Il 2024 è l’anno dell’Urban Nature Project, il nuovo parco del Museo di Storia Naturale di Londra
Ventimila metri quadri di percorsi nel verde per scoprire com’è cambiata la vita sulla Terra, e come proteggere la natura dal cambiamento climatico. È il progetto da 21 milioni di sterline del celebre Natural History Museum londinese, che vedrà la luce la prossima estate
Tra i musei londinesi, in una città che può vantare alcune tra le più prestigiose e visitate istituzioni culturali del mondo, il Natural History Museum, con circa 70 milioni di reperti organizzati in cinque collezioni tematiche, è una delle destinazioni più amate dai visitatori che affollano la capitale inglese in ogni periodo dell’anno.
Il nuovo parco del Museo di Storia Naturale di Londra
Inaugurato nel 1883 nella sede attuale di South Kensington, il museo vanta decine di gallerie dedicate alla storia naturale e all’evoluzione delle specie, negli spazi maestosi di una tipica architettura vittoriana in stile neogotico. Celebri sono la collezione di scheletri di dinosauro, e i modelli animati a grandezza naturale; ma tra i reperti più curiosi si apprezzano anche un campione di roccia lunare riportato sulla Terra dall’Apollo 16 e la sezione trasversale di una sequoia ultramillenaria. E l’estate 2024 porterà in dote una nuova e attesa attrazione, un’operazione di riprogettazione urbanistica che coinvolgerà 20mila metri quadri di spazi all’aperto, trasformando i giardini del museo in un parco dell’evoluzione, oasi volta a proteggere la natura urbana e insieme polo didattico per mostrare com’è cambiata e come sta cambiando la vita sulla Terra, anche in funzione del cambiamento climatico. Il cantiere dell’Urban Nature Project, avviato la scorsa primavera grazie a un finanziamento del valore di 21 milioni di sterline, è in piena fase di sviluppo e sarà completato entro la prossima estate, regalando a Londra un’ulteriore, avveniristica riqualificazione dello spazio urbano, come già avvenuto di recente grazie al rinnovamento della National Portrait Gallery, e ormai diversi anni fa con il recupero della centrale termoelettrica di Bankside, a opera dello studio Herzog & de Meuron, dal 2016 sede della Tate Modern. Un modo di intendere la missione culturale di un’istituzione museale in senso più ampio rispetto alle basilari attività di conservazione e ricerca, con ricadute positive sull’urbanistica e sulla socialità (si pensi, a tal proposito, al progetto di David Chipperfield per l’ampliamento del Museo Nazionale Archeologico di Atene, in fase di lavorazione).
Le attrazioni e gli obiettivi dell’Urban Nature Project
L’Urban Nature Project sarà naturale estensione del Museo di Storia Naturale di Londra: fisicamente, dotando il museo di un nuovo scenografico punto di accesso, costituito da una sorta di canyon profondo sette metri, disseminato di pietre antiche (raccolte in tutta la Gran Bretagna per ricostruire una linea temporale geologica) e fossili, che condurrà a propria volta al Giardino dell’Evoluzione; ma anche per l’approccio scientifico all’allestimento del parco e per la programmazione di attività di citizen science, che si concentreranno sull’insegnamento del valore della biodiversità. Il progetto si propone infatti di sostenere la ricerca di buone pratiche per la protezione e la tutela della natura urbana: il parco non sarà dunque solo luogo di divulgazione, ma anche banco di prova per i ricercatori impegnati a monitorare gli effetti del climate change sulla natura urbana. Nel Giardino dell’Evoluzione, invece, si potrà ripercorrere la storia della vita sulla Terra da 540 milioni di anni fa a oggi, seguendo l’evoluzione delle specie animali e vegetali, grazie all’intervento di architetti paesaggisti. Si è pensato, per esempio, di piantare felci arboree, discendenti di una specie risalente a 359 milioni di anni fa; ma anche palme del Giappone e calicanto, che evocando un paesaggio giurassico faranno da quinta scenica alla riproduzione in bronzo, a grandezza naturale, di Dippy, celebre replica in gesso delle ossa fossilizzate di uno scheletro di Diplodocus, entrata nelle collezioni del museo all’inizio del Novecento.
Livia Montagnoli
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