“Le Canarie hanno un limite”. Nell’arcipelago inizia la rivoluzione del turismo sostenibile
Non è “turismofobia”, è una legittima preoccupazione dovuta agli eccessi di un modello turistico irrazionale e irresponsabile che invoca la crescita eterna e senza limiti. Tenerife si propone come araldo europeo del rinnovamento radicale del modello turistico “mordi e fuggi”
“Canarias se agota“, le Canarie si esauriscono. Con questo slogan, la popolazione dell’arcipelago è scesa in piazza il 20 aprile scorso per denunciare la difficile convivenza tra un modello turistico poco attento alla sostenibilità e una ricchezza naturale con pochi eguali nel mondo. Sebbene Tenerife abbia il vulcano più alto d’Europa, la cui vetta spicca ad oltre 3718 metri di quota, e La Palma sia il paradiso del turismo astronomico grazie alla superba qualità del cielo, ancora molti investitori stranieri vedono l’arcipelago come una sorta di vacca da latte da mungere senza restituire alcunché alla popolazione locale. L’ambiente era quello tipico delle manifestazioni epocali, arricchito da un’atmosfera all’insegna dell’eterogeneità e dell’inclusione. Erano rappresentate tutte le fasce d’età, dai bambini in carrozzina alle persone anziane. Alcuni, i più deboli, seguivano con entusiasmo la manifestazione dai balconi. Innumerevoli erano gli struggenti suoni emessi dai “bucios“, le conchiglie utilizzate come strumento musicale, un suono atavico degli abitanti delle isole.
Il problema turistico delle Canarie
La tensione turistica che minaccia la biodiversità dell’isola è esemplificata dalla speculazione immobiliare selvaggia, come quella perpetrata nel caso di El Puertito de Adeje, in una zona colonizzata da una intensità turistica difficilmente sostenibile. Spesso chi giunge nel sud dell’isola per vacanze è più interessato ad un effimero sollievo da una meteoropatia galoppante che al rispetto del contesto ambientale.
Chi ha visto El Puertito ha pochi dubbi sul valore della biodiversità e sull’appropriatezza della definizione di “paradiso naturale”. Oggi questa zona, di grande valore archeologico e contenente reperti risalenti all’epoca dei Guanches, la prima popolazione dell’arcipelago, è minacciata dall’edificazione di bungalow turistici da parte di una società immobiliare belga nel progetto Cuna del Alma.
Un altro esempio è l’assurda vicenda dell’hotel in via di costruzione nella riserva naturale di La Tejita, nella zona di El Medano, un’altra area particolarmente colpita dall’ubriacatura turistica.
Una regione quasi del tutto vergine, protetta sin dal 1987, è soggetta alla violenza e alla barbarie delle ruspe per la costruzione dell’ennesimo hotel all inclusive. “¡La Tejita no se vende, La Tejita se defiende!”, inneggiavano i manifestanti, forti delle centomila firme raccolte per bloccare lo scempio. Dallo scorso 11 aprile sei volontari hanno iniziato un clamoroso sciopero della fame affinché siano bloccati i lavori illegali realizzati a La Tejita. Gli scorsi giorni uno scioperante è stato assistito per una ipoglicemia grave.
Un turismo non più sostenibile
La tragedia è che spesso i turisti non sostengono con le loro spese l’economia locale, che pur avrebbe tantissimo da offrire in termini di qualità, esperienza, cultura e folklore. Molti turisti non mettono neppure il naso fuori dai resort. 14 milioni di turisti l’anno che vanno ad arricchire i grandi gruppi turistici internazionali, le compagnie aeree e le società nautiche, ma che poco o punto lasciano alla popolazione locale, alla vendita di prodotti artigianali e agricoli. Si tratta di un chiaro esempio di turismo free rider, rapace e sterile.
La dicotomia tra turisti ad alto reddito e popolazione locale con scarse entrate conduce all’inevitabile risultato che spesso la popolazione canaria sia ridotta allo stato di “working poor”, di emigranti economici in un arcipelago che è divenuto famoso per gli espatriati che telelavorano alle Canarie.
Moltissimi residenti stranieri sono caratterizzati da una capacità di spesa elevata, che provoca un aumento ingiustificato del prezzo dei beni di consumo essenziali e del costo delle abitazioni o il boom degli affitti.
La questione della speculazione immobiliare
In maniera non dissimile da quello che accade nelle città universitarie di Bologna o a Milano, ma anche a Venezia, la monocultura turistica e gli affitti brevi provocano un vero e proprio deserto di affittuari di medio-lungo periodo.
Chi mai può essere interessato ad affitti di anni, quando può ottenere il quadruplo o quintuplo con affitti settimanali? L’affitto a studenti o residenti locali è in molte zone minacciato da parte della concorrenza sleale del più proficuo affitto turistico.
Per di più i prezzi degli affitti e della compravendita immobiliare sono gonfiati dalla soverchiante quantità di seconde residenze di cittadini stranieri, che spesso occupano le case solo per alcune settimane l’anno. Questo induce una scarsità di alloggi e un incremento della domanda degli stessi, alterando i valori di mercato.
Ecco perché il governo di Pedro Sanchez è corso ai ripari con una legge che dovrebbe essere presa ed applicata anche in Italia: la legge contro la speculazione turistica e la gentrificazione dei centri turistici. È stata data autonomia ai vari comuni di istituire delle “zone tensionate” (“zona ad alta tensione turistica”, che potremmo chiamare “ZATT” in italiano), ovvero soggette alla tensione economica prodotta dalla bolla turistica. Esattamente come la superficie di una bolla è caratterizzata da una tensione superficiale che produce un’espansione rapidissima, così accade anche nei centri turistici delle Canarie, ma anche a Barcellona, a Parigi, a Napoli o nella Costiera Amalfitana.
Una legge contro la turistificazione
La Ley 12/2023 del 24 maggio 2023 definisce il nuovo fenomeno a cui stiamo assistendo. Perché una zona venga dichiarata ad alta tensione turistica, deve soddisfare almeno una di queste condizioni, come spiega la normativa nel suo articolo 18:
- Che il carico medio del costo del mutuo ipotecario o dell’affitto nel bilancio personale o del nucleo familiare, più le spese e i servizi essenziali, superi il 30% dei redditi medi o del reddito medio delle famiglie in quella zona.
- Che il prezzo di acquisto o affitto dell’abitazione abbia registrato nei cinque anni precedenti un tasso di crescita cumulativo di almeno tre punti percentuali sopra il tasso di crescita cumulativo del PIL pro capite della corrispondente comunità autonoma. Inoltre, la dichiarazione di zona tesa ha una validità di tre anni, prorogabile annualmente purché continuino a verificarsi le circostanze che giustificano tale dichiarazione.
Insomma, se l’affitto delle abitazioni è più elevato degli ingressi medi di una zona, oppure se la crescita del prezzo di acquisto o di affitto cresce più di tre punti al di sopra dell’aumento degli stipendi (che in Italia è zero da vari decenni, al contrario del costo degli affitti…), i comuni possono istituire delle “zone sotto tensione turistica”, che inducono meccanismi di calmieramento e di raffreddamento dei prezzi.
L’arcipelago canario, che pur non ha spiagge occupate da chilometri quadrati di ombrelloni di plastica come nelle invivibili spiagge italiane che impongono un noleggio dai prezzi speculativi, non ha ancora una tassa di soggiorno. Il sud dell’isola di Tenerife, a monte di un volume di milioni di turisti, non è ancora stato dotato di un ospedale, e la preziosa risorsa idrica viene spesso deviata ai grandi complessi turistici, lasciando a secco la popolazione locale. Il modello turistico è sbagliato ed è ormai irrinunciabile un cambio drastico, affinché non si producano inevitabili situazioni di tensione.
Un manifesto contro la turistificazione
Il governo canario, di taglio conservatore, ha dichiarato con irresponsabile leggerezza che i quasi 80mila manifestanti che hanno inondato le piazze di Santa Cruz de Tenerife, ma anche delle altre isole e di altre città europee come Londra, Amsterdam, Berlino, Barcellona, Madrid, Malaga e mille altre località di diaspora della gioventù locale, sono un esempio di “turismofobia”. Nulla di più distante dalla realtà. L’ambiente era pacifico, moderato e genuinamente preoccupato dagli eccessi ormai intollerabili di un turismo speculativo che impatta senza limiti sulla biodiversità e sulla convivenza con il tessuto abitativo locale.
Nella manifestazione del 20-A (20 aprile, secondo una consuetudine spagnola di definire una data particolarmente simbolica con l’iniziale del mese) è stato proclamato un manifesto per il turismo responsabile e razionale, che ci sentiamo di condividere a tutto vantaggio dei lettori italiani, affinché siano consapevoli della lotta dei loro concittadini europei. Già, perché se ieri la manifestazione ha avuto luogo a Tenerife, la prossima avrà luogo a Roma, a Venezia o a Firenze, zone che stanno soffrendo per il boom dei B&B effimeri, città soggette a tensione turistica da decenni. Dopo il 20-A l’Europa è quanto mai unita, tanto nei problemi che ci si trova ad affrontare come nelle soluzioni individuate.
Di seguito riportiamo il Manifesto del 20-A:
“Parliamo a nome di molti quando diciamo che sentiamo la mancanza delle Canarie, e quanto è successo qui oggi è una prova di ciò, siamo di nuovo migliaia per le strade, ma questa volta facciamo storia. Perché questa protesta non sta avendo luogo solo qui a Tenerife, ma in tutte le isole Canarie, insieme e all’unisono!
Il collasso che stiamo subendo nelle isole è già tangibile in ogni angolo di questa terra, e in ogni situazione quotidiana. Il problema causato da questo modello economico insostenibile, come il monocultivo del turismo, coinvolge tutto il popolo canario e non è più solo una preoccupazione per i gruppi ecologisti e i difensori della natura, ma è diventato il problema di tutta la popolazione.
Le persone che sono qui oggi non sono contro il turismo ma contro il modello turistico che ci hanno obbligato a subire. Per anni ci hanno ingannato facendoci credere di trarre benefici da tutto questo sistema economico, ma la realtà è che se 60 anni fa ha funzionato per migliorare la qualità della vita delle nostre famiglie, ora è chiaro che è un modello obsoleto, dove solo pochi si arricchiscono, mentre il resto cerca di sopravvivere vedendo la nostra terra distrutta.
Ogni giorno ci sono più ingorghi nelle strade, più attese negli ospedali, con restrizioni sull’acqua nei nostri orti e nelle nostre case, senza abitazioni dignitose, né offerte sensate di affitto, distruggendo la biodiversità e i nostri paesaggi per continuare a costruire complessi e alberghi. Questo modello è fallito, perché i canari non possono accedere agli elementi più basilari nella nostra stessa terra, nella nostra stessa casa.
Abbiamo bisogno di porre dei limiti, perché i nostri spazi naturali sono saturi, perché il nostro patrimonio culturale non è valorizzato, perché dobbiamo continuare a proteggere la nostra identità, quella che custodiamo in ogni specie endemica, in ogni terrazzamento coltivato, nel nostro mare e sulla nostra costa, nella nostra musica e nel nostro talento, nel nostro linguaggio, nelle facciate delle nostre case e nei nostri paesi, nella nostra gente.
Le Canarie hanno un limite!”
Thomas Villa
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