Kim Kulim, il pioniere dell’arte sperimentale coreana in mostra a Seoul 

Le opere brutali, passionali, ibride e borderline di Kim Kulim vanno in mostra al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Seoul. E a raccontare la mostra al pubblico è un robot

Per la prima volta nel suo paese, una mostra personale rivaluta la pratica storica di ribellione di Kim Kulim (Sangju, 1936), artista coreano aggrappato ai problemi esistenziali che analizza in maniera convulsa le conseguenze per la cultura del Paese dai primi anni Cinquanta fino alla metà degli anni Ottanta. Le sue performance sono state un’inestimabile forma di reazione e resistenza alle usanze tradizionali, nonché di apertura all’Occidente. 

Le opere di Kim Kulim 


Fu dichiarato un “atto di pura follia” l’happening Setting the riverbank on fire – This is art, quando su un terrapieno in pendenza diede fuoco per cinque ore ai contorni d’erba di sette monumentali triangoli isosceli (con base di 100 metri e lati di 118 metri ciascuno), dopo averli irrorati di petrolio. La carbonizzazione lasciò un motivo geometrico di contorni neri che racchiudevano triangoli verdi. L’idea fondante era mostrare come un’opera d’arte, attraverso azioni, processi e circostanze, diventava un’opera di land art che si sarebbe dissolta nel tempo, assumendo in realtà una diversa configurazione. Le sue opere si discostano dal pennello per creare superfici amorfe attraverso esibizioni; le tracce residue sono la spina dorsale su cui poi interviene la sua arte performativa. I lavori in cui la luce elettrica fuoriesce dalle ordinate semisfere in sequenza, come Electric Art A del 1969, sono considerate i primi casi di arte elettrica in Corea. L’artista condensa la relazionalità tra esistenza e tempo anche quando, nell’opera From Phenomenon to Traces del 1970, mette del ghiaccio di diverse dimensioni in tre contenitori di plastica rossa che poi ricopre copre con carta da lucido. Il ghiaccio si scioglie e la carta galleggia, l’acqua in seguito evapora e la carta rugosa rimane sul fondo. “L’essere è comparativo all’assenza, tutta l’esistenza nella vita nasce e alla fine scompare, e in tutto questo, qualcosa che è visibile ma anche invisibile ci avvolge. Questo è per soccombere alla natura e tornare al mondo del vuoto, della natura inattiva”. 

La mostra di Kim Kulin a Seoul 

Difficile parlare con il curatore: a Seoul è tutto automatizzato, pochi parlano inglese, ma a disposizione del pubblico c’è un robot, che con voce meccanica ma suadente fa da cicerone. Il lavoro di Kim Kulim, le cui opere si trovano anche al Guggenheim e alla Tate Modern, si mostra con un’accurata attenzione critica nella sua esplorazione affettiva del significato del tempo, del processo e delle tracce dei fenomeni, riuscendo a dematerializzare l’arte attraverso media disparati sin dall’inizio della sua attività negli anni Cinquanta (disegni, performance, film, sculture, fotografie, videoarte, installazioni, mail art, opere elettriche), anticipando i tempi europei. Fino a quel momento l’arte coreana era concentrata sullo spazio fisico espositivo e forme di media tangibili. Kulim, pioniere anche nell’arte cinetica, nell’elaborazione orientale dell’Arte Povera e del Nuovo Realismo, si esprime in un Paese ancora legato all’Informale, al Surrealismo e al Dadaismo utilizzando mezzi eterogenei e impetuosi, performances facinorose e opere brutali. 

Kim Kulim e l’avanguardia coreana 

Kulim fu tra i fondatori dell’AG (Korean Avant Art Association), con un gruppo di autoproclamati artisti e critici d’avanguardia (C. Myoungyoungyoung, H. Chong-Hyn, K.H. e K. TchahsupKwak Hoon, L.S. Jio, L. Vil, O. Kwang-su, P. Chongbae, P. Suk-Won e S. Seungwon) che cercarono di stabilire una logica formale per la loro arte realizzando mostre su larga scala auto-organizzate e pubblicando quattro numeri della rivista AG (1969-1971) sulle tendenze dell’arte occidentale, arrivando a denunciarne l’appropriazione. Il concetto di avanguardia e l’obiettivo di fomentazione del gruppo (scioltosi nel 1975) è tutto nel primo numero della rivista: sperimentare nel regno dell’arte piuttosto che chiedere una riforma sociale o politica, denunciare l’establishment dell’arte tradizionale, rispondere a nuove forme e teorie dell’arte, guardare alle tendenze internazionali, con l’intento di inaugurare un nuovo capitolo per l’arte coreana. 

Cristina Zappa 

Seoul // fino al 12 febbraio 2024 
Kim Kulim 
MMCA – MUSEUM OF MODERN AND CONTEMPORARY ART 
30 Samcheong-ro, Jongno-gu 

https://www.mmca.go.kr/eng/ 

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Cristina Zappa

Cristina Zappa

Di formazione classica, giurista con una laurea magistrale in diritto civile (Università Cattolica, Milano) e una laurea biennale in Arti visive e studi curatoriali (Naba, Milano). Come critica d’arte ha recensito articoli per D’Ars magazine e per Alfabeta 2, ha…

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