Gyumri è considerata la capitale artistica e culturale dell’Armenia. A un paio d’ore di treno (qualcosa in più in auto) da Yerevan, la seconda città più popolosa del paese caucasico è rinata dopo il terribile terremoto del 1988, che ha avuto il suo epicentro a Spitak, pochi chilometri a nord-est. È stato il sisma a far accorrere in Armenia Antonio Montalto, medico palermitano che si è a lungo prodigato per prestare soccorso alle popolazioni, in particolare ai piccoli orfani, e poi lavorando alla ricostruzione dei reparti maternità degli ospedali.
Un italiano in Armenia. Il laboratorio di ceramica di Gyumri
Da qui, Montalto – che è Presidente della Fondazione Family Care – non se n’è più andato, e dal 2001 a fine 2022 è stato console onorario d’Italia in una città che ha ricevuto la visita sia di papa Giovanni Paolo II sia di papa Francesco. Dopo i primi anni dedicati principalmente al soccorso umanitario, Montalto ha pensato che la rinascita potesse passare anche attraverso il recupero delle grandi tradizioni artigianali e artistiche del popolo armeno. È stato creato un laboratorio di ceramica che si ispira alle tradizioni di Kütahya, città della Turchia dove prima dei tragici eventi del 1915 era attiva una folta comunità armena dedita a questo tipo di attività artigianale fin dal XV-XVI secolo. Nel laboratorio di Gyumri vengono formati giovani che poi, a loro volta, aprono negozi propri o diventano salariati della Fondazione. Incontriamo Montalto a Villa Kars, edificio storico dove sono state ricavate delle guest rooms per accogliere ospiti e turisti. Nel cortiletto interno, vecchi oggetti d’arredo, sculture, panchine in legno si fondono con il verde creando un’atmosfera che rimanda indietro nel tempo. Di fronte alla villa è stato aperto un Museo della ceramica in cui sono esposti alcuni dei pezzi più belli creati nella scuola di ceramica che sono già stati esposti in diverse città europee. Siamo in un quartiere a pochi passi dalla piazza centrale della città. Qui il restauro degli edifici è stato portato avanti con cura – “ma gli alberi li abbiamo piantati a nostre spese” precisa Montalto – e si può immaginare la Gyumri del XIX e inizio del XX secolo, il periodo economicamente e culturalmente più fortunato per la città.
Alla scoperta della città di Gyumri
Dopo la fine della guerra russo-persiana del 1826-1828, tutta l’area passò sotto il controllo zarista, poi sovietico, fino alla dissoluzione dell’URSS. A seguito della visita dello zar Nicola I nel 1837, la città fu ribattezzata Aleksandropol in onore di sua moglie Aleksandra Fëdorovna e così si chiamò fino al 1924, anno della morte di Lenin, quando divenne Leninakan. Nel periodo zarista fioriscono i commerci, le arti e si riplasmano interi quartieri. Nascono gli eleganti palazzi in tufo nero (a volte alternati a blocchi di colore aranciato), con i portoni scolpiti in legno, le belle balconate e i cancelli in ferro battuto, gli edifici in stile Liberty che fanno di Gyumri la più russa delle città armene. Si calcola che fossero centinaia gli artigiani attivi in città: gioiellieri, fabbri, sarti, ricamatori, artigiani della scarpa, dei tappeti, del rame, orologiai, stagnai, carratori. Abilità che venivano trasmesse di padre in figlio (a partire dai 13 anni di età) e contribuivano ad accrescere l’ottima reputazione di cui gli artigiani di Gyumri godevano anche fuori dai confini dell’Impero Russo, tanto da essere molto apprezzati fino ad Aleppo e in altri angoli del Medio Oriente. Uno dei simboli della città, non a caso, è la mushurba, un contenitore in rame per mantenere fresca l’acqua per cui Gyumri era famosa in tutta l’area e a cui è stata dedicata anche una statua. La forma particolare della brocca produce un suono riconoscibile quando l’acqua viene versata, come se fosse stato aggiunto del gas.
Arte e musei nel quartiere storico di Gyumri
Via Abovyan, oggi pedonalizzata, è la strada che meglio sintetizza la tipica eleganza dell’architettura e dell’urbanistica russo-armena del XIX secolo. Qui si incontra la Gallery of Mariam and Eranuhi Aslamazyan Sister, un museo creato nel 1987 (e riaperto nel 2004 dopo il terremoto) da due sorelle che furono pittrici, grafiche e ceramiste, nate rispettivamente nel 1907 e 1910 e formatesi nelle accademie d’arte di Yerevan, Mosca e Leningrado (San Pietroburgo). Il museo è ospitato in un bell’edificio del 1880, appartenuto ai Qeshishovs, una ricca famiglia di mercanti. Oltre alle collezioni d’arte si scopre il cortile interno su cui affacciano i balconi in legno, tipici dell’architettura locale del XIX secolo.
Qualche passo oltre si trova il Grand Hotel Apricot, l’albergo più elegante della città. È stato aperto un paio di anni fa all’interno di un palazzo degli Anni ’70 dell’Ottocento dove, in epoca zarista, aveva sede l’Hotel France. Ai tempi dei Soviet divenne una maternità e negli Anni ’50 sede della rappresentanza locale del KGB. All’interno, oltre a molti bei pezzi di arredamento, si possono ammirare opere del pittore Minas Avetisyan (1928 – 1975), uno dei più importanti esponenti della scuola di pittura locale: un suo affresco, Weaving the carpet, adorna la parete di fondo nella hall dell’hotel. In una traversa del quartiere storico, si incontra l’Hovhannes Shiraz House Museum dedicato a un famoso scrittore armeno: un tranquillo angolo della città con un caffè letterario all’aperto che ospita anche lo Zanan Cultural Center dove si scopre la vita in Armenia nel XIX secolo e in particolare i suoi costumi tradizionali.
Altre soste imperdibili in questo tour del quartiere storico della città (Kumayri district) sono il Museum of Urban life and National Architecture (Dzitoghtsonts House) e, in piazza Vartanants – di impronta sovietica, su cui affacciano il municipio e il cinema Hoktember – la Yot Verk, la chiesa delle Sette Ferite. Questo edificio di culto fu l’unico a rimanere aperto in epoca sovietica come spazio multi religioso dedicato al culto ortodosso, apostolico armeno e cattolico: nelle aiuole davanti alla chiesa sono state collocate le due cupole originali crollate durante il terremoto del 1988.
Charles Aznavour e l’Armenia
Ma Gyumri ha un’altra sorpresa da riservare ai visitatori che arrivano in questa remota regione dell’Armenia. Chi entra in città da nord non può non notare una grande statua al centro di un’enorme piazza: un uomo in piedi, con le mani affondate nelle tasche di un cappotto, guarda verso il centro della città. È Chahnourh Varinag Aznavourian, in arte Charles Aznavour. Il cantante e attore nato in Francia, ma figlio di profughi armeni, è stato omaggiato nel 2001, ancora in vita, dai suoi compatrioti, con una statua in bronzo alta 7 metri poggiante su un basamento di granito scuro. Lo stile del monumento ha qualcosa che rimanda all’arte sovietica, ma è innegabile che sia l’espressione di un sentito ringraziamento – Aznavour era presente all’inaugurazione – a un artista che, calato il sipario, si è impegnato generosamente, spesso in silenzio, per il popolo armeno e la sua causa. Nel 1995 venne nominato ambasciatore itinerante presso l’Unesco, nel 2004 proclamato Eroe nazionale o poi ambasciatore ONU per l’Armenia. Fra le tante azioni intraprese c’è anche il finanziamento a sue spese di un volo Yerevan-Parigi quando l’Armenia, dopo il conflitto con l’Azerbaigian negli Anni ’90, si trovò isolata dal mondo.
Il suo volto, così popolare in Armenia, è stato utilizzato anche in una delle attività che si sperimentano nel nuovo Museo delle illusioni, uno spazio tecnologico e interattivo che è un po’ il simbolo della città che rinasce, dopo decenni di difficoltà.
Dario Bragaglia
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