L’Institute of Contemporary Art di Boston ospita fino al 2 settembre la maggiore retrospettiva mai dedicata al lavoro di Firelei Báez (Santiago de los Caballeros 1981). Composta da 40 opere, tra dipinti di grande e medio formato, installazioni ambientali e un murale site-specific realizzato lungo la galleria che si affaccia sul porto, la personale di Boston copre quasi 20 anni della carriera dell’artista. Báez, nasce a Santiago de los Caballeros, nella Repubblica Dominicana, da madre dominicana e padre haitiano. All’età di 8 anni si trasferisce con la famiglia a Miami, in Florida. Dal 2001 vive a New York, dove consegue la laurea in Arti Visive alla Cooper Union e si specializza all’Hunter College. Eva Respini, Deputy Director e Director of Curatorial Programs alla Vancouver Art Gallery, organizzatrice della mostra all’ICA di Boston, definisce Báez una delle voci più influenti del XXI Secolo.
Firelei Báez: ridisegnare la storia attraverso l’arte
Il lavoro di Báez esplora l’eredità coloniale suggerendo narrazioni alternative a quelle canoniche. L’artista prova a colmare le lacune della narrazione storica, presentando la complicata e spesso incompleta storia del bacino dell’Atlantico sotto nuove e molteplici prospettive. La storia si studia attraverso i libri, i documenti e le mappe, ma laddove non sono state tramandate memorie scritte, può essere l’arte a riempire le lacune e ridefinire i fatti storici. Attraverso un atto di immaginazione, che si può definire “fabulazione” dal pensiero della scrittrice Saidiya Hartman, Firelei Báez crea una nuova cornice alla storia. In quanto artista, usa la sua libertà di espressione per accedere alle diverse fonti reinterpretandole. Il suo lavoro vuole anche mettere in luce la dissonanza tra la percezione dei Caraibi quale luogo di piacere privo di storia e la sua esperienza di questa terra, da cui la sua famiglia proviene e di cui tramanda memoria e tradizioni. Parte del suo lavoro si concentra proprio sul ricontestualizzare la storia dei Caraibi dando particolare attenzione ai simboli e al folclore di questo territorio.
Firelei Báez: la mostra a Boston
L’artista dominicana, di adozione americana, si è formata come pittrice e i suoi media prediletti sono la carta e la tela, eppure sempre più spesso nel suo lavoro la pennellata trascende i confini del quadro e riempie lo spazio assumendo la dimensione di installazione ambientale, dove la sensazione è proprio quella di entrare e camminare dentro la sua pittura. Come nell’installazione immersiva A Drexcyen Chronocommons (To win the war you fought it sideways) del 2019, in cui Báez ricopre lo spazio con teloni blu, il materiale utilizzato come rifugio in seguito a disastri naturali, sempre più frequenti nella Repubblica Dominicana e in particolare ad Haiti. Báez crea uno spazio simile a una grotta utilizzando questi teli blu traforati a mano e attraversati da punti di luce, a rappresentare la notte dell’inizio della rivoluzione haitiana, ma anche alludendo alle conseguenze dovute al cambiamento climatico in corso. Piante tropicali adornano gli altari nello spazio dove due dipinti di figure femminili vegliano sulla scena; si tratta della regina haitiana in esilio Marie-Louise Coidavid (1778–1851) e delle sue figlie, donne dimenticate dalle narrazioni epiche.
Firelei Báez: la raffigurazione del tempo
La scultura architettonica (once we have torn shit down, we will inevitably see more and see differently and feel a new sense of wanting and being and becoming) del 2014, è un’evocazione del Palazzo Sans-Souci di Haiti, motivo ispiratore di diversi lavori di Báez, simbolo della rivoluzione haitiana e dell’indipendenza dalla Francia. Questo simbolo del potere, costruito nel nord di Haiti agli inizi del 1800 per il leader rivoluzionario e autoproclamato primo re di Haiti, Henri Christophe I, era un tempo una meravigliosa struttura architettonica, ma dal terremoto del 1842 è rimasto nient’altro che un rudere archeologico.
Báez espande la superficie pittorica in una dimensione architettonica, simula con la pittura il logorio del tempo con il suo valore storico e invita i visitatori ad attraversare la sua rivisitazione archeologica, fisicamente e mentalmente.
Firelei Báez: cartografie e reperti coloniali usati come tele
In Untitled (Les Tables de Geographie Reduites en Un jeu de Cartes) del 2022, Báez evoca una fuga di cavalli secondo vari stati di astrazione. Questo dipinto fa riferimento alla residenza dell’artista a Roma nel 2021-22, durante la quale ha avuto modo di studiare sculture araldiche e dipinti di battaglie. I suoi cavalli però non agiscono su un campo di battaglia, sono sfuocati, figure create attraverso la pratica del colore versato.
Quest’opera è infatti esemplificativa del processo creativo di Báez: il dipinto nasce in orizzontale sul pavimento, dalla stampa ingrandita della scansione di un reperto cartografico sulla quale l’artista versa della vernice. Dalle macchie astratte del colore aggregato iniziano a rivelarsi le immagini come in un test di Rorschach e da qui si sviluppa la figurazione: definendo meglio con il pennello ciò che l’artista vede e dipingendo infine gli elementi figurativi in modo più realistico.
In questo lavoro l’artista allude al gioco della conquista coloniale. Infatti, come in altre opere in cui dipinge su mappe coloniali e documenti storici, a supporto di questo dipinto ci sono le riproduzioni di una serie di carte da gioco dedicate al Gran Delfino di Francia (1661-1711), figlio del re Luigi XIV (1638-1715). Le carte includono mappe di ciascun continente Africa, America, Europa e Asia.
La pittura come denuncia di pratiche discriminatorie
In mostra anche una significativa opera su carta Can I Pass?, una serie di 31 autoritratti realizzati nel mese di luglio 2011, parte di un lavoro più ampio che ha impegnato l’artista tutti i giorni per più di due anni dal 2011 al 2013. Gli autoritratti descrivono in dettaglio solo gli occhi e la silhouette di Báez mentre posa con acconciature diverse ogni giorno. Nei ritratti il tono mutevole della pelle dell’artista si adatta, si scurisce o schiarisce col mutare delle stagioni. Questo esercizio ricorda la pratica discriminatoria, in voga negli Stati Uniti nel XX secolo, di utilizzare il Brown Paper Bag Test per ammettere o negare l’accesso a funzioni sociali in base al colore della pelle. Dopo Boston la mostra si sposterà in Nord America alla Vancouver Art Gallery (2 novembre 2024 – 16 marzo 2025) e al Des Moines Art Center (14 giugno 2025 – 21 settembre 2025).
Alessia Di Clemente
Boston // fino al 2 settembre
Firelei Báez
Institute of Contemporary Art Boston
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati