Cercando “suicide + art + new + york” su Google, i risultati parlano chiaro: la grande opera di Thomas Heatherwick Vessel, posta nel relativamente nuovo quartiere newyorkchese di Hudson Yards, detiene il triste primato. Sono stati necessari quattro suicidi, quattro salti dalla grande struttura panoramica per far chiudere indefinitamente l’opera nel 2021. Ora, nel mezzo di una drammatica crescita di persone con problemi di salute mentale negli Stati Uniti e in città, riapre con delle reti e con la chiusura degli ultimi piani. Cinico ma efficace, un po’ come le reti poste nelle fabbriche di smartphone in Cina per impedire ai dipendenti di morire: the show must go on.
La triste storia del Vessel di New York
L’installazione panoramica era stata commissionata al pluripremiato studio di Heatherwick per il nuovo quartiere nel West Side di Manhattan oltre dieci anni fa. Il progetto proposto, e approvato, nasce come “un’ispirazione alle antiche scalinate indiane”, e si pone come un’opera “con cui il pubblico entri in contatto fisico”. Il risultato è una grande struttura bronzea simile a un alveare, ironicamente soprannominata “la scala che non porta da nessuna parte”, alta quasi 50 metri e suddivisa in oltre 150 rampe (nonché costata circa duecento milioni di dollari e inizialmente non accessibile a persone con disabilità motorie). Nonostante le critiche al design – sono fioccati divertenti soprannomi come “kebab” –, l’opera è diventata molto popolare su Instagram, tra foto di tramonti e selfie dalle sue 80 piattaforme panoramiche. E poi camminare per non andare da nessuna parte è proprio l’antitesi della risolutezza newyorkese, un po’ il suggello a una città diventata sempre più turistica e perfetta per i flaneur. Come temuto (e anticipato dagli stessi operatori del settore), però, il Vessel ha purtroppo guadagnato una deprimente nomea come luogo di morte. Certo, nessuno si aspettava quattro decessi in solo un anno e mezzo di apertura, periodo in cui l’unica contromisura presa è stata far pagare il biglietto d’ingresso dieci dollari (invece di tenerlo gratis) con l’obbligo di non entrare da soli.
La “soluzione” delle reti del Vessel
Ora si riapre con una fitta rete metallica, e il divieto di accedere ai più alti e letali piani finali. Una decisione che sposta il problema, senza affrontarlo e senza porsi come precedente di svolta per il benessere cittadino. Molte sono dopotutto le criticità del momento nella Grande Mela, e negli States, a cominciare dai suicidi, che a New York sono stati più di 500 all’anno nel solo quinquennio 2015-2020, con un morto all’incirca ogni 16 ore. Con un dato del genere, ci si potrebbe aspettare una reazione forte dei governanti cittadini. Eppure, la “città delle opportunità” non sta arginando i problemi che portano a quei suicidi: senza allontanarci, il Vessel stesso è la punta di diamante di un nuovo quartiere superlusso, costruito e aperto sul fiume Hudson negli stessi anni in cui la città ha visto il numero dei propri senzatetto raggiungere i livelli più alti dai tempi della Grande Depressione. Parliamo di oltre 90mila persone senza casa (a novembre 2023), in un contesto nazionale critico: stando al Dipartimento per la casa e lo sviluppo urbano americano, a gennaio 2023 il numero di persone senza casa ha toccato quota 650mila, +12% rispetto all’anno precedente. E cosa dire di quella che gli esperti chiamano una delle peggiori crisi di dipendenza da droga, e in particolare da oppioidi, della storia degli Stati Uniti? Il numero di persone morte per overdose nel 2021 è stato oltre sei volte superiore a quello del 1999 (e di questi, il 75% dei decessi è per uso di oppioidi). Per dare un’idea della gravità crescente del fenomeno, già al centro della battaglia di denuncia della grande artista Nan Goldin, basta vedere che il numero di morti per overdose è aumentato di oltre il 16% dal 2020 al 2021. E non stiamo che grattando la superficie. Certo, non si può chiedere alla città di New York di risolvere delle crisi mostruose come queste in pochi mesi, e per di più con una scultura pubblica. Però non possiamo non notare, osservando le reti, come un deprimente palliativo non possa bastare. Anche perché sembra suggerire che ora le persone dovranno trovare un altro posto in cui esprimere la propria disperazione.
Giulia Giaume
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