Immagini e parole, arti visive e letterarie hanno una lunga tradizione di incontri e commistioni. Ha esponenti illustri quest’arte fatta di testi, che fa della parola un oggetto fisico e che in quell’oggetto vede significati che vanno oltre quelli etimologici, trasformandola in opera complessa e stratificata. E mentre il Guggenheim, a 35 anni di distanza, rivisita l’installazione di una delle artiste più note per la text based art, proponendo una versione aggiornata di Light Line di Jenny Holzer, a New York è in mostra anche l’arte testuale italiana.
La mostra di Nanni Balestrini al CIMA
Il Center for Italian Modern Art di New York ospita fino al 22 giugno la retrospettiva, Nanni Balestrini: Art as Political Action – One Thousand and One Voices, curata da Marco Scotini che, con l’installazione Disobedience Archive in questi mesi alla Biennale di Venezia, si conferma il curatore di riferimento per l’arte politica. Non poteva che essere lui, quindi, ad affiancarsi al CIMA, che già in passato si è concentrato su mostre con un significato politico, per portare per la prima volta a New York il lavoro di uno dei più radicali e più dimenticati artisti italiani. Si tratta della prima mostra negli USA per questo artista sperimentale, poeta e romanziere che nel corso di tutta la sua vita mescolò arte e politica. La mostra si concentra su due decenni della carriera di Balestrini, gli Anni ‘60 e i ‘70, esplorando quel ventennio di trasformazioni sociali attraverso 70 opere e materiale d’archivio. Nato a Milano nel 1935, Nanni Balestrini è stato una figura significativa nei movimenti d’avanguardia letterari e sociali italiani del Secondo dopoguerra. Nel suo lavoro la poesia sperimentale incontra e diventa tutt’uno con la potenza estetica del carattere tipografico e del collage per creare una pratica compositiva che enfatizza il montaggio e la ricomposizione di testi esistenti per generare nuovi significati.
Nanni Balestrini e le neoavanguardie
La mostra è un viaggio semi-cronologico nelle sperimentazioni di Balestrini, a partire dalla sua collaborazione con Luigi Nono, uno dei più importanti compositori sperimentali del XX Secolo che portò nelle sue composizioni temi politici e testi letterari. Con lui Balestrini condivideva l’idea che la parola andasse “disalienata” proprio come i lavoratori nel pensiero anticapitalistico, che la parola andasse cioè sottratta al processo di produzione industriale e tecnologico per ritrovare significati collettivi in grado di generare relazioni sociali, avanzamento delle masse e processi di costruzione dell’identità. Di Nono qui troviamo in mostra un disco del 1969 contenente una composizione dal titolo Non Consumiamo Marx e uno del ‘68 con una composizione a quattro mani con Roland Kayn. Degli stessi anni è il coinvolgimento di Balestrini nella fondazione e nelle attività del movimento letterario di neoavanguardia, Gruppo 63. In mostra anche una ricostruzione di Tape Mark I (1961), uno dei primi esempi di arte generata al computer: un poema combinatorio, prodotto da un algoritmo che al tempo era stato rivoluzionario, tanto da meritare un posto di rilievo nell’Almanacco Letterario Bompiani del 1962 dedicato alle “applicazioni del computer all’etica e alla letteratura”.
Nanni Balestrini e New York
Negli anni ‘70 Balestrini inizia ad interessarsi anche all’aspetto sonoro della parola e concepisce un poema, ispirato al blackout di New York del 1977, come una “azione per la voce” che avrebbe dovuto essere recitata dal musicista Demetrio Stratos che però morì prima che il progetto potesse realizzarsi. Utilizzando ritagli di giornali, riviste e manifesti politici, Balestrini articola una voce collettiva che si muove su quelle stesse traiettorie sperimentali che in quegli stessi anni altri artisti esploravano nella musica, nella performance e nella poesia. Introducendo inoltre immagini fotografiche, l’artista aggiunge un ulteriore livello di lettura alle sue opere, componendo un ritratto stratificato e complesso di un momento storico esplosivo, fatto di forti passioni e accesi conflitti di cui lo stesso Balestrini fu vittima quando fu accusato (e poi prosciolto) di costituzione di banda armata all’interno del movimento Autonomia Operaia. Come è buona prassi del CIMA, la mostra mette Balestrini in contesto, affiancando al suo lavoro le “parole in libertà” del futurista Carlo Carrà, tracciando una linea di continuità tra le avanguardie storiche e le sperimentazioni successive.
Chi era Nanni Balestrini
La mostra presenta Balestrini come un precursore dei temi e come un artista totale in grado di lavorare su più discipline, media e linguaggi e producendo un’arte capace di parlare a tutti e parlare di tutto. Spesso il lavoro di Balestrini viene presentato concentrandosi sul carattere tipografico della scrittura, ma questa mostra vuole esplorare, come si legge nel materiale stampa che l’accompagna, l’indiscernibilità “fonottica” (espressione presa a prestito dal semiologo Paolo Fabbri) della parola così come utilizzata nel suo lavoro. Di certo questa non è una mostra semplice, perché questo è un’artista che anche in patria meriterebbe più riconoscimento ma che oltreoceano è del tutto sconosciuto e perché questa è una forma d’arte che richiede impegno, partecipazione dello spettatore. L’arte di Balestrini, per usare una classificazione di un altro semiologo, Marshall McLuhan, è un’arte fredda, che, nonostante la quantità di materiale e informazione, necessita di essere completata con uno sforzo intellettivo da parte di chi guarda. E così è l’installazione concepita da Marco Scotini per il CIMA, fatta di messaggi cifrati, comunicazioni telegrafiche, indizi frammentari che però, se guardati con attenzione e insieme, compongono un’epica (nel senso letterale del termine) collettiva e radicale. Così la scelta di dedicare una mostra a Nanni Balestrini nella New York del 2024 appare rilevante, non solo perché l’arte basata sul testo sta conoscendo nuove fortune, ma anche perché in questi anni di crisi, l’arte è sempre più politica. L’attualità dell’opera di Balestrini non sta solo nell’essere stato un pioniere di un’arte che rivendica l’appropriazione di forma, mezzi e contenuti di altre discipline per elaborare un messaggio politico, né solo nell’aver anticipato una serie di domande oggi di pressante attualità sulle relazioni uomo-macchina, ma sta anche in quella commistione tra arte, politica e vita che oggi sembra sempre più imprescindibile all’arte contemporanea.
Maurita Cardone
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