Se da noi è primavera, nell’emisfero opposto siamo in autunno. In Europa, nelle poche aree rimaste libere, fioritura a spolvero, in Australia foliage tra i più abbaglianti. Il climate change comunque non risparmia nessun luogo. Dopo un’estate strana, caratterizzata da temperature estreme, temporali intensi e umidità opprimente, l’autunno si è presentato sulla costa orientale australiana con caratteristiche senza precedenti. Il personale del Giardino Botanico di Mount Tomah posizionato nelle Blue Mountains a 100 km a ovest dalla Baia di Sydney, si è trovato disorientato rispetto a una prima falsa partenza della nuova stagione, rilevando come le piante fossero altrettanto confuse. In questo stupefacente giardino australiano è presente una fitta collezione “sculture viventi” che includono tanto sempreverdi che decidue, quelle che appunto in questa stagione danno spettacolo. Le esibizioni di colori ora in corso sono il risultato di una complessa strategia evolutiva utilizzata dalle piante per risparmiare energia e risorse, fondamentali per la loro sopravvivenza. Le precipitazioni più elevate possono creare sfumature più forti di rosso, arancione, giallo e viola, mentre le giornate soleggiate aiutano la produzione delle cianine, le sostanze chimiche che stanno alla base della variazione cromatica delle foglie. Mount Tomah è un luogo dunque ideale per l’osservazione di fenomeni come questi, ma più in generale così straordinario che dal 2000 l’UNESCO lo ha classificato come patrimonio dell’umanità per le aree selvagge.
La storia di Mount Tomah
Il disegno del giardino si qualifica subito per l’impianto coerente con la visione di paesaggio nata nel XVIII secolo in Inghilterra, probabilmente influenzata a sua volta dal vedutismo di Claude Lorrain del secolo precedente. La sua storia inizia, in ogni caso, nel 1804 ed è a tutti gli effetti una storia coloniale. Il primo europeo ad arrivate in questa zona è l’esploratore e collezionista botanico George Caley. Ma il Monte Tomah è da sempre un luogo significativo per gli aborigeni Darugunpe, per i quali il vocabolo “tomah” significa appunto “felce arborea”. Un miglio quadrato di questo terreno nel 1830 viene concesso dalla Corona britannica a Miss Susannah Bowen, figlia di un vice ammiraglio e vedova di un capitano di marina. Il terreno viene prima utilizzato come pascolo per l’allevamento di bovini e ovini, più tardi passato ad altri proprietari per quello di cavalli destinati all’esercito. Dopo diversi decenni e numerosi incendi boschivi, nel 1935 arrivano qui Miss Effie e il marito Alfred Louis Brunet esperti botanici che ne fanno una nursery per piante da fiore utili alla loro attività di vivaisti. Il terreno viene dissodato e disposto in una serie di grandi blocchi per farvi alloggiare giacinto, tulipano, iris, giglio, narciso, mughetto, rododendro, lillà, viburno, kalmia, pieris e altre specie importate in gran parte dall’Europa e ancora oggi in fioritura. All’inizio degli Anni Sessanta, però, i Brunet invitano i membri del Royal Botanic Gardens di Sydney a ispezionare il Mount Tomah Nursery e a prendere in considerazione la possibilità di inserire i loro giardini del circuito pubblico australiano. Il 7 agosto 1970, Miss Brunet firma il documento in cui cede alla Corona, per 1 dollaro, la stessa concessione a suo tempo affidata a Susannah Bowen.
L’albero dinosauro delle blue Mountains
L’Australia conta un’estesa rete di aree naturali protette che coprono circa il 15% del territorio nazionale. La tutela però è recente, perché insieme ai coloni, qui sono arrivate piante provenienti non solo dall’Europa ma da ogni parte del mondo. Nel Giardino di Mount Tomah sono presenti alberi di origine mediterranea, cinese, giapponese, coreana e persino una gigantesca sequoia sempervirens californiana capace di raggiungere i 100 metri di altezza. Piante alloctone, insomma, come del resto erano i nuovi arrivati sul continente. E tuttavia la selvatichezza delle Blue Mountains è reale. Qui nel 1994 è stato scoperto il pino Wollemi, un albero nativo australiano, sino a quel momento dato per estinto da 60 milioni di anni. Di Wollemi allo stato brado oggi ce ne sono non più di 100. Una popolazione selvatica così esigua è in grave pericolo di estinzione ed è quindi oggetto di protezione e attenta ricerca per garantirne la sopravvivenza contro incendi, cambiamenti climatici e malattie. Il Wollemi può raggiungere i 43 metri di altezza e ha più di un tronco (alcuni sino a venti): un trucco utile alla sopravvivenza che i botanici chiamano “auto-ceduazione”. Ci è voluta un’asta di Sotheby’s nel 2005 e una seguente nel 2006 per rendere possibile la diffusione di questa conifera a partire da un piccolo numero di vivai. Oggi questo “albero dinosauro” cresce nei parchi, nei giardini e nei cortili di tutto il mondo. In questo unico caso è un nativo australiano ad aver invaso il mondo.
Aldo Premoli
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