Riscoprire piccoli mondi. L’edizione 2023 della Taipei Biennial

Molteplici le chiavi di lettura offerte dalla manifestazione: dal restringimento degli orizzonti della vita quotidiana nel periodo della pandemia alla chiusura creata artificialmente dalle barriere dell’interesse politico. Abbiamo visitato la Biennale di Taipei

Organizzata dal Taipei Fine Arts Museum, Small World, edizione 2023 della Taipei Biennial, si svolge in concomitanza con il 40° anniversario del Museo ed è curata da Freya Chou, Reem Shadid e Brian Kuan Wood. Visitabile fino al 24 marzo 2024, è accompagnata da un ricco calendario di artist talk, performance, proiezioni di film e documentari.

Il concept della Taipei Biennial 2023

La Taipei Biennial 2023 è concettualmente profonda, a partire dal titolo sottilmente metaforico, in puro stile asiatico: il mondo (un po’ come il campo di calcio secondo Rinus Michels) si può restringere o allargare con un semplice cambio di direzione, aumentando i punti di riferimento come accade con la semplicità degli insegnamenti di Confucio o la diagonale prospettica di Leonardo o Piero della Francesca, capaci di aprire l’orizzonte sull’infinito. Molteplici le chiavi di lettura: una è il restringimento degli orizzonti della vita quotidiana nel periodo della pandemia; un’altra è quella, ben più preoccupante, di una chiusura creata artificialmente dalle barriere dell’ignoranza o dell’interesse politico. E ancora, la possibilità (o la minaccia) di maggiore controllo sulla vita privata, il pericolo dell’isolamento dalla comunità. All’altro capo dello spettro interpretativo, il mondo (e lo spettro mentale) si allarga quando le distanze cadono e le culture dialogano. Nella mostra, i concetti di avvicinamento e allontanamento sono interpretati secondo le prospettive più diverse, da quella del movimento fisico al movimento mentale, dall’allontanamento indiretto per mezzo di barriere politiche e culturali all’avvicinamento cercato con fini di fratellanza. Degno di nota l’elegante allestimento, con ampie zone di “respiro” fra le opere, che sembrano vicine e lontane allo stesso tempo; Small World, infatti, è piccola e grande insieme, una sinfonia di colori, tecniche, linguaggi, materiali, in perfetta armonia fra loro, quasi un omaggio al Taoismo, profondamente radicato anche nella vita dei cinesi di Taiwan.

Gli artisti della Taipei Biennial 2023

Molteplici i linguaggi della Biennale, dall’installazione al video, dalla scultura alla pittura. Small World si apre con Mirror, il monumentale muro di Wang Wei che sorge in mezzo al corridoio d’accesso alla mostra: sulle due facciate, elaborati mosaici che riproducono, come uno specchio, l’ambiente a destra e l’ambiente a sinistra. Il muro che riflette, che respinge, che allo stesso tempo può essere barriera e porta, un po’ come il braccio di mare che separa Taiwan dalla Cina. Una riflessione simile a quella di Tekla Aslanishvili che nel cortometraggio A State in a State (2022) racconta il ruolo della ferrovia fra il Caucaso e la regione caspica, che da infrastruttura di collegamento in tempo di pace, si è più volte trasformata in una linea divisoria fra ciò che sta “di qua” e ciò che invece sta “di là”; in mezzo, chi lungo quelle ferrovie lavora, in tempo di pace come in tempo di guerra. Incontrando questi lavoratori, l’artista si imbatte in un’idea di solidarietà che ignora i confini, e per questo costituisce una sorta di mondo a sé, uno “Stato nello Stato”. La distanza fra popoli può nascere, o aumentare, anche a causa dei provvedimenti legislativi, ed è il caso della vicenda narrata in Foragers (2022), il lungometraggio di Jumana Manna girato fra le alture del Golan, la Galilea e Gerusalemme che, dando voce appunto ai raccoglitori del titolo, spiega come lo stato israeliano abbia vietato, per motivi di rispetto dell’equilibrio ambientale, la raccolta del timo, cosa che ha messo fine a un’attività economica e a una tradizione millenaria. Un provvedimento che certamente non contribuisce ai buoni rapporti fra i due popoli. 

Taipei Biennial 2023: l’opera di Yang Chi-Chuan

Secondo un approccio più tipicamente asiatico, la taiwanese Yang Chi-Chuan riporta la questione del titolo della Biennale nei termini della scala individuale, e attraverso una sottile metafora esplora le intime relazioni psicologiche tra persone e luoghi, oggetti ed eventi; Your tears remind me to cry (2023) di Yang Chi-Chuan è un’installazione concettuale di piccole sculture in ceramica appese a sottilissimi fili, che riproducono i più disparati oggetti quotidiani, ma anche insetti e batteri; un labirinto di forme che, sfiorate, collidono e tinniscono, metafora della lotta interiore contro l’ansia e la paura. A ciò si sovrappongono voci umane registrate, per completare un ideale cosmo dove la vicinanza dei corpi e delle menti sembra rendere più tollerabile l’infinito. Oltre che fra gli essere umani, la distanza andrebbe ridotta anche con la natura, dalla quale la tecnologica società del XXI Secolo è in perenne conflitto: per questo So Wing-Po, cinese di Hong Kong, in The Bookmaking Habits of Select Species recupera nella sua installazione il mondo scientifico ed esoterico insieme della medicina tradizionale cinese; frammenti di piante, conchiglie, larve, sospesi in un’installazione che ricorda il cosmo e che suggerisce l’idea della natura come luogo di incontro e di comunicazione, dove annullare le distanze. E ancora, l’indonesiana Iperh Nur indaga l’importanza delle barche tradizionali nella cultura marinara del villaggio di Mandar; The Body and Journey è un’opera di ampio respiro che consta di video, stampe e dipinti realizzati in seguito a una residenza sul posto, in seguito alla quale ha voluto richiamare l’attenzione sul rischio della scomparsa (qui come in altre zone dell’Asia) della cultura marinara di villaggio, della rottura dello stretto rapporto con il mare del quale la barca è una sorta di “chiave esplorativa”, ma che lo sfruttamento turistico delle cose mette appunto in pericolo. La narrativa dell’opera è lenta e avvolgente come una fiaba d’altri tempi, commovente nel suo indagare una bellezza materiale e spirituale che il “progresso” minaccia purtroppo di distruzione. Concettuale e profonda, per quella raffinatezza poetica che è tipica della cultura asiatica, questa edizione della Biennale è sospesa con filosofia su quanto di buono e di cattivo si può trovare nel mondo, ribadisce come la profondità cosmica non possa offrire, per la sua estensione infinita, un centro univoco, e di come annullando le distanze mentali si possano invece creare tanti punti focali che siano altrettanti centri di civiltà, utilizzando tutta quella varietà di conoscenze spirituali che arricchiscono il mondo.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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