Copenaghen, città tra le più sicure al mondo nonché tra le più ricche in termini di reddito pro capite, ha celebrato quest’anno la nomina dell’UPer l’Unesco Venezia è un “Patrimonio dell’umanità a rischio”nesco di World Capital Architecture 2023, ricevendo il testimone da Rio De Janeiro in carica dal 2020.
Caratterizzata da un piano regolatore che l’ha portata all’avanguardia in termini di vivibilità ecosostenibile e qualità della vita, è un luogo che racchiude nell’anima scandinava rimandi alla cultura anglosassone e tedesca e che rivaleggia con Amsterdam per il landscape urbano di canali e insenature.
Dinamica, vitale, giovane.
Le prime tre parole che vengono in mente passeggiando per la zona pedonale del Canale Nyhavn, antico porto e oggi cuore pulsante della città. E giovane lo è davvero, con un’età media di 36 anni (almeno 10 di meno delle nostre Milano e Roma), e in trasformazione grazie a uno skyline completamente nuovo e in progress verso lo stretto di Øresund, che separa la Danimarca dalla Svezia (“Tra 5 anni qui sarà tutto diverso” ci dice un responsabile dell’Opera House).
Tra mito del design danese e assenze illustri
La città è caratterizzata da un forte spirito identitario, a tratti autocelebrativo, per quello che riguarda il design e l’architettura. La memoria dei creativi danesi che hanno caratterizzato la storia del design del ‘900 è orgogliosamente mostrata in ogni ristorante dove troneggiano le sedie di Jacobsen e le lampade di Paulsen, veri e propri eroi nazionali che insieme agli altri autori nordici come Saarinen e Panton sono protagonisti delle stanze del DAC, il museo dell’architettura danese ospitato nel Blox, ovviamente costruito da una star all’altezza come Rem Koolhaas. Triste però notare la totale assenza di riferimenti al Bauhaus e a Le Corbusier, a cui gli stessi artisti locali si sono ispirati, come pure, nella Biblioteca Nazionale dove si organizzano mostre e proiezioni, la mancanza di richiami ai grandi autori del cinema danese, da Dreyer al gruppo di Dogma 95 che, con Lars Von Trier, firmarono il loro manifesto proprio a Copenaghen.
Ciliegina sulla torta, per tutti gli interessati, il Museo di Fotografia, geolocalizzato anche da Google Maps all’interno dell’elegante Black Diamond, non esiste…
La Copenaghen che non ti aspetti
Copenaghen però si riscatta quando sfodera l’inaspettato – lontano da quelle splendide gemelle in vetro, una davanti all’altra sul canale, della Royal Danish Playhouse e Opera – nei quartieri fuori dalla portata turistica e che non hanno l’appellativo di Royal (in Danimarca la monarchia non si vede, ma si sente). Bisogna arrivare al capolinea di Kastrup Station e procedere a piedi verso il Den Bla Planet Aquarium per godere della vista di un’architettura che s’integra perfettamente nel paesaggio, con tanto di pale eoliche sottili come spilli all’orizzonte e immergersi in una visita istruttiva non solo per i bambini; o sprofondare nell’umidità scivolosa dei sotterranei delle Cisternerne, i vecchi serbatoi idrici dell’antica Copenaghen, trasformati di recente in location per performance ed installazioni, per scoprire come la città fosse ancora nella seconda metà dell’800 vittima di epidemie di colera, senza una rete fognaria né acqua potabile nelle case.
Una distanza siderale dal luogo che è ora, che seguendo lo slogan di Sustainable Futures – Leave No One Behind ha ritrasformato se stesso a tempi di record, anche grazie all’innovativo e funzionale Piano Regolatore delle cinque dita, che ha permesso con largo anticipo una riconversione green ed ecosostenibile del quotidiano.
Nella capitale danese si allestiscono parchi giochi sopra i parcheggi, come nel caso del Park’n’play di Jaja Architects, percorsi ginnici tra i vialetti dei palazzi di periferia e piste da sci sugli inceneritori, come nel famoso e multipremiato CopenHill di Bjarke Ingles. Conosciuto anche come Amager Bakke, dove “Bakke” significa collina e “Amager” è il nome dell’isola su cui sorge, è un luogo talmente eco-friendly che nella baia davanti alla sua ciminiera si organizzano gare di vela e sci nautico per adulti e bambini che arrivano fin qui anche in pullman.
La downtown pedonalizzata è un inno alla mobilità verde, fedele a quei principi di sviluppo sostenibile voluti dall’urbanista Steen Eiler Rasmussen che già nel piano di ricostruzione e sviluppo del secondo dopoguerra propose un modello di città radiale dal centro fatto di percorsi verdi attraversati da ciclabili (qui anche gli anziani si muovono in bicicletta) e con un sistema di viabilità basato principalmente su linee ferroviarie elettriche verso le zone più periferiche come Nordhvan e Ørestad.
Il modello Copenaghen come utopia civile?
Il senso civico, l’ordine, la pulizia sono un tratto distintivo che amaramente colpisce e fa sentire a disagio nel confronto col suolo patrio. La raccolta differenziata e il rispetto della res publica è un must per chiunque, dimostrando con i fatti anche a molti intellettuali nostrani che come si vive uno spazio comune ha molto a che fare con un sano modo di fare cultura al di là delle apparenze e del conflitto generazionale. Ogni quartiere ha il suo palazzo o residence in costruzione firmato da uno dei nuovi studi di spicco locali, ovviamente giovani e green come CEBRA, Cobe e 3XN che fanno a gara per sfornare progetti a impatto zero e totalmente ecocompatibili. Viene da chiedersi come poterselo permettere, un appartamento del genere, specie se si è uno dei tantissimi rider stranieri che fanno le consegne, considerando che il tenore di vita qui è così alto da fare di Copenaghen un luogo non per tutte le tasche, specie per quel che riguarda gli affitti e la ristorazione.
Dunque Copenaghen può essere un esempio di utopia civile e futurista concretamente realizzata?
La città prevede, entro il 2050, di essere a emissioni zero e con una mobilità sostenibile basata interamente su trasporti pubblici.
Ciò non la rende però esente da un giudizio acritico, riguardante in primis l’offerta culturale, sicuramente migliorabile in termini di spazi espositivi e gallerie private come nell’allestimento delle sale delle sedi istituzionali, come nel celebre Statens Museum for Kunst, che ospita slegati esemplari di movimenti internazionali, per lo più doni di privati o banche.
Ed è migliorabile anche la vita sociale, sicuramente non aiutata dal clima molto rigido e piovoso, estate compresa. Se si escludono le poche spiagge cittadine o in realizzazione su isole artificiali, come Amager Strandpark a sud, gli spazi pubblici di condivisione collettiva e d’incontro non sono moltissimi. I danesi tendono a vivere nelle case ed in privato ogni occasione, celebrazioni e festività comprese e dopo le 21.30 la Capitale presenta una vita notturna non particolarmente vivace. Sicuramente uno scenario molto diverso, almeno da questo punto di vista, da quello che si promette di vedere a Barcellona, prossima World Capital Architecture nel 2026.
Francesca Pompei
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