Al Castello Reale di Amboise torna visitabile la tomba di Leonardo da Vinci
Un restauro costato 3,5 milioni di euro quello della cappella di Saint-Hubert, luogo di sepoltura del genio polimorfo di Vinci. Dopo 150 anni, la cappella dei re al Castello Reale di Amboise torna al suo splendore gotico
Dopo oltre due anni e mezzo di lavori la tomba di Leonardo da Vinci, all’interno della cappella di Saint-Hubert nel complesso del Castello Reale di Amboise è di nuovo visitabile dal pubblico. La cappella, un edificio in stile gotico fiammeggiante fatto costruire dal re di Francia Carlo VIII alla fine del XV Secolo, custodisce i resti che vengono attribuiti al genio italiano, arrivato nella Valle della Loira nel 1516 su invito di Francesco I e morto nella sua residenza del Clos Lucé, a poche centinaia di metri dal castello, nel 1519. Inizialmente il corpo di Leonardo venne interrato, come da sue volontà, nella Collegiata di Saint Florentin risalente all’XI secolo e demolita all’inizio del XIX Secolo. L’edificio religioso si trovava, sempre all’interno della cinta del castello, in un’area non distante dalla cappella di Saint-Hubert. Oggi sul luogo della demolizione sorge un busto in marmo bianco di Leonardo, la cui supposta sepoltura venne trasferita nella cappella solo nel 1874.
La cappella di Saint-Hubert restaurata dopo 150 anni
La tomba, che non è stata aperta duranti il periodo di chiusura, ritrova un contesto – quello della cappella gotica – di eccezionale bellezza. I restauri, i più importanti da 150 anni a questa parte, hanno interessato ogni parte dell’edificio, dalle coperture in piombo alle strutture in legno, dalla guglia ai ricchi ornamenti scultorei fino alle dorature. Si è messo mano anche alla campana, opera ottocentesca della fonderia parigina Hildebrand che è tornata a suonare dopo circa un secolo e mezzo.
Ripulita dalle scorie del tempo – intemperie, muffe, licheni l’avevano non poco ingrigita – la cappella privata dei re di Francia appare oggi nel nitido biancore del tufo locale, messo ancor più in evidenza dalla sua posizione isolata e sospesa sui bastioni di cinta che dominano il centro storico della città, di cui è un simbolo ben visibile. “Abbiamo voluto che fosse un cantiere il più possibile aperto, nonostante la complessità degli interventi, in modo che i visitatori – che sono aumentati durante i restauri, potessero vedere all’opera e in qualche caso dialogare con gli artigiani e gli specialisti” spiega Marc Metay, direttore del Castello di Amboise e segretario generale della Fondation Saint Louis proprietaria del monumento storico.
Gli ingenti restauri della cappella di Saint-Hubert
Il restauro, costato 3,5 milioni di euro (di cui 2,3 finanziati dallo Stato francese), è stato guidato da Etienne Barthélémy, architetto capo dei Monuments Historiques che ha coordinato il lavoro di decine di specialisti. Le varie squadre si sono occupate di sostituire 2000 elementi in pietra sulle facciate e hanno provveduto a 200 innesti per colmare le lacune della decorazione gotica. Sull’architrave posta sopra l’ingresso della cappella, cinque scultori hanno restaurato in modo dettagliato la minuziosa scena che rappresenta la conversione di Saint Hubert. Si tratta di uno degli elementi più antichi risalente alla fine del XV Secolo, mentre nella parte superiore della facciata, il timpano raffigurante la coppia Carlo VIII e Anna di Bretagna in preghiera è attribuibile al restauro ottocentesco.
Anche i fregi interni scolpiti nel tufo da maestri fiamminghi sono stati sottoposti a restauro. Gli elementi mancanti non erano facilmente visibili, solo quando ci si avvicinava ci si rendeva conto delle lacune”, spiega Marc Metay.
Alcune decorazioni nella cappella rivelano elementi detti à drôlerie spesso presenti nell’architettura gotica. Accanto a rappresentazioni di giullari si può osservare un satiro ben dotato, una giovane donna nuda e lasciva o un’altra che si palpa languidamente il seno destro.
Una guglia che ricorda (in piccolo) quella di Notre Dame
La sfida più importante per Étienne Barthélémy è stata quella di trovare una chiave di lettura per dare uniformità ai restauri su un edificio concepito in epoca gotica, ma sottoposto a importanti interventi nel corso del XIX Secolo. “Non potevamo non tener conto anche dei lavori realizzati da Victor Ruprich-Robert“.
Un nome importante, quest’ultimo, nel campo del restauro architettonico in Francia nella seconda metà del XIX secolo. Fu assistente di Viollet-le-Duc all’École Nationale de Dessin (ruolo in cui gli succederà) e l’influenza del maestro sarà evidente nei lavori ad Amboise. Basti ricordare che la celebre guglia di Notre Dame a Parigi, ideata da Viollet-le-Duc, venne terminata nel 1860, mentre quella della cappella di Saint Hubert è di una ventina d’anni successiva. E a vederla adesso, perfettamente restaurata, è facilmente confrontabile con quella parigina.
La fortuna (con qualche sorpresa) di Leonardo nella storia dell’incisione
In occasione della riapertura al pubblico della Cappella di Saint Hubert, le sale del Castello di Amboise ospitano l’esposizione Chefs-d’oeuvre de Léonard de Vinci en gravure (fino al 22 settembre), una trentina di preziose incisioni provenienti in prevalenza dalle collezioni della BnF (Bibliothèque Nationale de France), ma anche dal Museo del Louvre, dal Musée de la Vie Romantique di Parigi e dal Musée des Beaux-Arts di Tours. La ricerca condotta da Laure Fagnart e Stefania Tullio-Cataldo ricercatrici dell’Università di Liegi, ha permesso di studiare le filigrane, di identificare gli stampatori e infine di valorizzare le rare opere presenti nelle collezioni di grafica della biblioteca parigina, alcune realizzate quando Leonardo era ancora in vita. “Leonardo non è mai stato un incisore, non ha mai preso un bulino in mano” spiega Laure Fagnart “e, con una certa sicurezza, si può affermare che non si sia mai associato a un incisore per diffondere la conoscenza delle sue opere, cosa che invece faranno con successo, prima e dopo di lui, Mantegna e Raffaello“. Il genio di Vinci, che ha l’ambizione (spesso vanificata) di pubblicare trattati scientifici, vede nell’incisione solo un modo per trasformare in illustrazioni i suoi disegni. “Un esempio che spiega bene quest’attitudine nei confronti della grafica”, aggiunge Stefania Tullio- Cataldo, “sono le illustrazioni che realizza per il trattato di matematica De divina proportione dell’amico Luca Pacioli pubblicato nel 1509 che esponiamo in mostra“
L’Ultima Cena e la Gioconda, destini diversi nel campo delle incisioni
Diverse le considerazioni che si possono fare sulle stampe risalenti ai secoli successivi alla morte di Leonardo, dal XVII al XIX secolo. Se l’artista fiorentino è oggi universalmente popolare, soprattutto per la Gioconda, non così si può dire per il passato. Una prima motivazione si deve alla scarsa accessibilità delle sue opere, presenti prevalentemente in collezioni private, quelle dei re di Francia e d’Inghilterra ad esempio. Per molto tempo l’opera più popolare di Leonardo sarà l’Ultima Cena di Santa Maria delle Grazie a Milano. Bisognerà attendere il XVII secolo perché altri suoi capolavori suscitino l’attenzione degli incisori. La fortuna della Gioconda crescerà molto lentamente a partire dalla metà del secolo. La prima stampa del celebre ritratto leonardesco compare solo nel 1651. Ma ancora negli inventari di Pierre-Jean Mariette (1694-1774), uno dei più grandi collezionisti e conoscitori di stampe del suo tempo, l’Ultima Cena è di gran lunga l’opera più conosciuta. Bisognerà attendere il XIX secolo e poi l’apparizione della fotografia per cominciare ad osservare, anche nella grafica, quella grande popolarità di cui oggi gode l’opera conservata al Louvre. Ne è un esempio lo scatto di Gustave Le Gray, presente nell’ultima sezione dell’esposizione, che riesce a tradurre con il nuovo mezzo il celebre “sfumato” di Leonardo.
Dario Bragaglia
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