Nelle Fiandre due Triennali rileggono il territorio all’insegna dell’arte contemporanea

A Bruges e Beaufort procedono in concomitanza le due mostre diffuse chiamate a interpretare la storia e la memoria locale in chiave contemporanea, per farne nuovo motivo di confronto e ricchezza per la comunità. Cosa abbiamo visto

Arte contemporanea, città e paesaggio. La scommessa delle Fiandre, tra cultura, turismo e cambiamento, trova un interlocutore privilegiato in due Triennali che aprono scenari inediti sui rispettivi territori di riferimento. 
Stiamo parlando della Triennale diBruges (alla sua quarta edizione, terminerà il primo settembre) e di quella di Beaufort (alla sua ottava edizione, che si concluderà il 3 novembre).

La Triennale di Bruges e lo “spazio della possibilità”

Nel primo caso, Space of possibility è più che un imperativo, un richiamo alla complessità. Un punto di partenza curatoriale per Scendy Gardin e Sevie Tsampalla, per aprire un dialogo tra arte e collettività, su presente, passato e soprattutto sul futuro della città di Bruges. Dodici sono le opere temporanee – in alcuni casi vere e proprie architetture effimere – dislocate nei luoghi meno visitati, tra piazzette, cortili, canali secondari e parchi, con richiami a tematiche urgenti come il controllo, l’identità, lo spazio pubblico, l’ecologia, le ricadute economiche e sociali delle scelte e delle azioni umane. 

Mona Hatoum, Full Swing, Bruges Triennial 2024, © Filip Dujardin
Mona Hatoum, Full Swing, Bruges Triennial 2024, © Filip Dujardin

Le opere in mostra alla Triennale di Bruges

Una delle più affascianti è sicuramente Full Swing di Mona Hatoum, nel giardino dell’ospedale psichiatrico Onzelievevrouw. Un ingresso nel sottosuolo introduce a un bunker costituito da una gabbia di sassi con al centro un’altalena. Un’esperienza capace di mandare in crisi la nostra percezione del corpo e della mente, rendendola instabile e precaria, sotto le spinte di un’ideologia che ci intrappola. Ivan Argote, con Who?, sospende a filo d’acqua due giganteschi stivali in bronzo, che fanno riferimento a un’ipotetica figura storica cancellata, seppure presente nello spazio immaginifico del luogo e nella sua memoria. La volontà è riflettere sull’identità, anche in relazione a un passato ingombrante. Alessandra Covini e Giovanni Bellotti di Studio Ossidiana, italiani con base a Rotterdam, invece, propongono Earthsea Pavilion, gigantesco silos costituito da svariati materiali, tra cui terricci, piante e fiori che mutano col tempo e le stagioni, introducendo il concetto di vita biologica in campo artistico. L’installazione site-specific che però meglio crea un ponte tra le due Triennali, proiettandoci sulla costa, è Star of the Sea di Ivan Morrison. Sulla spiaggia di Zebbruge incontriamo un’architettura che richiama un castello di sabbia tanto quanto un bunker, costituita da volumi e moduli in cemento con delle aperture circolari. Parzialmente ricoperta di sabbia, si lascia attraversare percorrendo i suoi cunicoli, dove la luce entra e cambia in funzione del suo rapporto con i pieni e i vuoti, creando una sensazione ludica e di spaesamento allo stesso tempo. 

Triënnale Brugge 2024 © Bangkok Project Studio
Triënnale Brugge 2024 © Bangkok Project Studio

La Triennale di Beaufort e il rapporto con il mare

La Triennale di Beaufort, come sottolinea la curatrice Els Wuyts, è caratterizzata dall’accessibilità e dalla tangibilità delle opere, che si dispongono lungo un percorso che si sviluppa tra costa e villaggi, compresi i porti e i waterfront, coinvolgendo diciotto artisti di provenienza nazionale e internazionale. Tra le più impattanti emotivamente va menzionata At Rest di Selva Aparicio, che restituisce nella forma di una scultura in bronzo centinaia di palmi delle mani degli abitanti di Nieuwpoort. Un’area che durante la Seconda Guerra Mondiale è stata territorio di frontiera e che oggi, grazie a questa installazione, recupera il suo valore storico di crocevia, a partire dalle linee della vita delle stesse persone, di diverse età, che la abitano. Una riflessione sull’equilibrio viene invece suggerita da Alexandra Bircken, con Top Down / Bottom Up, che colloca in cima al King Albert I Monument, la cui maestosità lascia senza fiato, una giovane ragazza che si cimenta in una verticale. Da che parte guardiamo il mondo? Dritto e capovolto, alto e basso che cosa significano? La realtà è una questione di prospettiva. Un assunto che ci consente di relativizzare le nostre posizioni. Con Monobloc Moments, Sara Bjarland riflette sulla sostenibilità, impilando al centro di una rotonda una moltitudine di sedie in plastica, proprio quelle che si trovano nei chioschi lungo la costa. Oggetti di design comune, anonimo, divengono opera d’arte, proponendo un’alternativa allo smaltimento e allo stesso tempo aprendo uno squarcio sul ciclo di vita dei prodotti nella nostra società, anche di quelli che costituiscono il rumore di fondo, o come direbbe Georges Perec, l’infraordinario. Una costellazione di forme ed eventi a cui non prestiamo attenzione nella nostra quotidianità.

Carlotta Petracci

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Carlotta Petracci

Carlotta Petracci

Sempre in bilico tra arte e comunicazione, fonda nel 2007 White, un'agenzia dal taglio editoriale, focalizzata sulla produzione di contenuti verbo-visivi, realizzando negli anni diversi progetti: dai magazine ai documentari. Parallelamente all'attività professionale svolge un lavoro di ricerca sull'immagine prestando…

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