Era l’autunno del 2017 quando, a sorpresa, gli Stati Uniti avevano annunciato per la prima volta la volontà di uscire dall’Unesco, l’agenzia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. La decisione dell’allora governo Trump, finalizzata nel 2019, aveva fatto seguito alle accuse contro l’organizzazione di aver assunto posizioni “anti-israeliane” (che avevano portato anche Israele ad abbandonare il consesso). Un gesto impulsivo in linea con le decisioni dell’allora governo Trump, che aveva sollevato molte polemiche e che oggi è stato finalmente sanato con una votazione unanime da parte dei membri attuali.
Gli Stati Uniti rientrano nell’Unesco
La decisione di impegnarsi nuovamente con l’Unesco – le cui responsabilità coprono un territorio molto ampio, che spazia dalla protezione e promozione del patrimonio culturale e naturale all’alfabetizzazione fino alla cooperazione internazionale e alla promozione della scienza – è stata motivata dalle preoccupazioni dell’amministrazione Biden per la crescente influenza sullo stesso organismo della Cina, i cui contributi sono saliti a circa 65 milioni di dollari. La procedura di riammissione, a cui gli States stavano puntando almeno dallo scorso gennaio, gli costerà circa 619 milioni di dollari di quote arretrate (che verranno ridate a rate) e li porterà a diventare il 194esimo stato membro dell’agenzia con sede a Parigi. Un paradosso, se si considera che erano tra suoi i membri fondatori.
“Un monumento storico per l’Unesco”
Era il lontano 1946, appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti e altri 19 Stati (Italia esclusa) decisero di dare vita a un organismo che si impegnasse a costruire i presupposti per garantire la pace internazionale promuovendo il dialogo interculturale: “I Governi degli Stati membri della presente Convenzione, in nome dei loro popoli, dichiarano: che, poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nello spirito degli uomini che devono essere poste le difese della pace“. Un obiettivo condiviso anche dagli americani, almeno fino all’amministrazione Trump, che si era allontanata con le durissime parole dell’allora ambasciatore alle Nazioni Unite Nikki Haley: era lui ad aver definito l’Unesco (da cui era da poco emersa la comune volontà di ammettere la Palestina) “tra le agenzie delle Nazioni Unite più corrotte e politicamente di parte“. E quindi la spaccatura, che ora toccherà all’amministrazione Biden sanare con un conto piuttosto salato.
“Questo è un momento storico. La nostra Organizzazione si sta muovendo ancora una volta verso l’universalità: è un’ottima notizia per il multilateralismo nel suo insieme. Se vogliamo affrontare le sfide del nostro secolo, non può che esserci una risposta collettiva“, ha commentato la direttrice generale dell’Unesco Audrey Azoulay. “Il ritorno degli Stati Uniti, e le risorse aggiuntive che ne derivano, ci aiuteranno a fornire un supporto ancora migliore a tutti in tutto il mondo: alunni e studenti, ricercatori, accademici, artisti, educatori, giornalisti, tutti coloro a cui il nostro il lavoro quotidiano è concentrato. L’UNESCO avrà anche più risorse per le sue due priorità strategiche, l’Africa e l’uguaglianza di genere“.
Giulia Giaume
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