Dopo duecento giorni di massacro a Gaza, l’America si è mossa. Come già nei grandi momenti di lotta per i diritti civili, da Martin Luther King al Vietnam, da MeToo e Black Lives Matter, le giovani generazioni americane non si sono risparmiate tra proteste, sit-in, manifestazioni, e ancora momenti di preghiera interreligiosa, condivisione di cibo e musica, danze interculturali. Le istituzioni hanno risposto con degli arresti di massa. Con gli studenti in prima linea, le richieste che stanno venendo espresse al governo (nell’anno delle elezioni) e alle università è sempre la stessa: il cessate il fuoco e, in parallelo, la cessazione di ogni finanziamento diretto o indiretto del genocidio del popolo palestinese da parte di Israele. Accanto alle università e alle piazze, gremite in ogni angolo del Paese, anche i musei e le accademie sono diventati teatro di protesta, sull’onda dell’esperienza delle contestazioni climatiche e femministe.
Le proteste pro-Palestina nei musei
Già a marzo due dei più importanti musei del mondo erano diventati luogo di lotta politica: il Metropolitan Museum di New York e il British Museum di Londra. Negli Stati Uniti circa 350 attivisti si erano riuniti sui gradini del Met con un’enorme trapunta colorata per la “Palestina libera”, un lavoro di 64 artisti da tutto il mondo. Dall’altra, una delegazione di 200 persone del collettivo climatico britannico Energy Embargo for Palestine aveva chiesto che il museo britannico ponesse fine alla sua partnership con la BP (richiesta peraltro di lunga data), a cui Israele aveva concesso una licenza per l’esplorazione del gas subito dopo l’invasione.
Poi, a maggio, circa cento attivisti hanno invaso il quinto piano del Whitney Museum of American Art di New York con video delle famiglie travolte dalla guerra. Il gruppo anonimo ha distribuito finte brochure (stampate per mimare quelle del museo) segnalando i finanziatori e gli sponsor dell’istituzione e i loro legami con il genocidio e l’esproprio in atto in Palestina. Gli organizzatori hanno anche dispiegato enormi striscioni dalla terrazza del sesto piano con scritto WHITNEY GENOCIDE NOW ON VIEW (visibili dalla strada), alterando i banner della Biennale del Whitney. Il giorno dopo, decine di manifestanti filo-palestinesi sono stati arrestati in un accampamento di protesta pacifica fuori dall’Art Institute di Chicago. Stando a Hyperallergic, il People’s Art Institute, un gruppo gestito da studenti della School of the Art Institute of Chicago, ha dichiarato che stanno cercando di far sì che il museo e l’università “disinvestano da tutte le entità e gli individui che sostengono finanziariamente l’occupazione sionista della Palestina”. Anche loro hanno denunciato le aggressioni violente della polizia sugli studenti.
Gli arresti nell’accampamento filo-palestinese delle università
Tra i moltissimi studenti che hanno protestato in questi giorni – Ivy League incluse, come nei celebri casi della UCLA e della Columbia University – hanno fatto dei sit-in per Gaza anche gli alunni e le alunne delle accademie artistiche americane. Già a marzo gli studenti newyorchesi del Brooklyn’s Pratt Institute e del Cooper Union hanno avviato delle proteste con tende e picchetti. Poi si sono uniti, nel più ampio movimento accesosi tra aprile e maggio, gli studenti del California Institute of the Arts di Santa Clarita e quelli dell’Otis College of Art and Design di Los Angeles, seguiti a ruota da quelli del Fashion Institute of Technology e della School of Visual Arts di New York e dalla Rhode Island School of Design. La richiesta è sempre la medesima: che le università disinvestano dalle società legate agli attacchi militari israeliani (e che divulghino con i propri studenti, d’ora in poi, dove vengono spesi questi soldi).
La protesta durante il Met Gala
Le proteste si sono spostate anche davanti agli eventi culturali e accademici: il primo caso, il 4 maggio, è quello del gruppo di docenti dell’UCLA riunitisi fuori dall’Hammer Museum prima del gala annuale dell’università per chiedere un’amnistia per studenti e colleghi già arrestati dalla polizia. Le manifestazioni pro-Palestina sono continuate anche durante il Met Gala, la raccolta fondi annuale per il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art diventata simbolo di fashion ed esclusività. “Niente Met Gala mentre le bombe cadono su Gaza”, hanno cantato in centinaia in marcia vicino al Met, proprio mentre le celebrità posavano per le telecamere sul tappeto rosso. Anche qui, arresti di massa.
Giulia Giaume
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