Sei piccoli cinema, i tendaggi oscuri e coprenti come in un teatro a luci rosse anni Settanta. Sono dopotutto molti i nudi, molte le pose sessualmente esplicite e provocanti rivelate oltre questi sipari, proiettate per piccoli pubblici che entrano ed escono a piacimento. E allo stesso tempo sono struggenti, poetici e terribilmente dolorosi gli scatti di Nan Goldin(Washington, 1953) che si susseguono, a mo’ di diapositive musicate e parlate, dentro le costruzioni di tessuto che occupano il piano ipogeo dello Stedelijk Museum di Amsterdam. Qui, fino al 28 gennaio 2024, il museo ospita la grandiosa retrospettiva This Will Not End Well, una struggente canzone alla vita perduta, all’amore – quello per il mondo queer, casa dell’artista, e i suoi umani – e alla morte. Sempre dietro l’angolo.
Nan Goldin ad Amsterdam
La mostra – la prima personale dell’artista come regista – abbraccia un corpus colossale di scatti della grande artista (nominata più influente del 2023 da ArtReview), raccolti in sei proiezioni dentro altrettanti mini-cinema: sono The Ballad of Sexual Dependency (1981–2022), l’opera magna di Goldin; The Other Side (1992–2021), un ritratto storico prodotto come omaggio alla comunità trans che ha fotografato tra gli anni Settanta e il primo decennio dei Duemila; Sisters, Saints and Sibyls (2004–2022), testimonianza del trauma familiare, e del suicidio; l’incursione nel mondo infantile Fire Leap (2010–2022); l’ipnotico Sirens (2019–2020), viaggio nell’estasi della droga e nella morte per AIDS; e Memory Lost (2019–2021), percorso claustrofobico nell’astinenza. È una produzione sperimentale e mista, quella di Goldin, che prende a piene mani dagli archivi e rielabora costantemente la memoria alla luce del presente, tra voci fuori campo e musica ora disinvolta ora straziante. “Ho trovato il modo di realizzare film partendo da immagini fisse. Realizzare presentazioni mi dà il lusso di modificarle costantemente per riflettere la mia visione mutevole del mondo”, ha commentato l’artista.
Nan Goldin dolorosa visione di un mondo che non c’è più
È di una dolcezza abrasiva l’occhio che riprende i membri della comunità queer, bohemienne, contraddittoriamente libera dei club a cavallo del secolo. Le migliaia di fotografie raccolte da Goldin mostrano – da Provincetown a New York, da Berlino a Londra – la seduzione della droga, l’euforia del sesso, ma anche la morte per overdose, i disturbi alimentari, la malattia. Un occhio diretto ma compassionevole, capace di parlare con onestà di un mondo che, da fulgido e meteorico che era, va spegnendosi per sempre. Complici quelle nuove dipendenze che Goldin combatte con tutta sé stessa (e con l’associazione P.A.I.N. da lei fondata) ancora oggi. Una mostra che varrebbe un viaggio allo Stedelijk, ma non è necessario: questa è la prima tappa di un tour europeo che – a partire dal Moderna Museet di Stoccolma, da cui la curatela di Fredrik Liew – toccherà la Neue Nationalgalerie di Berlino (ottobre 2024–marzo 2025); il Pirelli HangarBicocca a Milano (ottobre 2025 – febbraio 2026); e infine il Grand Palais di Parigi (marzo – settembre 2026).
Giulia Giaume
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati