculture e dipinti realizzati nella prigione chiamata Ode to the Sea – tutte opere ispirate all’Oceano, dovute al fatto che nel 2014 erano stati brevemente rimossi i teloni che bloccavano la vista del mare dalla prigione – era stata aperta al John Jay College of Criminal Justice di New York. Ognuna delle 36 opere d’arte esposte era stata precedentemente vagliata e autorizzata dai militari, e molte di queste sono state rese disponibili alla vendita. Questo punto in particolare sembra avesse innervosito il Pentagono, di cui alcuni membri hanno dichiarato di “non essere a conoscenza del fatto che le opere d’arte dei detenuti fossero vendute a terzi”. Il Dipartimento della Difesa aveva cominciato a limitare la diffusione al pubblico dell’arte dei prigionieri, dichiarando che le opere realizzate nella struttura erano “proprietà del governo”.
L’APPELLO PER PORTARE VIA CON SÉ L’ARTE REALIZZATA IN DETENZIONE
Nell’aprile del 2018, l’avvocato del detenuto Ammar al-Baluch aveva presentato una mozione a una commissione militare in cui affermava che il divieto artistico costituiva “una violazione dei diritti del prigioniero”: il giudice però aveva respinto la mozione. L’argomento è tornato alla ribalta lo scorso ottobre, come riportato al tempo da Hyperallergic, quando otto prigionieri ed ex prigionieri di Guantánamo avevano pubblicato una lettera aperta in cui esortavano Biden a revocare il divieto: “L’arte di Guantánamo è diventata parte della nostra vita e di ciò che siamo […] È nata dal calvario che abbiamo vissuto. Ogni dipinto racchiude momenti della nostra vita, segreti, lacrime, dolore e speranza. Le nostre opere d’arte sono parti di noi stessi. Non siamo liberi mentre parti di noi sono ancora imprigionate a Guantánamo”. A novembre, i relatori speciali per le Nazioni Unite hanno a loro volta scritto una lettera al Segretario di Stato Antony Blinken, sostenendo che il divieto “viola i diritti alla libera espressione artistica, a prendere parte alla vita culturale e a godere dei benefici morali e materiali derivanti dalla produzione artistica”.
REVOCA DEL DIVIETO E L’AMBIGUITÀ DELLA PROPRIETÀ DELLE OPERE DI GUANTÁNAMO
La revoca del divieto è infine giunta, proprio mentre l’amministrazione Biden sta silenziosamente rinnovato gli sforzi per chiudere la controversa prigione, istituita all’indomani dell’11 settembre: da poco, infatti, ha autorizzato 20 dei 34 uomini lì detenuti (contro i 700 confinati al picco della sua attività) al trasferimento o al rimpatrio. Certo, le condizioni della revoca sono vaghe: il tenente colonnello Cesar H. Santiago, portavoce del Pentagono, ha detto al New York Times che la decisione presa dal Dipartimento della Difesa fa sì che i prigionieri in uscita possano portare con sé “una quantità praticabile della loro arte”. Non è affatto chiaro cosa significhi questa “quantità praticabile” vista la massa di opere accumulata da alcuni detenuti, né si sa se la nuova policy sia già in atto o quando lo sarà. Quello che è certo, perché ribadito espressamente da Santiago, è che le opere continuano a essere considerate “proprietà degli Stati Uniti”.
Giulia Giaume
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