Può un pittore del XV Secolo contribuire a espandere la nostra visione dell’arte e della cultura ed essere simile nel modo di coinvolgere lo spettatore ai moderni fotografi, cineasti e pubblicitari? Sembrerebbe proprio di sì, stando agli organizzatori del festival urbano di Lovanio New Horizons | Dieric Bouts Festival, che quest’anno ha messo al centro della programmazione proprio la figura del grande maestro fiammingo Dieric Bouts.
Il Museo M di Lovanio, città in cui visse l’artista, gli dedica una grande retrospettiva comprensiva di trenta sue opere, nucleo mai riunito prima in un’unica mostra e riletto sotto una nuova luce, confrontandolo con la cultura visiva di oggi. Un percorso espositivo che invita il pubblico ad allargare il proprio sguardo sulla realtà, così come l’artista si impegnò a fare cinque secoli fa, attraverso la creazione di nuove immagini, costruite da un punto di vista diverso e innovativo.
La mostra su Dieric Bouts a Lovanio
Dieric Bouts (Haarlem, 1410 ca – Lovanio, 1475), è uno dei maggiori maestri fiamminghi, alla stregua di Jan Van Eyck o Rogier Van der Weyden. Dimenticato per secoli (o per lo più scambiato per Hans Memling) “il pittore del silenzio” fu riscoperto dall’artista, curatore e ricercatore Johann David Passavant (Francoforte, 1787 – 1861). A partire da quel momento la comunità fiamminga si è impegnata a promuoverne la figura, riaffermandone l’importanza nella storia dell’arte occidentale.
Dieric Bouts fu, ad esempio, uno dei primi artisti dei Paesi Bassi settentrionali a recepire, intorno alla metà del XV Secolo, le innovazioni in campo artistico che provenivano dall’Italia, padroneggiando l’uso delle linee di fuga per creare prospettive scientificamente accurate. Possedeva, inoltre, un talento incomparabile nel comporre paesaggi capaci di trasportare il pubblico nei suoi quadri, rimandando a mondi mai visti prima attraverso un sapiente equilibrio tra realtà e immaginazione. Il pittore cavalcò anche la moda dei ritratti devozionali, che rifletteva un approccio più personale alla fede utilizzando Cristo come guida per un nuovo modello di vita.
Le sue opere sono oggi esposte in musei prestigiosi come il Louvre di Parigi, il Prado di Madrid, la National Gallery di Londra, il Fine Arts Museum di San Francisco e l’Alte Pinakothek di Monaco.
Nella mostra di Lovanio si può ammirare, per la prima volta fuori dalla Spagna, il Trittico della discesa dalla croce (1450-1458), pezzo forte della collezione della Capilla Real di Granada. Due altri capolavori, Il martirio di Sant’Erasmo e L’ultima cena, visibili nella Collegiata di San Pietro a Lovanio, sono stati anch’essi trasportati nelle sale del Museo con il compito di aprire e chiudere il percorso espositivo.
Dieric Bouts e la cultura contemporanea
Obiettivo di questa mostra è presentare Bouts non tanto come un artista, perché la figura del pittore, così come la intendiamo oggi, andava ancora delineandosi nel XV secolo, ma piuttosto come un creatore di immagini che dipingeva ciò che ci si aspettava da lui facendolo in modo eccellente. Motivo per cui è stato messo a confronto con i creatori di immagini di oggi: fotografi sportivi, cineasti, sviluppatori di videogiochi.
Il percorso espositivo può essere quindi letto in due modi differenti ma complementari: secondo un approccio classico, cronologico, oppure paragonando le sue opere alle moderne campagne pubblicitarie, i servizi fotografici sportivi e di moda e i film di fantascienza. In allestimento, ad esempio, i disegni dello storyboard del film Star Wars rimandano ai suoi paesaggi fantastici nella Caduta dei Dannati di Lille.
La particolarità di questa mostra risiede nella libertà con cui si accostano, in modo del tutto laico, una Madonna con Bambino del XV secolo a una fotografia di Rihanna che abbraccia il suo neonato, partendo dall’assunto che la Vergine fosse, dal Medioevo in poi, un’icona pop al pari delle pop star di oggi.
Bisogna dunque guardare a Dieric Bouts come a un professionista che lavorava con le immagini e che visse a Lovanio in un momento in cui la città era considerata il “place to be”, grazie all’Università sorta nel 1425, che la rese un modello virtuoso per il lavoro di collaborazione e scambio tra studiosi. La città raccoglieva all’epoca il meglio del sapere moderno e conserva tutt’oggi questa vocazione. Basti pensare che il festival New Horizon di Lovanio, nato dalla collaborazione di oltre cento partner culturali, intende veicolare un approccio alla ricerca artistica dettato dalla curiosità, dallo scambio reciproco e dalla messa in discussione di concetti precostituiti, un sapere libero che fin dal XV Secolo rappresenta nella città belga un’eredità da tramandare alle generazioni future.
Arianna Piccolo
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